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Falsos positivos, una speranza dai processi per i crimini di Stato in Colombia

L’incessante lavoro di indagine della Giurisdizione speciale per la Pace, fatto di ascolto di testimonianze, ricerca e riesumazione di cadaveri e organizzazione delle udienze, ha tirato le prime somme e indicato il nome di vittime e colpevoli dei cosiddetti falsos positivos

Poco prima che in Colombia le formazioni paramilitari dichiarassero il paro armado contro l’estradizione del narcotrafficante Otoniel, intervenendo in diverse aree del paese per bloccare la mobilità, le attività e la circolazione provocando morti, incendi, danneggiamenti e minacce, la giornata dello scorso 26 aprile nella regione del Norte de Santander, al confine con il Venezuela, passerà alla storia per la carica di giustizia, rabbia e commozione che lascia dietro di sé.

Per emozionarsi e comprendere è importante inquadrare il contesto che ci porta a Ocaña, nel salone in cui il Tribunale Speciale per la Pace sta dando udienza a militari dell’esercito nazionale e famigliari di vittime del conflitto.

Sono più di 60 anni che una guerra interna dilania il Paese; gli scontri tra guerrilleros, paramilitari ed esercito hanno provocato in questi lunghi anni un numero impressionante di vittime, sfollati e scomparsi. Il narcotraffico e le multinazionali, inoltre, giocano un ruolo fondamentale, inserendosi nei contesti strategici ai loro scopi commerciali per accaparrarsi terre e manodopera.

La violenza in Colombia è una questione all’ordine del giorno. Chiunque provi a opporsi, attraverso dei percorsi politici e i movimenti sociali diventa un bersaglio. Sono migliaia gli attivisti uccisi per aver preso una posizione nei confronti del conflitto, per aver cercato di costruire dei percorsi di pace e per averci messo la faccia e l’impegno in prima persona sui territori.

La guerra si combatte soprattutto nelle campagne e sulle montagne, laddove lo Stato, lascia le comunità contadine, indigene e afrodiscendenti alla mercé dei controllori di turno. Gli accordi di Pace, siglati con le Farc nel 2016, ed osteggiati profondamente dall’attuale governo di ultradestra, sono rimasti in tanti dei loro punti ancora solamente sulla carta.

Troppe, tantissime volte, la popolazione civile viene coinvolta senza volerlo. Immaginate di ricevere all’improvviso in casa delle persone con un fucile che vi chiedono di usare il bagno e di servirgli una tazza di caffè. Chi avrebbe il coraggio e la forza di opporsi? Ecco, intere famiglie e addirittura comunità, sono state sterminate, per essersi “esposte” in questa maniera, passando per filo-guerrilleros, paramilitari o collaboratrici dell’esercito.

Se a questo aggiungiamo una mancanza di reali prospettive per chi abita le campagne, ecco che si ingrossano le file di chi sceglie di imbracciare un fucile, con la speranza di uno stipendio, per rincorrere un ideale o con la prospettiva di una fuga. Questa guerra si costruisce sulla paura. Paura di esporsi, paura di non farcela a fine mese, paura di perdere la propria casa e la propria famiglia, paura di non dimostrarsi coraggiosi.

Una delle pagine più tristi e drammatiche della storia di questo conflitto è sicuramente quella dei “Falsos Positivos”, che si inserisce in questo contesto come ennesima prova della brutalità che è stato capace di raggiungere. Durante il Governo del presidente di estrema destra Alvaro Uribe Velez, ex presidente del Partito Liberale, ex governatore di Antioquia e presidente per ben due mandati tra il 2002 e il 2010, anni in cui si sono intensificate politiche di guerra e violenza nel paese, e tutt’oggi in grado di esercitare il suo enorme potere politico, è stata sistematicamente portata avanti una pratica violenta denunciata da molti anni dalle Madres de Soacha, dalle organizzazioni per i diritti umani e dai movimenti sociali colombiani.

Membri dell’Esercito nazionale, per guadagnare “punti”, quindi permessi, aumenti in busta paga e passaggi di grado, hanno ucciso persone innocenti travestendole da guerrilleros, così da poter ottenere dei benefici. Lontani dall’essere episodi sporadici e slegati gli uni dagli altri, i “falsos positivos” diventano un caso, grazie all’impegno dei famigliari delle vittime e alle associazioni nazionali e internazionali che li appoggiano. Sono tantissime le testimonianze che è possibile consultare, la strategia è quasi sempre la stessa: reclutare ragazzi giovani offrendo loro dei lavori, portarli in campagna, assassinarli, travestirli con mimetica e fucili, fotografarli e farli sparire.

Per anni, la maggior parte di questi crimini sono rimasti impuniti. Ed eccoci a Ocaña, nel 2022. L’incessante lavoro di indagine della JEP (Giurisdizione speciale per la Pace), fatto di ascolto di testimonianze, ricerca e riesumazione di cadaveri e organizzazione delle udienze, ha tirato le prime somme e indicato il nome di vittime e colpevoli.

Sono 6400 i colombiani uccisi in questa maniera. Nella sala, si respira aria di tensione, non è facile per una madre, per un fratello, per un padre, per una amica, stare di fronte a chi si sta dichiarando colpevole di aver tolto la vita a un proprio caro. «Valeva di più un premio che il dolore immenso di una madre?”, “Ho agito sotto pressione, per delle motivazioni futili», «Lei si sta dichiarando colpevole, ma chi le ha dato l’ordine?», «Per me non è facile essere qui oggi, abbiamo ucciso degli innocenti». Le lacrime si mescolano all’orgoglio di chi sa di aver lottato anni per la verità. In questa Colombia l’impunità è stata una regola, da questo aprile si può iniziare a sperare in un cambiamento.

Immagine di copertina e nell’articolo di Medios Libres Cali