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MONDO

Hong Kong, dalle proteste di piazza ai nuovi sindacati

Per diversi mesi nel 2019, le notizie del mondo dei media mettevano in prima pagina quasi ogni giorno il movimento di protesta contro la legge sull’estradizione. Tuttavia, alla fine dell’anno con la diminuzione delle violenze di strada e la sconfitta degli studenti e dei loro sostenitori durante le due battaglie sostenute nelle due università, nei media mondiali l’attenzione ha preso a scemare. Se l’attenzione globale si volge altrove, si potrebbe pensare che il movimento è finito per morte naturale. Non è andata così. E’ stato infatti in questo momento che nel movimento si è aperta una ulteriore nuova direzione, gli attivisti hanno iniziato a creare dei nuovi sindacati, e questo significa un nascente movimento organizzato

Disaccordo nella solidarietà

Durante il movimento degli ombrelli, finito nel 2015, sono emersi un mucchio di piccoli gruppi e partiti politici affianco ai diversi partiti componenti il vecchio blocco pro-democratico. Ciò portò a competizione e frammentazione, debilitando l’efficacia dell’attività politica. Consapevole di questa lezione, il movimento contro la legge sull’estradizione che è iniziato nel giugno del 2019 portando in strada oltre un milione di persone, fino a oggi ha dimostrato una incrollabile solidarietà. Le differenze sono state messe da parte e il movimento si è unito su tre ideali. Il primo è spiegabile con lo slogan che è stato utilizzato ovunque: “Cinque richieste. Non una di meno”, richieste così ampie da mettere d’accordo tutte le diverse appartenenze politiche. Il secondo è una sorta di patto racchiuso nel motto “ i fratelli scalano la montagna; ognuno fa il proprio meglio”, a significare che ognuno adotta la strategia che ritiene migliore per raggiungere l’obiettivo, senza però criticare o intervenire nelle azioni e nelle strategie degli altri.

Questo ha portato a gestire insieme i due blocchi del movimento di protesta: quello dei “valorosi” e quello dei “pacifici, ragionevoli e non violenti”. Il primo blocco è costituito principalmente da studenti e giovani, equipaggiati allo scontro con la polizia. Il secondo blocco è composto da persone che o non vogliono o non sono in condizione di sostenere una sconto fisico ma giocano un ruolo di supporto, come per esempio organizzare e partecipare ai cortei, aderire a pacifiche attività quali “mangiamo insieme” o “cantiamo insieme”, fare colletta, fare le catene umane e partecipare a una miriade di altre attività abbastanza originali.

 

Per rappresentare l’unione di queste due anime del movimento, è stato persino giocosamente creato un nuovo ideogramma cinese che combina due caratteri, quello di “pacifico” con quello di “valoroso” (il primo è “he” 禾 il secondo “yong” 勇).

 

Il terzo ideale è l’accordo sul fatto che non c’è il “grande tavolo”, cioè non ci sono capi che siedono attorno a un tavolo a decidere la direzione del movimento. Chiunque può fare una proposta (veramente qualsiasi tipo di idea e di azione è stata messa in campo) in qualsiasi momento e luogo attraverso la piattaforma di Telegram, che non richiede la registrazione col proprio vero nome. Come dice lo slogan, questo movimento doveva “essere acqua”, vale a dire un movimento non pianificato, imprevedibile, fluido e spontaneo, con tattiche di guerriglia urbana dove i manifestanti appaiono e scompaiono improvvisamente nei centri commerciali e nelle stazioni della metropolitana. Allo stesso tempo, le grandi manifestazioni organizzate dai partiti del fronte pro-democratico e da altre organizzazioni sono proseguite. La manifestazione di due milioni di persone del 16 Giugno 2019 è stata la più grande dimostrazione della forza di questa unità.

 

I sindacati a Hong Kong

Visto che mesi di attivismo sulle strade non hanno portato a nessuna concessione da parte delle autorità, una parte del movimento si è diramato in una nuova direzione più formale e organizzata iniziando a stabilire dei sindacati indipendenti seppur piccoli.

Per tre settimane in Gennaio sono stata a Hong Kong per indagare questi sindacati nascenti. Ho fatto parecchie interviste nei chioschi che i volontari di questi nuovi sindacati hanno messo fuori dalle metropolitane, negli incroci più trafficati, alle entrate degli ospedali durante la pausa pranzo, dopo il lavoro o nel fine settimana per cercare iscritti. Ho incontrato i membri appena eletti di alcuni comitati esecutivi dei sindacati, ho partecipato a due sessioni di corsi sul diritto del lavoro organizzati dai sindacati e ho incontrato diversi accademici di Hong Hong e membri delle ONG del lavoro.
Ho anche intervistato il personale delle federazioni sindacali consolidate della città. Da Gennaio ho seguito gli eventi attraverso i social media e attraverso conversazioni online.

Hong Kong è un hub commerciale globale dominato dal credo del libero mercato con una cultura sindacale relativamente debole. La federazione sindacale più grande è la Hong Kong Federation of Trade Unions (HKFTU), con 253 sindacati affiliati e 420.000 membri. E’ ben finanziata e controllata ampiamente dal governo della Cina continentale, è cioè la controparte della federazione sindacale ufficiale cinese All-China Federation of Trade Unions, organizzazione di massa subordinata al Partito Comunista Cinese e unico sindacato legalmente riconosciuto nella Repubblica Popolare Cinese. Proprio come il suo omologo nella Cina continentale, la HKFTU funziona come una organizzazione per il welfare, distribuisce soldi e dona assistenza ai propri seguaci pro-Pechino. Ha invece una lunga storia il competitivo Hong Kong and Kowloon Trades Union Council (HKTUC), legato politicamente e storicamente al regime del Kuomintang di Taiwan, e quindi ora in profondo declino.

 

Queste federazioni hanno agito in realtà più come braccio politico dei loro protettori che come sindacati.

 

La federazione più attiva oggi nell’organizzare i lavoratori e assisterli nelle dispute industriali è la Hong Kong Confederation of Trade Unions (HKCTU), formatasi nel 1990, ha oggi 160.000 membri fra i suoi 61 sindacati affiliati. Per quanto non sia direttamente legata ad un partito politico, si tratta di una federazione sindacale indipendente che si colloca nel campo pro-democratico. I nuovi sindacati hanno cercato aiuto e consiglio dalla HKCTU, anche se i capi dell’organizzazione non hanno voluto giocare un ruolo di guida su questi nuovi sindacati, esitando a intervenire in un movimento spontaneo sindacale.

I nuovi sindacati emersi nello scorso anno non sono nati in modo tradizionale. Sono invece nati dalle richieste per il cambiamento politico a supporto del movimento di protesta, senza nessun piano relativo alle condizioni lavorative e ai salari. I primi organizzatori volontari provengono da settori professionali come la finanza, contabilità, medicina, salute, servizi sociali e istruzione. Infermieri, medici e paramedici così come i giornalisti in prima linea nelle battaglie hanno visto ripetutamente i dimostranti pesantemente colpiti e feriti a causa della violenza della polizia, con i membri delle forze dell’ordine che si sono spinti fin dentro gli ospedali per cercare e interrogare i manifestanti accedendo pure ai loro dati medici personali. Questi professionisti sono stati loro stessi vittime dei gas lacrimogeni, dello spray al peperoncino e sono stati picchiati per aver aiutato chi era ferito e traumatizzato per le violenze ricevute sulle prime linee.
Alcuni di loro hanno anche subito pressioni e problemi sul posto di lavoro, i manager pro-Pechino hanno infatti colpito chi ha osato supportare il campo pro-democratico. Sentendosi vulnerabili, arrabbiati e frustrati, si sono messi a discutere fra loro faccia a faccia o sui social media e hanno iniziato a cercare l’appoggio dei propri pari nelle proprie professioni, così da condividere esperienze e far sentire la propria voce.

 

Da rapporti sfilacciati al fronte unito

La chiamata degli studenti e dei giovani per lanciare uno sciopero generale come parte della protesta ha svolto una funzione catalizzatrice per la formazione dei nuovi sindacati. Scontenti per il fatto che le proteste di strada non avevano sortito alcun effetto sul governo che non ha fatto alcuna concessione, all’inizio di agosto del 2019 si sono rivolti ai social media per chiedere a tutta la città di fare il “triplo sciopero”, triplo perché doveva coinvolgere i lavoratori, gli studenti e il commercio. Il giorno scelto per lo sciopero, il 5 agosto, circa 600.000 persone partecipano ai cortei indetti in differenti punti della città. I sostenitori che hanno partecipato ai cortei si sono rifiutati di andare al lavoro o di darsi malati. Una volta nei cortei, si sono organizzati in gruppi basati sulla comune occupazione. E’ stata, questa, un’opportunità per discutere fra loro le strategie di partecipazione nelle proteste a partire dalla propria identità occupazionale.

Il 2 settembre è stato annunciato un secondo “triplo sciopero”, ma questa volta solo 40000 persone hanno partecipato. La paura di dispiacere i propri superiori ha bloccato molti. Nel discorso alla manifestazione, Carol Ng, capo della HKCTU, si è riferita ai gruppi che partecipavano col termine “settori” perché l’idea di formare nuovi sindacati non esisteva ancora. Comunque, alcuni dei partecipanti cominciarono a discutere sui modi per proteggersi dalle ritorsioni dei propri superiori tramite gruppi di supporto collettivo. Ciò ha portato alla creazione del “comitato di preparazione della lotta inter-settoriale” e alle prime discussioni per formare dei sindacati.

Alla fine di ottobre, dopo la morte sospetta di uno studente dell’Università di Hong Kong caduto da un parcheggio a più livelli, gli attivisti, arrabbiati, chiamarono ad un altro sciopero generale. I manifesti tappezzavano la città, uno, drammatico, così diceva: “ Sono disposto a prendermi una pallottola per te. Tu sei disposto a scioperare per me?”. Questo terzo “triplo sciopero” fu indetto alla fine per l’11 novembre in molte parti della città, e finì con barricate e violenze.

Da allora, un nuovo gruppo di differenti formazioni chiamato “fronte unito del triplo sciopero da due milioni di persone” comparve sui social media dando aggiornamenti sulla formazione dei sindacati e condividendo nuove idee sulle possibili strategie da adottare. Pensavano che questa volta lo sciopero doveva essere organizzato meglio nei posti di lavoro e che doveva essere grande e vigoroso per forzare la mano al governo di Hong Kong.

Da qui, il gruppo si è evoluto in una organizzazione composta da diverse formazioni per creare un nuovo movimento sul lavoro. Il primo compito urgente per i nascenti sindacati era di reclutare più membri. Per attirare maggiore attenzione pubblica, gli attivisti sindacali crearono dei chioschi per arruolare nuovi iscritti nei sindacati. Al corteo del 1 gennaio 2020 nel distretto di Wanchai, i nascenti sindacati si coordinarono e i rappresentanti fecero una foto insieme, ognuno con la propria bandiera e tenendo in mano uno striscione con lo slogan “i sindacati resistono alla tirannia”

 

 

Visto che la maggior parte dei membri fondatori dei nuovi sindacati hanno una scarsa conoscenza del sindacalismo e del diritto del lavoro, hanno iniziato a invitare avvocati del lavoro e i capi della HKCTU per tenere seminari e corsi. In base alla legge di Hong Kong, gli scioperi politici sono illegali, quindi capire il diritto relativo agli scioperi e come renderlo strategico è importante. In più, con i corsi e con tutto il processo per registrare i sindacati presso il governo, gli organizzatori si sono trovati per la prima volta difronte ai vari aspetti del diritti sul lavoro, compresi quelli sindacali. Gradualmente, i motivi per creare un nuovo sindacato sono diventati diversi, non più solo legati a supportare lo sciopero politico. In aggiunta alle cinque richieste del movimento, i volantini dei sindacati richiedono la riduzione del tempo di lavoro, un aumento del minimo salariale, migliori sussidi, premi più equi e il diritto alla contrattazione collettiva.

 

Inaspettatamente, i primi sindacati che si sono organizzati e si sono registrati rappresentano colletti bianchi nei settori della contabilità, della finanza, dell’amministrazione pubblica e della salute. Quando ho detto di essere sorpresa per il fatto che sono interessati a stabilire dei sindacati pur provenendo dalla classe media e non dal mondo operaio, diversi intervistati hanno risposto «no, noi siamo lavoratori». Uno di loro ha tenuto a enfatizzare come «ci sono solo due tipi di persone, padroni e lavoratori. Noi siamo lavoratori».

 

A volte gli intervistati, pur senza averlo chiesto, hanno esposto le loro rimostranze. L’abitare è la questione più ricorrente. Quando un appartamento di 50 metri quadri arriva a costare cinque milioni di HKD, anche chi ha un titolo universitario non può permettersi un affitto, per non parlare di comprare una casa. Negli ultimi vent’anni, con il continuo aumento del costo della vita e l’acuirsi delle disuguaglianze, i professionisti della classe media tradizionale hanno iniziato a considerare la propria identità come appartenente alla classa lavoratrice. Una seconda rimostranza è legata alla salute e alla sicurezza sul lavoro. Quando il coronavirus si è diffuso a Hong Kong, gli impiegati nel settore contabile mandati nella Cina continentale per incontrare i clienti della propria compagnia, si sono lamentati per l’assenza di controlli per la sicurezza della salute. Infine, alcuni si sono lamentati per il fatto che l’economia del proprio settore è sempre più dominata da imprese di proprietà della Repubblica Popolare, o che nel posto di lavoro bisogna competere con i cinesi del continente che hanno un elevato grado di istruzione, preferiti dai capi perché hanno maggiori legami con il commercio della Cina continentale.

 

La partecipazione dei sindacati alle elezioni politiche

Alla fine di novembre, i nascenti nuovi sindacati si posero un nuovo obiettivo dopo che alle elezioni distrettuali il campo pro-democratico ottenne una vittoria schiacciante prendendo ben diciassette su diciotto consigli distrettuali. In passato il campo pro-democratico non ha mai realmente puntato su queste elezioni di distretto, perché di scarso potere e quindi viste come uno spreco di risorse. Dal 2007 i consigli di distretto sono stati dominati dal campo governativo, ma alla fine del 2019, dopo mesi di proteste, mettere le forze in queste elezioni è stato subito considerato come un’opzione valida. La vittoria in quelle elezioni ha alzato molto il morale. Se il movimento di protesta è riuscito a vincere quelle elezioni, potrà avere molti seggi nelle prossime due elezioni: prima nel consiglio legislativo (LegCo) a elezione parziale, elezione fissata per il settembre 2020 (a fine luglio, il governo di Hong Kong ha deciso di posticipare di un anno le elezioni, a causa del numero crescente di casi di coronavirus.

 

Il coronavirus ha fornito un’ottima occasione per spostare delle elezioni che sarebbero state una spina nel fianco di questo governo [e quindi di Pechino, ndt]  e la seconda per il comitato incaricato di scegliere il capo dell’esecutivo di Hong Kong, elezione che si terrà nel giugno 2021.

 

Alcuni dei seggi sia per il consiglio legislativo sia per il comitato incaricato sono assegnati ai sindacati. Per anni questi seggi sono stati prerogativa della HKFTU, pro-Pechino, perché ha il maggior numero di iscritti. Prima del 2019, la HKCTU non ha organizzato e creato nuovi sindacati per competere per questi seggi. Intanto per problemi di risorse insufficienti per competere con la HKFTU. Essendo un sindacato, ha preferito dare priorità alle questioni del lavoro. Poi, in un territorio dominato dall’ideologia capitalista neoliberale, la popolazione di Hong Kong ha dato poca fiducia all’attività sindacale. Il personale della HKCTU ha notato come all’inizio delle proteste del movimento contro la legge dell’estradizione, pochi manifestanti erano interessati a prendere i volantini che la HKCTU distribuiva.

Sorprendentemente, le procedure per formare un sindacato a Hong Kong sono semplici. Servono al minimo sette persone che facciano richiesta al Dipartimento del Lavoro per registrare il nuovo sindacato, che sia per categoria, settore od occupazione. I sette fondatori devono dichiarare la missione del nuovo sindacato, l’approvazione ufficiale necessita di uno o due mesi. Una volta approvato, i fondatori devono organizzare un’assemblea generale per eleggere un comitato esecutivo e così il nuovo sindacato è formalmente registrato. Gli organizzatori mi hanno confermato che il personale del Dipartimento del lavoro è stato d’aiuto e che non sono state create difficoltà per ostacolare la registrazione.

 

Questa facilità nella registrazione spiega la nascita in pochi mesi dei sindacati legati alle proteste. Infatti, alcuni attivisti hanno avviato un programma chiamato “7 UP” dove si chiede a chi può riunire sette persone di fare richiesta per registrare un sindacato. Il governo di Hong Kong e quello della Repubblica Popolare hanno riposto troppa fiducia sul fatto che il campo pro-Pechino avrebbe continuato a monopolizzare la scena del lavoro, dal momento che la popolazione non aveva mai espresso un grande interesse per aderire ai sindacati.

 

La prima delle elezioni, quella per il Consiglio legislativo (LegCo) era prevista per il 2020. In base alla rappresentanza delle professioni (functional constituencies) al settore del lavoro sono assegnati tre seggi su 35 totali, dominati da sempre dal campo pro-Pechino.

Dato che a ogni sindacato è concesso un voto dentro il sistema per cui chi vince prende tutto, ciò significa che se il campo sindacale pro-democratico non aumenta i propri sindacati aderenti, quello pro-Pechino, avendo un numero maggiore di sindacati aderenti, otterrà nuovamente i tre seggi alle elezioni per il Consiglio legislativo. Sfortunatamente, per accedere al sistema di voto, un sindacato deve essere stato registrato da almeno un anno. L’ondata che ha portato alla nascita dei nuovi sindacati risale all’ Ottobre-Novembre 2019, questo significa che i nuovi sindacati non potranno accedere al voto. Ciò nonostante, dal giugno 2019 al febbraio 2020 ci sono state 735 richieste per la registrazione di un sindacato, e dopo febbraio c’è stata un’altra ondata. In base ai dati ufficiali, nei primi tre mesi del 2020 ci sono state 1578 nuove richieste, rispetto a 10-30 degli anni precedenti.

Sebbene molti di questi nuovi sindacati non potranno partecipare alle elezioni di settembre 2020 [posposta al settembre 2021, ndt], potranno farlo per l’elezione del comitato che elegge il capo dell’esecutivo nel 2021. Questo comitato è composto da 1200 seggi, e voterà il capo dell’esecutivo nel 2022. Al settore del lavoro vengono dati in tutto 70 seggi. Anche in questo caso, più sono i sindacati del campo democratico, più sono le possibilità di vincere una maggioranza. Ottenere una buona cifra di seggi dei 70 disponibili, dipende molto da come le diverse tendenze del movimento sapranno coordinarsi fra evitando i conflitti interni.

 

Una prova di solidarietà sindacale

La prova su come i capi dei nuovi sindacati emersi con il movimento di protesta siano riusciti a fare fronte alle pressioni politiche e padronali è venuta nel gennaio 2020. Il coronavirus si stava diffondendo in Cina e stava penetrando anche a Hong Kong, che non era preparata per affrontare una pandemia. Gli ospedali erano a corto di letti, di personale e di protezioni adeguate. In quel momento, l’appena nata Alleanza dei dipendenti del dipartimento della sanità (Health Authority Employees Alliance: HAEA) che aveva già 18.000 iscritti su un totale di 80000 fra personale medico e sanitario nella città, ha chiesto al governo di chiudere il confine con la Cina continentale per paura che gli ospedali cittadini diventassero sovraffollati mettendo così a rischio il personale medico. In altre parole, la protesta era legata alla salute e alla sicurezza sul lavoro, uno dei temi principali dell’attività sindacale.

Il 31 Gennaio, Carrie Lam (capo dell’esecutivo) ha rifiutato la richiesta, adducendo il motivo della discriminazione anti-cinese. Il comitato esecutivo dell’Alleanza, diretto da una giovane presidente che fino a sei mesi prima si preoccupava solo di avere una buona vita e non aveva idea dell’attività sindacale, ha proposto uno sciopero in due fasi. Su 3164 votanti, ben 3123 hanno appoggiato questa strategia il 2 febbraio. A quel punto altri 50 sindacati hanno dato il supporto all’Alleanza e il primo giorno dello sciopero, il 3 febbraio, 7.000 membri hanno partecipato, una cifra che corrisponde al 17% del settore collegato alla sanità. Lo stesso giorno, Carrie Lam ha annunciato la chiusura di tre punti sul confine e restrizioni per gli altri, rifiutandosi però di fare altro.

Quando la prima fase dello sciopero è finita dopo cinque giorni, l’Alleanza ha chiamato al voto gli aderenti per capire se continuare o no con lo sciopero. Lo sciopero nel settore della sanità impone sempre un dilemma di natura morale, e questa volta di 7000 votanti, il 60% ha votato contro lo sciopero. Nonostante ciò, possiamo dire si sia trattato di un successo parziale, visto che Carrie Lam ha ordinato la chiusura di molti punti sul confine. Lo sciopero è stata una prima azione efficace, guidata da una nuova generazione di leader sindacali che hanno presto imparato come organizzarsi e, soprattutto, come praticare la democrazia sindacale.

Anche se rispetto ad altre regioni Hong Kong è stata capace di controllare abbastanza bene la pandemia, col proseguire della diffusione del virus, l’attivismo in strada è declinato. I nuovi sindacati hanno continuato a reclutare nuovi membri e a prepararsi per le elezioni. Nel frattempo proseguendo la repressione nei luoghi di lavoro, in molti hanno cercato l’aiuto dei sindacati, particolarmente nel campo dell’educazione dove gli insegnanti sono sempre più sotto pressione perché devono accettare i nuovi programmi pro-RPC, vengono minacciati e anche licenziati perché supportano il movimento pro-democratico e perché non ostacolano gli studenti a partecipare. Comunque, questa nuova attenzione sulle problematiche legate a quel che accade nei posti di lavoro, non ha cambiato l’agenda politica.

 

Il 20 giugno, trenta sindacati si sono uniti per organizzare un referendum per cercare l’appoggio dei propri membri per un nuovo sciopero generale contro la legge sulla sicurezza dello Stato imposta da Pechino. Un nuovo slogan che riflette l’identità collettiva dei nuovi sindacati di Hong Kong recita: “unirsi al sindacato per liberare Hong Kong; rivoluzione sindacale per resistere alla tirannia”. Il 95% dei 9.000 membri che hanno votato ha detto si. Ma data la forte astensione, lo sciopero non è stato indetto.

 

Dopo ciò, i sindacati hanno spostato l’attenzione alle cosiddette “primarie” tenute nel campo pro-democratico volte a decidere chi parteciperà alle elezioni di settembre 2020 [poi posposte. ndt] per il consiglio legislativo (LegCo). 60.0000 persone hanno partecipato alle primarie l’11 luglio per eleggere i propri canditati favoriti. Mentre scrivo, si stanno contando i voti. Ma c’è un segno incoraggiante per i sindacati. La presidente dell’Alleanza che aveva organizzato lo sciopero a gennaio ha vinto in modo schiacciante con 2165 voti sul totale di 2856 e contro i 186 presi dal corrente membro del consiglio legislativo che rappresenta il settore della salute. L’azione collettiva organizzata, se viene concesso che possa crescere e maturare, ha un futuro, sopratutto ora che il blocco dei “valorosi” ha perso la capacità che aveva dimostrato all’inizio del movimento di protesta.

Cosa avverà ora?

Per riassumere, quando il governo di Hong Kong non si è piegato alle richieste del movimento di protesta, una parte del movimento ha iniziato col lavoro, creando nuovi piccoli sindacati. A differenza del movimento non organizzato sulle strade, questa nuova direzione implica la necessità di pianificazione, organizzazione e anche un legame con la politica elettorale. Sono due attualmente le strategie che vanno in parallelo: il movimento di protesta sulla strada che fa testa a testa con la polizia la prima, la seconda è un movimento che costruisce strutture istituzionali organizzate, fra le quali sindacati. Queste differenti strade non creano divisioni nel movimento di protesta, perché tutte le traiettorie sono utili al conseguimento degli obbiettivi del movimento di protesta. All’inizio le richieste erano idealistiche, ma ora gradualmente si volgono a situazioni “materiali” come le condizioni di lavoro, i salari, i premi e le politiche sul lavoro volte ad affermare una voce nel sistema politico difettoso della città.

Comunque, dopo che è stata approvata la legge sulla sicurezza dello stato il 1 luglio, Hong Kong si è trasformata di colpo in una società senza legge. Alla luce dell’oppressione diretta di Pechino, il nuovo movimento sindacale sarà solo un fuoco di paglia?

 

Pubblicato su Made in China Journal

L’autrice è Visiting Fellow presso l’Australian National University, Political and Social Change Department. Le sue ricerche riguardano le questioni del lavoro in Cina. Ha pubblicato sulle condizioni dei lavoratori cinesi, sui sindacati cinesi e sui diritti del lavoro.

Traduzione in italiano a cura di GioGo

Immagine di copertina: The new unions with their flags forming a united front at the mass rally of 1 January 2020. Photo credit: HKCTU.