ROMA

Fascisti su Roma

È il giorno in cui i camerati italiani rendono omaggio a Roma alla salma di Stefano delle Chiaie, il grande vecchio del neofascismo italiano morto due giorni fa all’Ospedale Vannini e ideatore di molte delle trame eversive, golpe, colpi di stato degli ultimi 45 anni, a cavallo tra l’Italia e il Sudamerica. Tra i neofascisti della Capitale, in quel pezzo di mondo fatto di celtiche tatuate e indottrinamento, Delle Chiaie dispensava ancora consigli ai camerati vecchi e nuovi. Alcuni dei quali oggi sono in cerca di nuovi eredi, a un mese esatto dall’omicidio di Fabrizio Piscitelli e dopo l’arresto di Fabio Gaudenzi. Un’eredità fatta anche di agguati a colpi di machete, armi bianche, incendi ai campi rom, legami con le mafie. Ma non soltanto. Affari, intrecci con la politica, inchieste giudiziarie, soldi, relazioni, anche omicidi. Tutto ciò che i fatti degli ultimi dieci anni raccontano dei fascisti della Capitale.

Si attendono per oggi (12 settembre) a Roma camerati da tutta Italia per rendere omaggio alla salma di Stefano delle Chiaie, il “grande vecchio” del neofascismo italiano morto a 82 anni due giorni fa all’ospedale Vannini nella Capitale. Fondatore e leader del gruppo eversivo Avanguardia Nazionale, Delle Chiaie è stato il punto di riferimento tra gli anni’60 e 70 di tutte le trame eversive che hanno visto accanto pezzi deviati di servizi segreti e gruppi neofascisti, membro dell’Internazionale nera che ha sparso sangue, violenza e tortura in tutto il mondo. Ma Delle Chiaie è anche un nome che, ancora oggi, fino alla sua morte avvenuta due giorni fa, aleggiava sui gruppi di neofascisti di Roma, città dove aveva rifondato la sede della già disciolta Avanguardia Nazionale, trasformando un locale datogli in concessione dal Comune in zona Cinecittà, nel 1991, e mai più restituito, in un luogo di proselitismo xenofobo. La sigla dell’Avanguardia Nazionale era intanto ricomparsa nell’aggressione ai giornalisti de l’Espresso avvenuta all’inizio di quest’anno. Alcuni dei suoi adepti del passato avevano indossato, di recente, il doppiopetto della politica, occupando caselle chiave nell’amministrazione pubblica capitolina, portando in dote il background criminale degli avanguardisti. Riccardo Mancini, ad esempio, un passato in Avanguardia Nazionale e un presente recente come ascoltato consigliere del “Principe” Gianni Alemanno che nel 2009 l’aveva messo a capo di Eur Spa, è stato condannato nel maggio 2018 a cinque anni di carcere per le tangenti ricevute sull’acquisto di filobus destinati al corridoio della mobilità Eur-Laurentina. Mancini muore a causa di un infarto un mese dopo, portando con sé nella tomba una parte dei segreti del neofascismo capitolino che si era fatto classe dirigente. Membro di quella comitiva di pischelli (i fascisti del fungo) cresciuti sotto l’ala protettiva dei gruppi dell’eversione nera, tra Nar, Terza Posizione, Avanguardia Nazionale. Ecco, si deve partire da qui, dai rapporti e dalle relazioni dei fascisti di strada con il mondo di sopra, se si vuole comprendere, fino in fondo, il vuoto di potere che le cadute, le inchieste giudiziarie, le morti, il mutamento del contesto politico, sembrano caratterizzare oggi il neofascismo romano. Ed è per questo che è importante non slegare mai i fatti dai contesti in cui essi accadono.

Siamo a un mese esatto dall’omicidio avvenuto il 7 agosto scorso del capo ultras degli Irriducibili Lazio Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik. Come d’altronde si suggeriva, ricordandone la figura: «Le cronache degli ultimi anni ci parlano di una persona a cui sono stati sequestrati beni immobiliari milionari, indagata nell’inchiesta di “Mafia capitale” come sodale di Massimo Carminati, condannata per diversi atti intimidatori». Di vicende in cui «scompare il confine tra responsabilità personale e collettiva, dimensione pubblica e privata, ambito professionale e calcistico». Ed è proprio a cavallo di questo rapporto che si fondava a Roma il potere, la forza e l’agibilità pubblica di Fabrizio Piscitelli, il quale godeva di ampi collusioni e ambiti di relazione che travalicavano la stessa curva della Lazio o la semplice criminalità di strada. Che abbracciavano tutte la comune fede nera.

 

C’hanno stroncato la generazione

Tuttavia, è proprio alla curva nord della Lazio, in particolare al gruppo degli Irriducibili (di cui Diabolik era a capo) che occorre riferirsi se vogliamo comprendere parte delle dinamiche interne all’agire dei gruppi parafascisti della Capitale. Ma facciamo un passo indietro, al 2007. Quando un’indagine dei Carabinieri dei Ros, anche qui, documenta la centralità di un pub, “l’Excalibur”, in Piazza Vescovio, quale base operativa dove progettare: «un attentato incendiario al campo nomadi di via Procaccino, a Roma, aggressioni contro cittadini extracomunitari, ed esponenti della sinistra extraparlamentare romana». Non soltanto. Quei marciapiedi tra Via Salaria, Viale Somalia e Piazza Vescovio sono soprattutto i luoghi di ritrovo dei gruppi di ultras laziali, Irriducibili e Banda Noantri, ma anche di alcuni gruppi ultras della Roma, dove si mischiano le comuni appartenenze a Forza Nuova. Sono tutti parte di una stessa galassia fascista violenta con comportamenti comuni. Al gruppo degli Irriducibili, per esempio, poco prima della trasferta di Atalanta Lazio del settembre del 2007 vengono sequestrati «pugni di ferro, una busta contenenti sei coltelli con lame di 20 e 30 cm, cinque grossi coltelli di lame tipo machete». Ed è in quella occasione che uno di loro, scampato ai controlli di polizia che avevano portato all’emissione di 67 denunce per possesso di armi da taglio, rivela: «i senatori, semo rimasti quasi tutti i vecchi, però, c’hanno stroncato la generazione». Lasciando intendere quindi la presenza di una organizzazione ben strutturata.

Quello che è certo, e perfino scontato, è che esiste ancora oggi una profonda commistione tra i movimenti neo fascisti romani e una grossa parte della curva biancoceleste. Era già evidente dal tenore delle telefonate intercorse nella mattinata dell’11 novembre del 2007, subito dopo l’omicidio dell’ultras laziale Gabriele Sandri da parte di un agente di polizia. Nei dialoghi tra gli ultras laziali e Gianluca Iannone, ultras romanista tra i fondatori del gruppo Padroni di Casa, ed attuale leader di Casa Pound, che insieme a uno dei senatori degli Irriducibili, Fabrizio Toffolo entrambi volevano sapere subito cosa era successo».

Dunque, tale commistione, tra i neofascisti e le curve capitoline, è particolarmente evidente anche nella sponda giallorossa del tifo. Da venticinque anni almeno, quando – erano gli anni a cavallo tra il 1993 e il 1994 – e nella curva romanista facevano capolino quelli de: “L’opposta fazione”. Come ha raccontato Ugo Maria Tassinari nelle pagine di Fascisteria. I protagonisti, i movimenti e i misteri dell’eversione nera in Italia (1945-2000) edito da Castelvecchi, «a metà degli anni ’90, a Roma, è il movimento ultrà l’altro luogo di riaggregazione dei naziskin. Il saluto romano, gli inni cantati, lo schieramento a falange costituiscono manifestazioni usuali del disciolto partito fascista». Negli anni seguenti i camerati dell’Opposta Fazione, riposto il loro striscione, cercano di unificare tutta la curva giallorossa sotto le insegne dell’estrema destra. Nascono e prosperano così gruppi come Asr Roma Ultras, Tradizione e Distinzione, i Bisl (acronimo di basta infami solo lame) i Padroni di Casa, gruppo in cui è presente Giuliano Castellino, attuale capo romano di Forza Nuova, fino all’attuale gruppo “Roma”, che insieme agli storici Boys, ritornati nella curva giallorossa dopo una lunga assenza, raggruppano i camerati della Sud.

Qualche giorno fa un quadretto dell’Opposta Fazione è ricomparso, appositamente esposto, in un video pubblicato da Fabio Gaudenzi, braccio destro di Massimo Carminati, a suo tempo fondatore e a capo dello stesso gruppo neonazista. Gaudenzi, nome di battaglia Rommel, si è praticamente consegnato alla polizia, armi in pugno, presentandosi in questo modo: «Appartengo dal 1992 a un gruppo elitario di estrema destra denominato I fascisti di Roma Nord con a capo Massimo Carminati. Mi consegno consapevole di subire dei processi, ma vorrei essere processato per banda armata, come dovrebbe essere per Massimo Carminati e Riccardo Brugia». E ancora: «Noi non siamo mafiosi, ma siamo fascisti, lo siamo sempre stati e lo saremo sempre. A Massimo Carminati la mafia fa schifo, la droga fa schifo e anche a me fa schifo tutto questo, ma ne parleremo presto». Peccato che proprio Gaudenzi si vantava, fino a qualche anno fa, di aver ricevuto in passato assistenza in carcere e solidarietà da tutto l’ambiente carcerario per il solo fatto di essere messo in relazione con Carminati. Almeno questo racconta il processo Mafia Capitale che è tuttora in corso. Invece, in un altro processo che si è chiuso lo scorso anno in Cassazione, Daniele De Santis, un altro ex giovane di quella infornata generazione di neofascisti appartenenti all’Opposta fazione, è stato condannato, invece, a 16 anni perché riconosciuto colpevole di aver ucciso il giovane tifoso del Napoli Ciro Esposito, poco prima dell’inizio della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli disputatasi a Roma nel maggio del 2014.

E ora nella Capitale, sono proprio loro, i componenti di quelle tradizioni nere, ad essere in cerca di eredi. Gli stessi camerati romani che qualche pomeriggio fa si sono visti per condividere la piazza di Montecitorio insieme a Salvini, Toti e Meloni. E che qualche anno fa votavano in massa per quello che era il loro referente politico istituzionale a Roma. Luca Gramazio, giovane astro nascente della Destra capitolina, quella che era riuscita, cioè, a governare nel decennio scorso la Regione Lazio e il Comune di Roma, rispettivamente, con le giunte guidate da Francesco Storace e Gianni Alemanno.

Figlio d’arte-Luca-dell’attuale senatore del Popolo della Libertà ed ex dirigente missino Domenico Gramazio, l’uomo a 34 anni si era già seduto sulla doppia poltrona di consigliere comunale a Roma e di capogruppo regionale del Pdl in Regione; era insomma il politico più votato tra Roma e provincia, un ras da quasi venti mila preferenze. Fino a quando i carabinieri del Ros il 4 giugno del 2015 non lo vanno a prendere da casa all’alba, e lo arrestano coinvolgendolo nel maxi-blitz Mafia Capitale, insieme a diversi uomini e donne componenti la tela del crimine nero tessa da Massimo Carminati. Di recente, poi, nel processo che ne è seguito, Luca Gramazio è stato condannato in appello a 8 anni di carcere, perché i giudici l’hanno ritenuto, appunto, membro di un’associazione a delinquere, e facente parte del capitale istituzionale di Mafia Capitale, inteso come quel «sistema di relazioni con uomini politici, apparati burocratici, soggetti appartenenti ,a vario titolo alle istituzioni che costituiscono il contatto principale dell’organizzazione con il mondo di sopra», scrive la giudice per le indagini preliminari Flavia Costantini nell’ordinanza di 428 pagine che ha portato in carcere Gramazio: «Asset di specifico peso, in tale contesto, è Luca Gramazio, la cui crescita, politica e in pari tempo criminale, fa da contrappunto al progressivo eclissarsi dall’orbita criminale dell’organizzazione di Riccardo Mancini, così come evidenziato dallo stesso Carminati». Il quale fino a qualche anno fa così diceva: «In Regione c’avemo Luca».