ITALIA

Disastro Covid-19 in Lombardia. Una battaglia che deve essere politica

Se è vero che nell’emergenza la reazione dei movimenti sociali è stata tempestiva, è altrettanto vero che, dopo il fuoco iniziale, c’è stato una sorta di “rilassamento” sulla necessità di inchiodare la nostra classe politica alle proprie responsabilità. La Regione Lombardia sta cercando di prendere tempo, per preservare il modello che ci ha condotti al disastro

È passato ormai più di un mese dalla manifestazione sotto la Regione dello scorso 20 giugno. Una manifestazione che intendeva denunciare le gigantesche responsabilità politiche di chi governa la Lombardia da 25 anni nella disastrosa gestione regionale dell’emergenza Covid-19 e che, oggi più che mai, pensiamo sia stato giusto organizzare sotto la sede del potere politico regionale.

Da quel giorno, le inchieste delle varie procure lombarde si sono moltiplicate e si fa fatica anche a tenere il conto dei vari procedimenti. C’è quello ormai celebre della Procura di Milano sulla fornitura/donazione di camici, che marcia spedito come un treno e che ha visto il Governatore Fontana iscritto nel registro degli indagati. A questo va aggiunto quello più recente sul famigerato ospedale in Fiera. C’è quello della Procura di Pavia sull’assegnazione diretta alla Diasorin della gestione dei test sierologici. Ultimo, al momento piuttosto silente (ma non per questo potenzialmente meno dirompente) dopo i rumors mediatici iniziali, il procedimento della Procura di Bergamo, che sta cercando di analizzare la malagestione nelle prime fasi dell’epidemia su diversi fronti. Non dimentichiamo poi la mole sempre più imponente di denunce da parte dei partenti delle vittime in tutta la Regione.

Tutto bene quindi? Non proprio. Fino a qui abbiamo parlato di magistratura, inchieste, tribunali… Ci piacerebbe ora parlare dei movimenti e delle loro mosse contro il potere politico-economico che da anni domina la nostra Regione.

 

Sì, perché se è vero che nell’emergenza la reazione dei movimenti sociali è stata tempestiva, e ne è prova la nascita delle Brigate Volontarie per l’Emergenza, è altrettanto vero che, dopo il fuoco iniziale, c’è stato una sorta di “rilassamento” sulla necessità di inchiodare la nostra classe politica alle proprie responsabilità.

 

La storia, del resto, ci ha insegnato che la “supplenza” della magistratura nei confronti della politica spesso e volentieri produce frutti velenosi. Così è stato con Tangentopoli, dove la magistratura, sostenuta da un vero e proprio tifo da stadio, ha spazzato via un’intera classe politica corrotta che non è certo stata sostituita né dai giacobini, né dai soviet e neppure da un ceto politico migliore. E lo stesso discorso vale per Berlusconi, il cui crollo, cui ha contribuito in parte anche il cannoneggiamento da parte della Procura di Milano, ha aperto un vuoto a destra. Un vuoto che ha permesso lo sviluppo impetuoso e feroce del sovranismo prepotente e bullesco dei vari Salvini e Meloni.

La partita, del resto, è di quelle pesanti. Stiamo parlando nientemeno che della perversa commistione tra pubblico e privato che caratterizza la nostra sanità (e non solo quella, in Italia). È il cosiddetto “modello lombardo” costruito dal 1995 in poi da Formigoni a essere messo sotto accusa. Un modello di cui la legge sanitaria regionale di Maroni del 2015 non è che un ulteriore step. Una legge, quella di Maroni, che proprio in questo 2020 funestato dalla pandemia deve passare al vaglio del Ministero della Salute. Una legge, quella sulla sanità lombarda, fortemente responsabile della distruzione della sanità territoriale, ormai delegata alle grande strutture ospedaliere, che tanti danni ha prodotto nella fase più tragica dell’epidemia in cui i medici di base si sono trovati totalmente impreparati a gestire l’emergenza, sbattuti in prima linea senza alcuna possibilità di reggere l’urto e infatti travolti dal Covid-19 al quale hanno pagato un grosso tributo anche in termini di vite umane.

 

È evidente che la destra in Regione sta cercando di prendere tempo, pur consapevole che qualcosa andrà cambiato anche a causa dell’insoddisfazione (per usare un eufemismo) di tutti i lavoratori del settore della sanità.

 

La speranza, da parte di Lega e compagnia di giro, è quella di apportare piccole modifiche senza andare a intaccare realmente la “gallina dalle uova d’oro”. Se si osserva la posta in gioco è quindi più comprensibile la circospezione con cui, sia a livello locale che nazionale, si sta muovendo la sinistra istituzionale. Una sinistra che non può fingere di non avere responsabilità nell’aziendalizzazione della sanità degli ultimi 30 anni e un ministro, quello della salute, che vorrebbe tanto evitare l’ennesima tegola rappresentata da uno scontro in campo aperto con il potere politico-economico lombardo.

In questa partita a scacchi fatta di esasperati tatticismi e incomprensibili (anzi comprensibilissime) cautele dove nessuno, a livello istituzionale, sembra realmente intenzionato a dare alla sanità lombarda quello scossone che le sarebbe salutare, i movimenti sociali potrebbero pesare e dire la loro.

A patto di riprendere a muoversi nel luogo a loro più consono: la strada.

 

Articolo pubblicato originariamente su Milano in Movimento