editoriale

Da Agora99 a Lampedusa, la necessità di sconfinare

Un contributo per tracciare rotte di libertà attraverso il Mediterraneo e l’Europa.

Per loro stessa definizione i migranti superano le frontiere, tracimano dagli spazi in cui sono collocati e si dirigono altrove contaminando linguaggi e territori. Il meeting europeo di Agora99 ha rispettato pienamente questo modello, la sala di Strike non è stata sufficiente né a contenere la variegata presenza meticcia, né a circoscrivere il dibattito sulle migrazioni in Europa. La questione dei migranti è letteralmente “sconfinata”, attraversando molti workshop: dalla precarietà, al diritto alla salute fino alle lotte per la casa. In questo modo, è stato segnato un decisivo passo in avanti: le migrazioni non sono state analizzate come campo separato, ma si sono intrecciate con le rivendicazioni dei movimenti europei contro l’austerity.

La composizione dei partecipanti al workshop su asilo, confini e auto-organizzazione rispecchiava pienamente questa complessità, portando in dote una molteplicità di lotte e di esperienze utili a ridefinire il ruolo dei migranti nella società europea. Le azioni contro i centri di detenzione in Grecia, le occupazioni delle case in Italia, gli scioperi della fame a Berlino, le proteste contro il comune di Roma dei minori Bangladeshi, sebbene muovano da punti di partenza differenti giungono tutte alle stesse conclusioni: riscrivere dal basso le legislazioni e le politiche europee in tema di diritto di asilo. In particolare l’odioso regolamento di Dublino, che da gennaio entrerà in vigore nella sua terza ridefinizione. Nonostante cambino le sue forme, l’elemento cardine del regolamento rimane immutato: la ripartizione dei richiedenti asilo tra i Paesi europei in base alle esigenze statali e non alla scelta dei cittadini migranti. La norma si basa sull’obbligo di richiedere l’asilo e risiedere nel Paese di approdo, rendendo selettivo un principio fondante della comunità europea: la libera circolazione delle persone tra i paesi aderenti.

Di fatto i confini interni dell’Unione, scomparsi a seguito della stipula degli accordi di Schengen, ritornano sotto altre spoglie, l’Europa viene ridisegnata su nuovi perimetri separando le periferie povere dal centro ricco. I Paesi periferici come la Grecia e l’Italia (a sud) e la Polonia (a est) diventano aree di detenzione e contenimento, con lo scopo manifesto di fermare i migranti. Al tempo stesso il blocco non è totale, ma consente in alcune forme la fuga verso i Paesi centrali. Chi riesce ad aggirare i controlli e raggiungere la Germania o altri Stati, si trova a vivere una condizione di estrema esclusione, sotto il permanente ricatto di essere respinto verso il Paese di approdo. Un nuovo dualismo tra centro e periferia che per certi versi può trovare dei punti in comune con la condizione dei cittadini dei PIGS emigrati a seguito della crisi: migliaia di ragazzi in fuga verso il centro economico e politico dell’Europa, che per lo più si ritrovano a vivere un’esistenza precaria priva di sbocchi futuri.

In questo quadro si inscrive il peggioramento del welfare e la sua progressiva privatizzazione. I centri di accoglienza italiani, nati con lo scopo di favorire l’inserimento sociale, in molti casi sono diventati semplici dormitori/parcheggi, privi dei servizi minimi garantiti dalla legge. Le cooperative affidatarie dei centri accumulano spesso fondi pubblici senza incentivare processi di inclusione. Nella maggior parte dei casi, la permanenza in queste strutture non permette ai migranti di costruirsi alcuna prospettiva per il futuro: una volta ottenuta la protezione internazionale, devono lasciare il centro di accoglienza, finendo spesso a vivere per strada, con poche opportunità di migliorare la propria condizione. In questo contesto, gli esperimenti di auto-organizzazione si sono dimostrati le uniche vie percorribili per uscire da una situazione difficile.

L’urgenza delle questioni da affrontare necessitano di un vero e proprio sconfinamento collettivo: non si può più rimandare la costruzione di un piano transnazionale che sappia imporre un nuovo linguaggio e condividere uno spazio generale di intervento. Come risultato della discussione si è deciso di proporre un’agenda comune, con la definizione di giornate di azione congiunta. L’obiettivo è rendere le iniziative per la libertà di movimento parte dalla più generale lotta contro l’austerità.

Su proposta degli attivisti greci, la prima data sarà quella del 18 dicembre: giornata internazionale del migrante, che sarà declinata contro le detenzioni ingiustificate che queste persone subiscono.

Rispetto ai temi di Dublino, del diritto d’asilo europeo e del controllo dei confini esterni, la rotta è tracciata e indica l’isola di Lampedusa, dove vogliamo trovarci per scrivere una nuova carta delle migrazioni. Ripartiamo dall’isola trasformata in tomba dei sogni, dei desideri e delle vite di migliaia di migranti.