approfondimenti

EUROPA

Il fascismo che verrà: note sulla crisi spagnola

Abbandonare il conflitto nel quotidiano a favore della conquista del potere ha lasciato il passo alle passioni tristi con le quali si alimenta la spinta sociale a destra

Stiamo tutti cercando di capire come sarà questo “fascismo che verrà” a livello globale e locale (per il momento disponiamo solo delle vecchie etichette per definirlo) e come combatterlo efficacemente. Qui di seguito, potete leggere alcuni spunti e riflessioni che, nonostante il tono troppo nitido e conclusivo, vorrebbero semplicemente essere utili per iniziare una discussione e aprire processi di riflessione e iniziative post 15M.

 

La crisi e lo spartiacque 15 M

L’irruzione di VoX [partito spagnolo di estrema destra nato nel 2013 – ndt] nelle ultime elezioni in Andalusia evidenzia che, dieci anni dopo e indipendentemente da come si interpretino i macrodati, la crisi continua ad essere la situazione che meglio descrive la congiuntura politica e la vita sociale in Spagna. La novità sarebbe che, se il malcontento generato dalla crisi si era manifestato prima con il 15 M e successivamente con il voto a Podemos o alle confluenze politiche [neologismo coniato da Podemos per definire le coalizioni di più forze politiche di cui fanno parte, ndt], adesso si sta spostando molto verso destra.

Dopo l’entrata in scena di Vox, abbiamo letto qua e là vari commenti che negavano il concetto secondo il quale il 15M avrebbe rappresentato in Spagna uno “spartiacque” all’ascesa generale dell’estrema destra che possiamo osservare in tutta l’Europa. Ritengo che questo sia un errore gravissimo.

Il 15M ha rappresentato davvero un antidoto alla spinta a destra, canalizzando lo scontento verso l’alto (politici e banchieri) e non verso il basso (migranti): non è però possibile considerarlo come un vaccino miracoloso ed eterno e aspettarsi che funzionasse una volta per tutte. Bisognava rinnovarlo e aggiornarlo per mantenere vivi i suoi effetti. E questo è quello che non è successo.

Il 15M è già avvenuto, è acqua passata. Ciò che verrà come nuovo momento di politicizzazione si chiamerà in altro modo e avrà un’altra forma. È molto importante però capire cosa ha rappresentato. Ovvero, quello che è riuscito a neutralizzare il virus fascistizzante durante gli anni peggiori della crisi.

Riassumendo molto, potremmo dire che il 15M è stato:

1) Un processo di auto-organizzazione popolare. Ovvero, non un movimento che si riferisse ad un soggetto precostituito (la classe operaia, ecc.), ma un processo di “creazione di popolo”. Perché è l’azione collettiva a creare un popolo e non il contrario. Un popolo è un processo che si costruisce, come un puzzle al quale si aggiungono sempre nuove tessere. Ad esempio, nelle piazze del 15M i migranti erano praticamente assenti ma si sono uniti più tardi al movimento attraverso la Plataforma de Afectados por la Hipoteca e la politicizzazione del problema degli sfratti.

Inoltre, il 15M ha avuto 2) un effetto di risensibilizzazione sociale. Mentre la crisi metteva al centro la vittimizzazione, il risentimento, la competitività e il si salvi chi può, il 15M spinse sull’attivazione sociale, sulla presa di coscienza, sull’empatia e sulla solidarietà. L’altro, lungi dall’essere un ostacolo o un nemico, si trasformava in complice dell’azione trasformatrice. Più che un’ideologia comune, il 15M ha creato una sensibilità comune nella quale ciò che succedeva ad altri sconosciuti veniva percepito come qualcosa che ci apparteneva, che sentivamo vicina. Un nuovo modo di dire “noi”, aperto ed includente verso chiunque fosse indignato per la situazione attuale di precarietà generalizzata e assenza di democrazia.

 

 

L’assalto alle istituzioni

“L’assalto alle istituzioni” intendeva riempire il potere politico (chiuso e sordo ai movimenti di piazza) di alcune delle richieste e delle nuove chiavi di lettura scaturite dal 15M. Sicuramente un’ottima idea. Tuttavia, durante il percorso si rompe quella tensione proficua tra intervento politico e intervento sociale. La discussione sul piano sociale (ovvero il luogo in cui si “crea popolo” e nel quale si modulano gli affetti collettivi) viene abbandonata in favore della conquista dello Stato, lasciando così campo libero alle strategie destrorse (sia quelle mediatiche che quelle riguardanti gli ambiti di quotidianità).

La disattivazione dello “spartiacque 15M” (le relazioni di azione collettiva, il mutuo soccorso, l’empatia e la solidarietà) lascia spazio ai virus che sono sempre in agguato durante una crisi economica e sociale: paura, isolamento, ostilità, vittimizzazione, risentimento, aggressività, ricerca di capri espiatori. Questa «passionalità oscura» (come la definisce Diego Sztulwark [politologo, ricercatore e docente argentino, ndt]) alimenta direttamente questo spostamento verso la destra e l’estrema destra.

Si è parlato dell’effetto amplificatore che hanno avuto i mezzi di comunicazione nella comparsa di Vox, e questo è un dato di fatto. Però dobbiamo ricordarci che i mezzi di comunicazione non possono imporre quello che vogliono alla società. Ad esempio, era impossibile che in un clima sociale come quello creato dal 15M potesse prendere piede l’idea che l’uscita dalla crisi passasse per l’esclusione dei migranti o per il pugno di ferro. È nell’indebolimento del clima sociale generato dal 15M che queste idee hanno attecchito.

 

Nuova Politica

Non abbiamo assistito soltanto all’affermazione di Vox, ma anche all’indebolimento di Unidos Podemos. In una tornata elettorale nella quale l’establishment (PP-PSOE) è stato punito con un’importante perdita di consenso, Unidos Podemos non è riuscita ad aumentare la propria base di un singolo voto. Anzi, tutto il contrario. Cosa ci dice questo? Che la Nuova Politica ha generato in brevissimo tempo delusione e disincanto.

L’assalto istituzionale si è fatto carico, in determinati momenti, di un’enorme quantità di energia che proveniva dal 15M: prospettive, speranze, desideri. Però abbiamo osservato come abbia perso forza nel momento in cui cominciava ad assomigliare sempre di più alla vecchia politica nelle forme di azione pratica: estremo personalismo, logica di gruppi e correnti, relazioni strumentali e un cannibalismo interno mai visto prima all’interno di un partito…

Pertanto, la svolta politica “realista” decisa in un preciso momento dalle élites di Podemos (subordinare tutto alla presa del potere politico: costruzione del movimento, forme di agire democratiche, accettazione del pluralismo e della critica politica, relazione positiva con l’altro e con l’avversario) si rivela oggi come la più illusa e illusoria: non hanno ottenuto né il potere politico né una società in movimento, attiva o critica che fosse.

Da questo punto di vista, la Nuova Politica ha generato una depoliticizzazione (disaffezione, demotivazione, delusione e disillusione), e nel vuoto di questa depoliticizzazione cresce la spinta sociale a destra. Per tutti questi motivi, se esistesse un dio della parola che ammutolisca chiunque parli a sproposito, credo che nessun dirigente di Podemos potrebbe “appellarsi allo spirito del 15M” senza perdere immediatamente la voce.

 

 

Due parole sulla Catalogna

Non è il conflitto in Catalogna ad aver “risvegliato il fascismo” nel resto della Spagna, ma piuttosto la forma assunta da questo conflitto. Cosa voglio dire?

Dalle pagine di questo blog abbiamo sostenuto un “ripensamento” della questione indipendentista in Catalogna, per non guardarlo soltanto come una questione identitaria o nazionale ma piuttosto come un’altra rappresentazione più diffusa, ambigua e impura del rifiuto del sistema politico spagnolo e della sua gestione della crisi. Però la logica della rappresentanza è riuscita a ridurre questo conflitto a una lotta tra due nazionalismi, fomentando così il latente anticatalanismo storico. C’è stata una incapacità (fuori e dentro la Catalogna) di trovare i modi per manifestare la complessità del processo e costruire un conflitto diverso e inclusivo per le persone (molte, moltissime) che condividono lo stesso rifiuto al di fuori della Catalogna. Ciò che era “in comune” (il malcontento delle vite in crisi e il rifiuto del neoliberismo) viene rotto e disperso da questa articolazione in chiave nazionalista.

 

Depoliticizzarsi per ripoliticizzarsi

La ripoliticizzazione che verrà (o meglio: che sta già avvenendo con i movimenti dei pensionati o delle donne) deve passare prima per una depoliticizzazione. Una depoliticizzazione positiva, un processo attivo all’interno del quale effettuare una “pulizia” di tutta una serie di usi e costumi che abbiamo acquisito durante la tappa dell’assalto istituzionale.

Ad esempio:

– L’idea che la società si cambi dall’alto occupando posti di potere statale. Nemmeno le migliori riforme sociali, quando sono mere concessioni e non sono accompagnate da processi di soggettivazione collettiva (dibattiti, politicizzazione, comprensione critica e altri valori) sono sufficienti al cambiamento sociale.

– L’idea che si possa e si debba subordinare tutto alla “vittoria” e alla “efficacia elettorale”: la discussione collettiva, le relazioni di uguaglianza, la democrazia dei processi, la pluralità, il valore della domanda e della critica, ecc. Abbiamo potuto verificare in breve tempo come si possa benissimo “vincere perdendo”: vincere potere e le elezioni, però perdere lungo la strada tutti gli ingredienti del cambiamento sociale per aver separato i mezzi dai fini.

Dobbiamo prendere la disaffezione e la delusione nei confronti della Nuova Politica come insegnamento e nuovo punto di partenza, come occasione per un cambiamento e per una svolta. Trasformare la depoliticizzazione in una leva.

 

 

Agire il campo dei rapporti di forza sociali

Il filosofo Michel Foucault ci propose di cambiare radicalmente la nostra concezione del potere: invece di vederlo come qualcosa che “cala” da alcune posizioni privilegiate (Stato, istituzioni) ci invitava a vederlo come un “campo di forze sociali”. Il potere risiede dovunque e si manifesta quotidianamente in migliaia di relazioni che costituiscono il nostro modo di vedere l’istruzione, la salute, la sessualità o il lavoro.

Le leggi o il potere politico non vengono prima, non sono le molle del cambiamento sociale né la sua causa, ma piuttosto rappresentano gli effetti dello scontro in questo campo di forze sociali. Basti pensare ai movimenti operai, delle donne, degli omosessuali o delle minoranze etniche durante il XX° secolo: i profondi processi di cambiamento della percezione, degli affetti e dei comportamenti sociali si sono manifestati prima di essere convertiti sul piano legislativo o istituzionale.

Lungi dall’essere una visione pessimista («il potere risiede dovunque»), l’analisi di Foucault contiene delle implicazioni molto positive: il cambiamento sociale è alla portata di tutti, si gioca sul piano della vita quotidiana di ognuno di noi, e i nostri gesti, decisioni e relazioni quotidiane hanno molta importanza.

È lo scontro su questo “campo di forze sociali” ad essere stato in gran parte abbandonato, lasciando via libera alla paura, all’isolamento, alla vittimizzazione e a tutte le passioni tristi di cui si alimentano le vecchie e nuove destre.

In questo “periodo oscuro” che si sta aprendo ora e nel quale il malessere sociale antisistemico viene indirizzato da destra, non si tratta soltanto di trovare un’altra “politica comunicativa” (facce, gesti, segni) con la quale parlare ai potenziali elettori della destra per convincerli a votare partiti di sinistra o progressisti. Così contribuiremmo soltanto a ridurre la politica a mera “comunicazione elettorale”. La destra e l’estrema destra crescono non perché abbiano una politica comunicativa migliore, ma perché sono capaci di produrre un tipo di soggettività (credenze, valori, affetti) con la quale veicolano il proprio messaggio elettorale.

La lotta per l’egemonia sociale si combatte nei luoghi di vita, in tutti gli ambienti lavorativi, territoriali e familiari nei quali costruiamo esperienze, ovvero in uno qualsiasi di quegli spazi quotidiani nei quali si configura il nostro modo di vedere e sentire il mondo.

Non dobbiamo per forza abbandonare l’intervento nella sfera della rappresentanza ma piuttosto complessizzarla e ripensare/ricostruire il modo in cui si collega con l’intervento nella vita sociale. Perché è lì che si crea il popolo, si modulano gli affetti collettivi e si cambiano le cose.

 

 

Articolo apparso in spagnolo sul sito eldiario

Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress