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Elezioni in Argentina: un potente sospiro di sollievo democratico

I risultati del primo turno delle elezioni generali di domenica 22 ottobre hanno sorpreso tutti. E hanno rappresentato un cambiamento significativo rispetto alle primarie di agosto. Un cambiamento di tendenza, ampiamente positivo. Una analisi del primo turno verso il ballottaggio del prossimo 19 novembre tra il candidato peronista Sergio Massa e l’ultra neoliberista di estrema destra Javier Milei

Secondo i risultati ufficiali del primo turno delle elezioni presidenziali del 22 ottobre, Sergio Massa, candidato della coalizione peronista Unione per la Patria, Ministro dell’Economia dell’attuale governo, effettua una grande rimonta rispetto alle primarie e arriva primo con il 36,7%. Andrà al ballottaggio il prossimo 19 novembre contro il candidato dell’estrema destra Javier Milei che ha ottenuto il 30%. Fuori dalla contesa Patricia Bullrich, candidata della coalizione di destra Juntos por el Cambio, sostenuta dall’ex presidente Mauricio Macri, che si ferma al 23,8%, così come il governatore peronista di Cordoba, Juan Schiaretti al 6,8, e la candidata delle sinistre trotzkiste Myriam Bregman al 2,7.

Due mesi fa, alle elezioni primarie, obbligatorie e simultanee, avevamo assisti a quello che Revista Crisis ha definito come “l’irruzione del malessere popolare”, ed il primo posto era andato a Milei con il 30 per cento dei voti, al secondo posto Bullrich con il 28,3%, mentre al terzo posto, con solamente il 27,27%, il peronismo con la candidatura di Massa. Il contributo di Gago e Cavallero aveva permesso leggere e comprendere il voto a partire dalla vita quotidiana e da una prospettiva femminista, per interrogare la relazione tra voto all’estrema destra, crisi e precarietà della vita indicando un terreno di contesa politca dove appare centrale il ruolo del femminismo. Sarà un mese intenso di campagna elettorale e di contesa politica verso il ballottaggio, ma lo scenario è decisamente migliore di quanto potesse apparire solamente due mesi fa, nonostante la crisi economica continua ad acuirsi nel paese. (Nota della redazione)

L’Argentina dal punto di vista politico è una vera e propria scatola piena di sorprese. E quando entra in crisi sembra una montagna russa di quelle che danno le vertigini. I risultati del primo turno delle elezioni generali di domenica 22 ottobre hanno sorpreso tutti, sia noi che gli altri. Cominciando da noi stessi, che non ce lo aspettavamo. E hanno rappresentato un cambiamento significativo rispetto alle primarie di agosto. Un cambiamento di tendenza, ampiamente positivo. Un potente sospiro di sollievo democratico. Un evento denso di significati che abbiamo bisogno di comprendere per bene.

Il messaggio più importante che viene dalle urne è la stagnazione della performance elettorale di Milei. L’ondata “libertaria” ha avuto un freno. E questo è successo nonostante l’accelerazione della crisi sociale che gli offriva terreno per una crescita esponenziale.

Il secondo dato che nessuno si era augurato è stato lo svegliarsi del gigante peronista, per l’ennesima volta. Questa volta è riuscito nel miracolo di lasciare in secondo piano la penuria economia delle maggioranze, per dare un trionfo al ministro-candidato Sergio Massa. E garantire ad Axel Kicillof, il governatore della provincia di Buenos Aires (la provincia più popolosa del paese, quasi il 33% del voto nazionale) una rielezione con ampi margini.  La terza conclusione era prevedibile, ma nonostante ciò è impattante la sua portata: il fallimento della coalizione di Macri, incapace di leggere gli spiazzamenti della attuale conflittività, un fallimento che può provocare la disgregazione dell’alleanza elettorale.

Ma per comprendere le ragioni di questo significativo cambiamento del campo di battaglia, probabilmente non bisogna guardare solo all’offerta elettorale. Forse conviene prima focalizzare l’attenzione su quello che potrebbe essere stato un movimento tettonico della soggettività popolare. La prima interpretazione, quella che emerge dai media, assicura che la paura ha vinto sulla volontà di cambiamento. Potremmo però andare un po’ oltre e azzardare l’ipotesi dell’attivazione di un sentimento ancestrale di autopreservazione collettiva. Nessuno ignora che il presente è denso di calamità, ma sembra ancora esistere una sufficiente saggezza per evitare la catastrofe. Non è poco, in questo mondo crudele, riaffermare la fede in un assioma chiave della politica democratica, nella sua accezione plebea: il popolo non sbaglia mai.

Contro ogni trionfalismo

Ci sono molti motivi per passare velocemente dai festeggiamenti alla veglia. Il primo e il più urgente: il prossimo 19 novembre ci sarà il ballottaggio e niente è ancora definito. È finita l’elezione dei tre terzi, in cui l’aspetto fondamentale era mantenere alto il proprio livello. Adesso arriva la fase finale, in cui vince chi riesce a oltrepassare il tetto di voti. In questo contesto, la somma dei voti di destra (Milei + Bullrich) supera il 50%. E l’attuale coalizione di governo deve avere almeno un 13% di voti in più per aspirare a continuare a governare.

Saranno quattro settimane di guerra aperta per vedere chi riesce a destabilizzare il rivale. Il nuovo idolo peronista è un professionista della politica, ostenta una sfrenata volontà di potere e si trova a un passo dal coronamento della sua carriera politica a zig zag, per cui disporrà tutta la sua artiglieria senza risparmiarsi. Ha inoltre una fonte inesauribile di risorse, non solo perché ha in mano l’apparato statale ma anche perché ha dalla sua il sostegno del nucleo duro del potere economico locale. E ha un solido sostegno anche a livello internazionale, come i governi di Brasile e Stati Uniti.

Si tratta di uno strumento considerevole per persuadere, o in caso contrario minacciare, ai terzi incomodi, cominciando dal governatore di Cordoba Juan Schiaretti (6,78%) fino alle colombe della coalizione di destra Juntos por el Cambio (e anche alcuni falchi magari). La pressione può addirittura arrivare fino a La Libertad Avanza (partido di estrema destra di Milei) e provocare rottura nelle file nemiche. Ci sono già alcune persone vicine al ministro dell’Economia insinuano che ci sia addirittura la possibilità che il candidato libertario possa emulare il suo ammirato Carlos Saúl Menem e rinunciare al ballottaggio.

L’entourage di Javier Milei sa che le sue chances dipendono dalla capacità che avranno di rendere più profondo il deterioro della governabilità e convincere così la metà più uno dei votanti della necessità di un cambiamento, nonostante possa fare male. L’arma fondamentale per questa nuova tappa della campagna potrebbe essere Mauricio Macri, che potrà convincere una parte importante dell’establishment del fatto che la malattia sarà peggiore del medicinale. Non possiamo escludere l’appello alla violenza per configurare uno scenario di caos.

Oltre a questa contesa che vedremo dispiegarsi negli inframondi della politica, le lettere retoriche per convincere i votanti sono già state scritte: la proposta di un governo di unità nazionale, contro il tentativo di riunire l’opposizione in torno alla frase fatta dell’anti-kirchnerismo viscerale.

Memoria e bilancio

Il risultato della scorsa domenica potrebbe essere letto come la messa in dubbio di un enunciato che sembrava essersi convertito in una cosa ovvia: “la società si è spostata a destra”. Nonostante l’immenso e giustificato malessere rispetto ad un progressismo che non ha saputo trovare soluzione ai problemi – piuttosto peggiorando la situazione – la cittadinanza ha impedito che questo malcontento fosse manipolato per farla finita con le conquiste storiche di forte contenuto democratico e popolare. Nell’immediato, ha sottratto a Milei questa aura di presidente inevitabile che gli assegnava il potere di distruggere la moneta argentina e preparare il terreno per una terapia dello shock. E alla prima lettura dei risultati, ha costretto il libertario a dire che non aveva in mente di eliminare alcun diritto. Anche così la sua promessa risultava inverosimile.

Rispetto a questo però, chi si è spostato verso destra in modo ben visibile è stato il sistema politico. Basta uno sguardo all’ingresso di massa di personaggi di ultradestra al Congresso Nazionale. Ma c’è di più: per quelli che crediamo che la democrazia solo potrà consolidarsi con profonde trasformazioni dell’attuale struttura di potere, non conviene entusiasmarsi per una eventuale presidenza di Sergio Massa, che rappresenta il settore più conservatore del peronismo. Al tempo stesso, la vittoria categorica di Kicillof nella strategica provincia di Buenos Aires costituisce un contrappeso promettente che concede un certo dinamismo alla situazione e riapre l’orizzonte per nuove composizioni politiche di una giustizia sociale che non può più continuare a essere sacrificata sull’altare del possibilismo e della mediocrità.

I risultati del 22 ottobre ci hanno permesso respirare, quando tutto sembrava indicare che l’angoscia ci avrebbe sopraffatti. Speriamo che serva per recuperare il tempo perso e tornare a mettere al centro quelle riserve democratiche che permangono latenti nel seno di una comunità sopraffatta.

Pubblicato su Revista Crisis, che ringraziamo per la gentile concessione. Traduzione in italiano di Alioscia Castronovo per Dinamopress

Immagine di copertina di Martin Vega da Revista Crisis