EUROPA

Estradizione sospesa e possibile scarcerazione per Vincenzo Vecchi

Nella seconda udienza, il giudice accoglie le istanze della difesa. Mandato d’arresto europeo e richiesta di estradizione giudicate lacunose. E si aprono degli spiragli per la libertà vigilata fino alla sentenza definitiva sull’eventuale consegna alle autorità italiane

La Corte d’Appello di Rennes, in Bretagna, ha sospeso l’estradizione di Vincenzo Vecchi, condannato per le giornate del G8 di Genova del 2001 e per la manifestazione antifascista dell’11 marzo 2006 a Milano. Il dossier per l’estradizione (che dopo così tanti anni può definirsi una vera e propria vendetta di Stato) presentato dalle autorità italiane è stato infatti giudicato lacunoso e profondamente incompleto. La Corte ha richiesto un supplemento di informazioni su entrambi i processi celebrati in Italia, in particolare sulla sentenza della Corte di Cassazione del 2012 che ha reso definitive le sentenze per Vincenzo, Ines, Marina, Alberto e Jimmy (rimandando in appello la determinazione delle pene per gli altri cinque imputati). Le questioni sollevate dalla Corte riguardano il rispetto dei diritti della difesa nel corso del processo sul G8 e i termini di prescrizione della pena.

La difesa ha inoltre prodotto un documento originale che certifica come la pena comminata per il corteo antifascista di Milano fosse stata espiata prima dell’emissione del mandato di cattura europeo riguardante anche questa stessa sentenza. La sequenza di omissioni, mancanze, imprecisioni e, probabilmente, irregolarità del mandato di arresto europeo e della richiesta di estradizione aprono uno spiraglio giuridico per la liberazione di Vincenzo.

La Corte di Appello di Rennes ha infatti disposto verifiche di fattibilità per una eventuale scarcerazione dell’uomo in regime di libertà vigilata attraverso il dispositivo del braccialetto elettronico. Almeno fino alla decisione sulla richiesta di estradizione italiana. Vincenzo potrebbe quindi uscire dal carcere di Vezin-le-Coquet, nel quale è rinchiuso dall’8 agosto, giorno dell’arresto a Rochefort-en-Terre, nel Morbihan, dove da otto anni si era ricostruito una esistenza e dove era attivo socialmente nel bar-associazione Café de la Pente, luogo di ritrovo solidale del piccolo paesino di 600 persone alle porte della Loira Atlantica.

Proprio l’attività sociale e politica di Vincenzo è stata il motore dell’imponente attivazione solidale che ha caratterizzato le due settimane successive all’arresto. La mobilitazione Ni prison, ni extradiction, Liberté pour Vincenzo si è dispiegata nella piccola cittadina bretone con la comparsa di numerosi striscioni, la pubblicazione quasi giornaliera di articoli su quotidiani nazionali come Libération e presidi molto partecipati, come quello odierno davanti la Corte di Appello che ha riunito oltre duecento persone. Il movimento per la liberazione di Vincenzo ha sottolineato l’evidente sproporzione fra la pena comminata e i fatti di cui è accusato, in virtù di articoli del Codice Penale (art. 419 , “Devastazione e saccheggio”) eredità del Codice Rocco di epoca fascista.

Le istanze di liberazione di Vincenzo e il dibattito pubblico che il movimento solidale è stato capace di innescare sottolineano inoltre l’evidente asimmetria fra i processi riguardanti l’assassinio di Carlo Giuliani e le torture della Diaz e di Bolzaneto (in cui poliziotti e carabinieri imputati sono stati assolti, prescritti o condannati per reati minori e comunque successivamente reintegrati in servizio e addirittura promossi) e quelli nei confronti dei manifestanti accusati unicamente di reati contro delle cose (dieci condanne da sei a tredici anni per devastazione e saccheggio).

È importante sottolineare come la sospensione dell’estradizione disposta oggi dalla Corte di Appello di Rennes sia frutto anche di questa attivazione solidale. Lo spazio che si sta aprendo è infatti uno spazio politico prima che giuridico, come insegna la dottrina Mitterand, che concesse asilo politico ai militanti politici rifugiatisi in Francia nel corso degli anni ’70 e ’80. Un contesto, quello odierno, radicalmente diverso, in cui la caccia ai latitanti politici di estrema sinistra (nessuno osi toccare i terroristi neri) è parte integrante di una campagna elettorale permanente lanciata da Salvini e costruita sulla criminalizzazione e persecuzione di ben determinati soggetti sociali (poveri, migranti e militanti politici).

In questa caccia i prigionieri sono trofei da esibire (come Cesare Battisti).

La partita da giocare è quindi tutta politica e richiede la mobilitazione di tutte/i.