ITALIA

Vincenzo siamo tutti noi

L’ultimo manifestante condannato per le contestazioni al G8 di Genova 2001 nel processo-vendetta dello Stato italiano è stato arrestato tre giorni fa. Vincenzo Vecchi è rinchiuso adesso nel carcere di Rennes e sarà probabilmente estradato in Italia per scontare 11 anni e 6 mesi di carcere. Contro di lui un accanimento poliziesco e mediatico degno del paese in cui viviamo

«Mi onoro di aver partecipato da uomo libero a una giornata di contestazione contro un’economia capitalista». Lo aveva detto Vincenzo Vecchi, alla fine del primo grado del processo con cui lo Stato italiano ha regolato i conti con chi, dal 19 al 22 luglio 2001, sfidò i potenti della terra riuniti nel G8 di Genova.

Vincenzo, 46 anni, è stato arrestato il 10 agosto in Francia. Secondo quanto scrivono i giornali viveva in una comune in Bretagna, a Rochefort en Terre (Morbihan), e lavorava come imbianchino. I suoi amici dicono che era perfettamente integrato nella comunità locale, dove ha trascorso otto anni della sua vita. L’uomo era latitante dal 2012, quando la Cassazione emise le condanne definitive contro dieci manifestanti: 100 anni di carcere accollati a pochi capri espiatori da far pagare per tutti; 100 anni di carcere per punire in maniera esemplare chi si era opposto alla devastazione e al saccheggio perpetrati dall’economia capitalista; 100 anni di carcere per ripulire la coscienza sporca dei corpi di polizia e lavare il sangue dalle mani di agenti e funzionari.

La condanna di Vincenzo ammonta a 11 anni e 6 mesi. Più alta di quella di tanti assassini e torturatori, in divisa e non. Sulle sue tracce erano da tempo la Digos e il Servizio per il contrasto dell’estremismo e del terrorismo interno. Pare che non abbiano mai smesso di monitorare i suoi ex compagni di lotta e tutta la sua famiglia. Fino a quando, quest’estate, la donna con cui ha avuto una figlia lo ha raggiunto per una settimana di vacanze insieme. Sarebbe così scattata la segnalazione alle autorità francesi che lo hanno arrestato. L’uomo è adesso rinchiuso nel carcere di Rennes, in attesa che un giudice autorizzi l’estradizione. Era l’ultima persona in fuga dalla sentenza, dopo gli arresti di Jimmy Puglisi (2013, a Barcellona) e Luca Finotti (2017, in Svizzera).

Su Genova è già stato detto tutto. È già stato detto, e dimostrato dagli esiti dei diversi filoni processuali contro forze dell’ordine e manifestanti, che per lo Stato italiano vale più una vetrina rotta che la vita di una persona. È già stato detto, e da voci molto diverse, che le condanne emesse contro i 10 imputati non hanno nulla a che fare con lo stato di diritto né con le stesse regole della cosiddetta “giustizia” dei tribunali, ma costituiscono soltanto una vendetta dello Stato. È già stato detto che Genova non è mai finita, non soltanto per chi in quei giorni era nelle strade a combattere, ma anche per chi quelle mobilitazioni le aveva guardate da dietro i muri dei palazzi del governo, da dietro gli schermi degli uffici delle questure, comprendendo il pericolo che costituivano per un ordine mondiale fondato su disuguaglianze, ingiustizie, violenza, saccheggio, distruzione.

Il fatto che i servizi antiterrorismo italiani abbiano continuato a indagare per anni, e chissà con quale spreco di soldi pubblici, su un uomo che non ha ucciso nessuno, che non ha usato violenza contro alcun essere umano, è una prova in più di quanto male abbiano fatto quelle giornate e quel movimento ai potenti di turno. La controparte non ha dimenticato e non ha perso occasione per vendicarsi ed esporre pubblicamente la propria vittoria: punire in modo esemplare le pratiche di rivolta è sempre una forma di prevenzione per il potere costituito.

Nella Repubblica delle stragi impunite, dei terroristi neri liberi di emigrare e rifarsi una vita con la benedizione di autorità e servizi segreti, delle leggi fasciste mai cancellate e anzi portate a nuove estreme conseguenze, la storia di Vincenzo è l’ennesima evidenza della vera natura di questo Stato. Non ci sono polizie democratiche o garanzie processuali che tengano quando il “sistema” viene guardato negli occhi e sfidato.

C’è poi un’altra questione da tenere in conto. La personalizzazione delle responsabilità, la vendetta contro alcuni soggetti specifici, la persecuzione di vite individuali serve anche a negare la portata moltitudinaria di quello che è successo nelle strade di Genova e a cancellare dalla memoria collettiva le ragioni di quell’insorgenza.

E questa è un’operazione ancora più infame, visti i tempi che corrono. Già 20 anni fa, il movimento No Global aveva indicato la necessità di cambiare strada rispetto a quella tracciata dall’economia e dalla politica neoliberista. Aveva detto che bisognava mettere fine alle guerre, cancellare le disuguaglianze economiche e sociali a livello globale, smetterla di distruggere il pianeta per servire gli interessi di pochi. Le più grandi problematiche che affliggono il nostro tempo affondano le radici proprio dove il «movimento dei movimenti» aveva puntato il dito. Le migrazioni di massa, la distruzione di interi paesi, il cambiamento climatico sempre più rapido sono gli effetti più evidenti dei perversi meccanismi della globalizzazione neoliberista.

E dopo la tragedia di un movimento spazzato via a colpi di pistola, manganellate, torture e processi-vendetta, oggi ci tocca assistere anche alla farsa di partiti politici sovranisti, razzisti, fascisti che a partire dal crescente malcontento che quel tipo di globalizzazione produce costruiscono consenso, agitando soluzioni effimere e inutili che mai mettono in questione, come avevano fatto in tutto il mondo milioni di No Global, il cuore del problema: l’economia capitalista.

Anche per questo esprimiamo una forte solidarietà a Vincenzo e alla sua famiglia, così come a Marina, Jimmy, Alberto e Luca che ancora pagano con galera e limitazione della libertà questa vendetta di Stato. Quei giorni a Genova c’eravamo tutti e tutte, dalla stessa parte della barricata.  Siamo al fianco del collettivo «Sostegno a Vincenzo» che chiede alla Francia di rifiutare l’estradizione sulla base di due elementi. Il primo è la «legittimità della condanna»: è stata emessa da uno Stato a sua volta condannato per le vicende di Genova dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e si basa sul reato di devastazione e saccheggio codificato dal codice penale fascista e mai eliminato nella transizione alla democrazia parlamentare. Il secondo è il carattere politico dell’arresto e dell’estradizione, in un momento in cui l’ordinamento giuridico-istituzionale italiano soffre torsioni sempre più autoritarie che ne mettono in dubbio la natura antifascista e fanno scontrare la presunta volontà popolare che sarebbe impersonata da alcuni leader politici contro l’inviolabilità dei diritti fondamentali. In questo contesto bisogna affermare che l’Italia non è un paese sicuro.

Oggi, 14 agosto, nella città francese di Rennes ci sarà un concentramento in solidarietà con Vincenzo e contro l’estradizione.