ITALIA

«Costruiamo la città dal basso». Gli spazi liberati milanesi si coordinano

Domani si svolgerà la terza assemblea cittadina degli spazi liberati e autogestiti del capoluogo lombardo: un percorso avviato in seguito a un avviso pubblico indetto dal Comune che mette a rischio le esperienze di Cascina Torchiera e Ri-Make

Fare rete per immaginare un’altra Milano. Domani, presso l’ex-liceo classico Omero del quartiere Bruzzano dove ora ha sede lo spazio di solidarietà Ri-Make, si terrà la terza assemblea cittadina degli spazi liberati e autogestiti del capoluogo lombardo: un percorso di confronto che nasce dalla necessità di difendere alcuni spazi interessati da istanze di sgombero o comunque da procedimenti amministrativi che ne minacciano l’esistenza. Il Comune ha infatti da poco deciso di indire un avviso pubblico per la valorizzazione di 25 stabili, fra cui appunto l’edificio in cui si trova Ri-Make e la cascina occupata Torchiera, nella periferia ovest della città. Similmente, la sede di via Edolo del Csoa Lambretta, appartenente a privati, è sotto minaccia da luglio. Piano piano, però, i momenti di organizzazione e coordinamento si stanno trasformando in una ridefinizione più ampia delle esigenze e delle rivendicazioni di movimenti, collettivi e associazioni, in una messa in discussione generale delle traiettorie di sviluppo perseguite dall’amministrazione del sindaco Giuseppe “Beppe” Sala.

«Dopo che a prima fase dell’emergenza sanitaria è finita e il Comune ha bisogno di fare cassa», dicono in maniera secca dal Csoa Lambretta, una delle realtà più attive durante i mesi di “picco” della pandemia e in cui ha appunto trovato sede operativa la Brigata Lena-Modotti (una delle Brigate di Solidarietà più numerose nella città di Milano). «Può forse sembrare una cosa secondaria ma, con la chiusura di tanti esercizi commerciali e di ristorazione per il lockdown, le entrate derivate dall’occupazione e dall’uso di spazio pubblico si sono ridotte drasticamente. Perciò – o almeno questa sembra l’interpretazione più plausibile – ora c’è bisogno di “recuperare” un po’ di affitti, a partire magari dai centri autogestiti che si trovano in edifici pubblici».

 

Cascina Torchiera e Ri-Make sono esperienze di lunga data, che possono vantare una presenza solida e riconosciuta all’interno dei contesti di riferimento.

 

La prima affonda le proprie radici addirittura negli anni ‘90, quando un gruppo di ragazze e ragazzi del quartiere decisero di occupare lo stabile, per essere poi attraversata da diversi gruppi e collettivi che hanno dato vita a numerose iniziative politiche e sociali, fra cui concerti, esibizioni teatrali, progetti di accessibilità. La seconda, costituitasi in tempi più recenti, è una sorta di “laboratorio solidale” che ha già subito uno sgombero due anni or sono per poi riadattarsi prontamente negli spazi di un edificio scolastico non più attivo in via del Volga, dove vengono ospitati sportelli informativi e di supporto (come il progetto “Non sei sola, non sei solo!”), azioni di mutuo soccorso, percorsi di supporto sindacale.

«Gli spazi autogestiti della città rappresentano esperienze molto importanti di partecipazione dal basso», raccontano da Ri-Make. «Durante la pandemia abbiamo assistito a un’esplosione di esperimenti di mutualismo e solidarietà, che hanno coinvolto numerose persone e numerosi soggetti che di solito non frequentano centri sociali o collettivi politici. Questo dimostra come gli “spazi liberati” possano davvero essere la base per un’attivazione sociale più ampia, per l’elaborazione collettiva di una diversa idea di città». Attivisti e attiviste di Ri-Make hanno deciso una manifestazione d’interesse nell’ambito dell’avviso indetto dal Comune per provare a costituirsi in quanto “bene comune” e salvaguardare le iniziative che hanno portato avanti fin qui e aprirsi a nuove sperimentazioni e collaborazioni sul territorio.

Ma, al di là degli episodi specifici e della particolare congiuntura post-emergenziale, è chiaro anche come i binari su cui si sta muovendo l’amministrazione di Beppe Sala seguano logiche e interessi che operano da molto tempo nel contesto meneghino e che rispondono alle ben note dinamiche della “gentrificazione”, delle varie “riqualificazioni” e messe in vendita di porzioni di territorio. Non dimentichiamo infatti che nell’ambito di grandi eventi come l’Expo del 2015, al quale hanno fatto seguito tutta una serie di speculazioni immobiliari e non ben descritte nel dossier ExitExpo 2015 a cura del collettivo e laboratorio politico Off Topic, sia stato condannato per falso materiale e ideologico lo stesso sindaco del Pd.

 

Oppure, più recentemente, un certo clamore si sta creando attorno alle vicende che riguardano lo stadio Meazza nel quartiere di San Siro, prossimo (pare) a una demolizione che aprirebbe le porte a investimenti da parte di società private pari a 1,2 miliardi di euro e che si innesta dentro un piano più generale di trasformazione dell’intera area circostante.

 

«È difficile non mettere in correlazione questi grandi progetti immobiliari con le minacce di sgombero nei confronti delle esperienze di autogestione», proseguono dal Lambretta. «La città cambia continuamente e le varie realtà occupate rappresentano un ostacolo ai processi di gentrificazione. È il caso anche dello spazio indipendente Macao, per esempio, che ha sede in un’area di macelli abbandonati, da diverso tempo al centro di interessi speculativi e proposte di riqualificazione. Eppure è forse proprio a un tale livello che si stanno verificando nuove alleanze e possono nascere nuovi percorsi».

 

Un momento della giornata del 19 settembre

 

Durante le assemblee per la difesa degli spazi autogestiti, infatti, si è verificata anche una significativa presenza di numerosi comitati di quartiere, spontanee associazioni di cittadini che a Milano sono sorte attorno al 2012 e che si impegnano nel contrasto della cementificazione, della speculazione edilizia e di uno sviluppo della aree urbane guidato esclusivamente del profitto. È il caso, per ritornare a uno degli esempi menzionati in precedenza, dei comitati che si oppongono alle “manovre congiunte” attorno allo stadio Meazza e che a luglio hanno manifestato davanti alla sede comunale. Oppure, all’opposto geografico del capoluogo lombardo, è da anni attivo nell’area di Città Studi un gruppo composito di attivisti e attiviste, semplici residenti o militanti, che si occupa di analizzare criticamente i processi di sviluppo della zona provando a influenzarne gli andamenti.

«È segno di una capacità di centri sociali e spazi autogestiti di intercettare i bisogni di molte e molti, non solo all’interno dei soliti “canoni” della militanza», commentano da Ri-Make. «Il dialogo che si è venuto a instaurare con i comitati di quartiere rappresenta uno degli aspetti maggiormente inediti e più stimolanti del percorso di salvaguardia delle realtà occupate. Anzi, è proprio come se dalla volontà di tutelare queste esperienze stessero nascendo nuovi paradigmi con cui vivere gli spazi, che vengono così liberati dal degrado, dall’abbandono, e prima ancora dalle ideologie urbane del profitto, della privatizzazione e del decoro. In quanto tali, non vanno riconosciuti dall’amministrazione bensì restituiti alle proprie comunità di riferimento». Dalla difesa all’attacco, dunque, e verso l’elaborazione di una nuova Milano possibile le cui caratteristiche principali sono molto chiare agli attivisti e alle attiviste di Ri-Make: «A noi sembra sempre più necessario costruire una “città della cura”, autodeterminata e autogestita. Un insieme di realtà che sappia svilupparsi al di fuori dei percorsi già strutturati del terzo settore, percorsi che stanno sì alla base delle politiche di welfare della Regione e del Comune ma dai quali restano davvero esclusi tanti soggetti».

 

Nel frattempo, oltre ai percorsi di discussione e coordinamento, per le realtà occupate è importante far sentire la propria voce anche all’esterno attraverso presidi, manifestazioni, momenti di conflittualità.

 

In questo senso va letta la giornata di mobilitazione passata di recente di sabato 19 settembre, in cui attivisti e attiviste hanno dato vita a performance artistiche e interventi politici da piazza Castello all’Arco della Pace. Le assemblee, iniziate ai primi del mese scorso presso Cascina Torchiera (contro la quale, va ricordato, si è tra l’altro mossa la Lega mettendo in atto un contro-presidio nel giorno in cui ci si opponeva allo sgombero) e proseguite poi al Csoa Lambretta un paio di settimane più tardi, si intrecciano dunque al livello di contestazione e critica pubblica delle politiche urbane nel loro complesso. «La “messa in vendita” della città sta diventando la principale strategia di uscita dalla crisi sanitaria», concludono da Ri-Make. «Occorre allora passare su un piano rivendicativo e costruire delle vertenze comuni che sappiano porsi al di fuori delle logiche del profitto. Occorre un passo in più rispetto ai temi della sostenibilità economica, dell’autonomia civica e della partecipazione dal basso: questa è la Milano che abbiamo in mente».

 

Immagine di copertina dalla pagina Facebook di Csoa Lambretta