ITALIA

Le Brigate di Solidarietà a Milano sospendono il centralino per gli aiuti. «È un segnale politico»

Dopo due mesi di intensa attività di mutualismo e solidarietà dal basso per affrontare l’emergenza Covid-19, le Brigate del capoluogo lombardo sospendono la ricezione di richieste d’aiuto. «Le mancanze delle istituzioni stanno lasciando un grande vuoto»

Una chiusura che è al tempo stesso esigenza pratica e denuncia politica. Il centralino della Brigata Lena-Modotti – uno dei gruppi di solidarietà e mutuo aiuto che si sono formati a Milano durante l’emergenza Covid-19 – ha cessato da settimana scorsa di ricevere telefonate. «Avevamo raggiunto numeri insostenibili», spiegano attivisti e attiviste che hanno intrapreso l’iniziativa, «e il sostegno delle istituzioni si è rivelato insufficiente». Brigata Lena-Modotti, Brigata Franca Rame, Solidarietà Attiva MiSud: dandosi diversi nomi e appoggiandosi alle realtà autogestite di diversi quartieri del capoluogo lombardo, come il Csoa Lambretta in zona Stazione Centrale, la Camera del Non Lavoro a piazzale Baiamonte o la Zona Autonoma Milano – Zam nel quadrante meridionale, collettivi autogestiti e volontari hanno avviato negli ultimi mesi numerose iniziative per fronteggiare la crisi economica e sociale dovuta alla pandemia, dalla spesa alimentare al doposcuola per giovani e bambini fino al supporto psicologico. Ora, però, si è reso necessario un cambio organizzativo.

«La nostra intenzione è dare un forte segnale politico», affermano sempre attivisti e attiviste delle brigate che, tra l’altro, hanno organizzato per il 20 giugno una contestazione sotto la sede di Regione Lombardia.

 

«Vogliamo far capire che a Milano c’è un enorme vuoto in termini di sostegno sociale e redistribuzione del reddito: le istituzioni si preoccupano di andare incontro solo a certi tipi di marginalità, mentre esiste un mondo sommerso di precari e lavoratori in nero che non avevano accesso ad alcun aiuto durante l’emergenza».

 

In particolare, uno studio elaborato dalla Camera del Non Lavoro sulla base delle richieste ricevute tramite uno sportello di assistenza attivato durante la pandemia, evidenzia come nel capoluogo lombardo le vulnerabilità siano molte e variegate: una larga maggioranza di persone che si sono ritrovate in difficoltà durante la pandemia è rappresentata da colf e badanti (43,4% delle richieste ricevute), a cui seguono gli impiegati stagionali nel campo della ristorazione (20%) e infine lavoratori autonomi (16,7%), dello spettacolo (10%) e dei servizi (5%). Raccontano gli attivisti e le attiviste: «È capitato di dover consegnare dei pacchi alimentari in pieno centro, nelle zone più ricche della città, e si trattava di badanti lasciate da sole nella casa padronale. I proprietari e “datori di lavoro” si erano invece recati a passare la quarantena in qualche luogo di villeggiatura, lasciandole senza stipendio». A queste categorie si aggiungono persone senza fissa dimora, abitanti dei campi rom e condannati agli arresti domiciliari: una rete di “invisibili” cui per cui le brigate di solidarietà hanno cercato e stanno cercando di mettere in campo percorsi specifici di solidarietà.

In generale, durante le prime fasi dell’emergenza, l’entità degli aiuti garantiti dalle brigate e dei volontari, anche esterni, che avevano deciso di impegnarsi nelle attività di distribuzione è stata molto elevata. Attraverso il centralino, venivano ricevute circa 400 richieste al giorno la cui gestione era affidata a oltre 500 fra volontari e volontarie, attivisti e attiviste.

 

Con l’inizio della cosiddetta “fase 2”, però, alcuni fattori sono venuti a modificarsi: la ripartenza di numerose attività ha determinato un fisiologico calo di tempo e persone disponibili per i progetti di mutuo aiuto, mentre le difficoltà economiche si sono abbattute anche su quelle classi sociali che in un primo tempo avevano invece potuto garantire un sostegno di fondi e donazioni.

 

«È in questo contesto che si inseriscono le mancanze del Comune e la debolezza delle realtà del terzo settore», puntualizzano attivisti e attiviste delle brigate di solidarietà. «Ma, grazie alla decisione di sospendere il centralino e di rendere manifeste i nostri problemi gestionali, siamo riusciti a ottenere più attenzione. L’Assessorato per le Politiche Sociali si è mosso per una maggiore collaborazione, anche se si tratta ancora di misure insufficienti».

Sebbene siano dunque diminuite le risorse per garantire il sostegno economico, le realtà autogestite attive durante l’epidemia Covid-19 a Milano continuano comunque a stare vicino a chi è in difficoltà. Assistenza psicologica (di cui si occupa in particolare la Brigata Basaglia), doposcuola per ragazzi e ragazze, attività di dopolavoro, sportelli di ascolto: tante sono le iniziative che proseguono nella nuova fase. «Ci interessa portare avanti un rapporto di socialità e di cultura dal basso con le classi popolari della città», concludono attivisti e attiviste. «Oltre a organizzare aiuti e collette, il nostro ruolo deve essere quello di ricomporre coscienza di classe, che nel contesto di Milano è estremamente frammentata. Insomma, sono in tante e tanti a essere arrabbiati e a non vedere l’uscita da questa situazione. Non ci fermeremo».

PRECISAZIONE, 15/07/2020

Su richiesta di alcuni nostri lettori che partecipano attivamente ad alcuni progetti di solidarietà non menzionati in questo articolo precisiamo quanto segue:

A “sospendere la ricezione di richieste d’aiuto” non sono genericamente le “Brigate di solidarietà a Milano” – come si può evincere in maniera erronea da titolo e sottotitolo dell’articolo – ma solo e specificamente la brigata “Lena-Modotti”, che rappresenta uno dei numerosi gruppi di mutuo aiuto e solidarietà autocostituitesi nel capoluogo lombardo durante la pandemia. I centralini facenti capo ad altre brigate hanno dunque continuato e continuano a funzionare e ricevere richieste d’aiuto.