ITALIA

Dalla fabbrica alla città: la doppia protesta di Taranto

La protesta dei Fridays For Future era cominciata all’alba con i picchetti davanti all’Ilva dei comitati cittadini e degli studenti e l’adesione massiccia allo sciopero da parte degli operai deisindacati di base Usb e Cub/Flm. Un corteo che ha visto insieme 5000 cittadini e operai ha poi attraversato le vie del centro della “città dei due mari” chiedendo la chiusura dell’ex Ilva, la bonifica e la riconversione del territorio

L’appuntamento era stato lanciato alle ore 5.30 davanti alla portineria D, principale porta d’ingresso dei dipendenti dello stabilimento ex Ilva di Taranto, ora Arcelor Mittal. «L’ennesima crisi sta per risolversi come sempre: licenziamenti e cassa integrazione, senza soluzione al dramma sanitario e ambientale a cui restiamo condannati», avevano annunciato gli studenti e le studentesse dei Fridays For Future dando appuntamento all’alba davanti al “picchetto” alle portinerie ex Ilva organizzato dal sindacato USB.

Si sono presentati in tanti. Molte donne che fanno parte dei comitati locali, da subito, si stringono le une alle altre, incordonate, provando a far desistere gli operai dall’entrare in fabbrica, cercandoli di persuadere allo sciopero, perché, dicono chiaro: «Occorre comprendere che l’unica via possibile per salvare questa città è la chiusura delle fonti inquinanti e la riconversione economica, sociale e culturale dell’intero territorio, partendo dal reimpiego di tutti gli operai nelle attività di smantellamento dei siti inquinati». Intanto, mentre il sole comincia a sorgere davanti allo stabilimento siderurgico, Francesco Rizzo, segretario provinciale dell’Usb, prende il microfono e annuncia che lo «sciopero è riuscito». «L’adesione è stata massiccia nonostante soltanto il giorno prima ci è stato comunicato il raddoppio delle comandate, cioè del numero degli operai che avrebbero dovuto garantire la produzione. Nonostante ciò, il 10% di loro oggi ha scioperato», ha detto Rizzo.

 

«È stata una giornata altamente positiva quella di oggi. Cittadinanza attiva e lavoratori si sono incontrati», dice Ernesto Voccoli del gruppo di Tutta mia la città. «Molti operai oggi non sono entrati in fabbrica e quelli che lo hanno fatto sono stati sommersi da molti fischi e scortati fino all’ingresso della fabbrica dalla polizia». Ovviamente, prosegue Voccoli: «Il malcontento dei cittadini non era in sé un gesto anti-operaio, ma volevamo semplicemente incitare a fare sciopero. Perché è l’ora di lanciare, tutti insieme, operai e cittadini, una sfida al governo. Ed è il momento di parlare seriamente di alternative per questo territorio», conclude. Il dato rilevante che ci consegna la protesta dei Friday for Future di Taranto è che, dunque, almeno una parziale saldatura tra fabbrica e città, tra ambientalisti e operai, si è verificata, ed è frutto di un lavoro durato anni dei comitati locali, che, oggi, hanno portato poi nel corso della mattinata 5000 persone a sfilare per le vie del centro di Taranto (presente anche una delegazione di iscritti al sindacato Usb provenienti da varie città italiane).

“Ilva is climate monster. Cittadini e operai uniti per la chiusura e la riconversione”, dietro uno striscione dal tenore altamente significativo in cinquemila hanno attraversato fin dalle ore 10.00 il centro della città. Una piazza plurale che conteneva al suo interno varie generazioni, di studenti e lavoratori. Come qualche ora prima davanti ai picchetti della fabbrica, c’erano molte donne, in una vertenza industriale, quella di Ilva e Taranto, che per decenni è stata declinata al maschile.

Ed è questo un altro dato rilevante della protesta di oggi a Taranto. Racconta Sara Mastrobuono di Non Una Di Meno:  «C’è una questione nella questione, nel dramma sanitario che vivono le donne di Taranto. Ed è quella di genere, della violenza prodotta dalle fonti inquinanti sui propri corpi. Malattie come l’endometriosi, collegate strettamente dalla letteratura scientifica all’inquinamento, disturbi nella sessualità,  infertilità, tracce di diossina rilevate nel latte materno, sono incubi con cui le donne di Taranto convivono quotidianamente». «Anche per questo è necessario che tutti, operai compresi, prendano consapevolezza dell’ineluttabilità di avviare un processo di chiusura dello stabilimento, che li possa tutelare nel reddito».

Gli fa eco Gian Franco Orbello, già presidente della sede locale di Isde (Medici per l’ambiente) anche lui in piazza oggi insieme a una delegazione di medici dell’associazione. «Non ci può essere nessuna tinteggiatura di verde, nessun greenwashing come fanno Enel ed Eni, attorno a questa questione. Occorre pretendere una chiusura immediata delle fonti inquinanti». Dice Orbello: «Se pensiamo che in un raggio di meno di 100 km, in un territorio compreso tra le zone industriali di Brindisi e Taranto, si producono quasi la metà delle emissioni di anidride carbonica prodotte in Italia, si capisce che la situazione non è più sostenibile». E ancora: «Da medico dico che la situazione sanitaria non è più sostenibile per la popolazione, che nei prossimi anni, tra le altre cose, rileverà un picco ulteriore di malattie legate all’esposizione all’amianto (asbestosi)», conclude Orbello, qualche momento prima che il corteo si fermi davanti alla sede locale della Lega che per l’occasione è protetta da un grosso spiegamento di polizia. La piazza si ferma lì davanti, con i manifestanti che vi fanno capolino per qualche momento. Quasi a voler ricordare che quella di Taranto è comunque una storia di resistenza parte forte dalle fila degli studenti una canzone sonora, liberatorio, Bella Ciao. Che sia un monito, forse, a chi in questa questione drammatica dice di difendere il lavoro, e invece: «Non sta tutelando nemmeno i livelli occupazionali. Perché di questa mancata tutela, infatti, ci parlano i 5000 esuberi in qualche modo messi sul tavolo delle trattative da Mittal», dice al microfono Luca Contrario dell’associazione Giustizia per Taranto, una di quelle che ha redatto il Piano Taranto, «un programma scritto dal basso per la riconversione ecologica, sociale ed economica del territorio, nato nell’ottica della chiusura e alternativa radicale alle industrie invasive che attualmente vi insistono».  Un piccolo tassello all’interno di un puzzle complicato, di una storia comune che sarebbe ancora da scrivere insieme, dalla città alla fabbrica, malgrado essa.

Le immagini della protesta sono di Pierfrancesco Lafratta