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Contro la tariffa/truffa dell’AEEG

In tutta Italia mobilitazioni in difesa del risultato referandario: acqua bene comune!

Il d.l. n. 201/2011, c.d. «Salva-Italia», ha attribuito allʼAutorità per lʼenergia elettrica e il gas «le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici»; tra le competenze trasferite allʼAutorità, oltre a quelle relative alla qualità e alle convenzioni tipo per lʼaffidamento del servizio, vi è la definizione dei costi ammissibili e dei criteri per la determinazione delle tariffe a copertura degli stessi.

La disciplina della tariffa è regolata dal comma 1, dellʼart. 154 del Codice dellʼambiente, il quale stabilisce debba essere seguita la regola del «corrispettivo»: cioè la tariffa deve essere determinata in base a voci direttamente legate al servizio offerto. In particolare i parametri da seguire sono: qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, le opere e gli adeguamenti necessari; lʼentità dei costi di gestione delle opere; i costi di gestione delle aree di salvaguardia; una quota parte dei costi di funzionamento dellʼAutorità dʼambito. In una disposizione di chiusura viene poi stabilito che debba essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo i principi del recupero dei costi e del «chi inquina paga». Dopo i referendum del giugno 2011, lʼintera disposizione può essere quindi riassunta dicendo che la tariffa finale a carico dei cittadini utenti debba coprire i costi di esercizio e di investimento. Il referendum ha infatti eliminato l’inserimento in tariffa dellʼ«adeguata remunerazione del capitale investito» fino ad un massimo del 7%; in breve, la volontà popolare ha escluso la nozione di profitto dalla tariffa del servizio idrico integrato. Il gestore, dunque, pubblico o privato che sia, deve limitarsi a coprire i costi con i ricavi, tutto il resto, ciò che costituiva il «premio», il guadagno, viene eliminato.

Di più, costituendo la fornitura del servizio idrico un classico esempio di «monopolio naturale» e quindi non operando in tale ambito alcuna forma di concorrenza, più che di profitto si sarebbe dovuto parlare di «extra-profitto»; il gestore infatti non avrebbe avuto nessun interesse a mantenere basse le tariffe finali, ecco perché in questi casi è auspicata una gestione esclusivamente pubblica. La locuzione «servizi di rilevanza economica», invenzione neoliberale adottata nelle politiche europee e tradotta nell’ordinamento italiano, altro non è che il materializzarsi di un mercato artefatto perché luogo di scambio di beni incommerciabili.

Al contrario la norma abrogata aveva il preciso scopo di incentivare lʼintervento dei privati in un settore che necessita di forti investimenti, e qui il solito ricatto del debito pubblico. Prima che con l’inserimento in tariffa della quota a remunerazione del capitale investito, la porta ai privati era già stata aperta con la trasformazione degli enti pubblici di gestione del servizio idrico in S.p.A. e la quotazione in borsa. Su questo è intervenuto il primo quesito referendario: abrogato l’intero testo dell’art. 23 bis del decreto Ronchi, non esiste più l’obbligo di cessione ai privati del controllo delle S.p.A. e ritorna alla politica la responsabilità di scegliere tra un sistema privato, pubblico o misto pubblico-privato. Ciò a cui invece non si è potuto rimediare con il referendum è la gestione attraverso S.p.A. che riguarda la quasi totalità del territorio nazionale.

Bene, l’art. 2247 c.c. stabilisce che con «il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili». Lo scopo di lucro è quindi fondamento di qualsiasi S.p.A., indipendentemente dal fatto che il controllo sia pubblico o privato. Fin quando la gestione del servizio idrico integrato avviene tramite S.p.A., dunque, la creazione di profitti è insita, prima che nella tariffa, nella forma stessa di gestione.

Ricapitolando: abrogata la remunerazione del capitale investito, il soggetto gestore del servizio idrico ha diritto solo e soltanto a tariffe finali che coprano i costi, anche di investimento, ma senza possibilità di profitto ulteriore, essendo il profitto alla base di ogni «contratto di società» ciò non può che implicare lo scioglimento progressivo delle S.p.A. attualmente operanti nel settore idrico, la necessità per le Regioni di ri-acquistare la totalità delle quote delle aziende, il ritorno a forme di gestione tramite ente pubblico e lʼobbligo di realizzare investimenti nel settore soltanto con risorse pubbliche e soltanto a fondo perduto.

Ad obbligare la politica a questa scelta è il voto di 27.000.000 di cittadini e cittadine, qualcosa che viene prima delle norme scritte perché ne costituisce il fondamento.

Veniamo al metodo tariffario transitorio stabilito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas con la delibera n. 585 del 28 dicembre 2012: alla luce di quanto detto sopra è ovvio che una gestione del servizio idrico integrato attraverso S.p.A. non può coesistere con una tariffa che non preveda la remunerazione del capitale investito, il profitto. A questo punto, l’Autorità doveva scegliere tra due strade: fondare il nuovo metodo tariffario sul principio della semplice copertura dei costi di gestione obbligando così i gestori privati ad adeguarsi al risultato referendario che li vuole definitivamente esclusi dalla gestione del servizio idrico o dare per immutabile la situazione attuale e quindi – perché vittima di lobbismo o per distanza culturale poco importa – eliminare dai documenti la parola profitto nascondendo dietro altre voci il bottino dei privati.

In realtà, è probabile che il tentativo sia stato quello di praticare un po’ l’una e un po’ l’atra opzione visto che l’unica cosa certa è che tutti sono scontenti.

Se anche i gestori sono sul piede di guerra, significa certo che una qualche riduzione dei margini di profitto sull’acqua attraverso la nuova tariffa è avvenuta, o forse più severe condizioni sono state poste in termini di realizzazione degli investimenti come contropartita di quel profitto prima garantito a priori. Magra consolazione, briciole che non ridimensioneranno certo le rivendicazioni di chi lotta non per qualche spicciolo da risparmiare in bolletta ma per la convinzione politica, culturale ed etica che le merci e i bisogni essenziali non possano essere confusi, farlo comporterebbe non impoverimento ma imbarbarimento, una sottrazione di dignità umana non economica.

Ieri i movimenti per l’acqua hanno manifestato in tutta Italia il loro dissenso nei confronti del nuovo Metodo tariffario transitorio adottato dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas. I motivi possono essere così riassunti:

– la voce oneri o costi finanziari è solitamente calcolata come spesa per interessi sul capitale preso a prestito per gli investimenti o per la gestione; nella nuova tariffa invece si intende per oneri finanziari l’applicazione al capitale immobilizzato netto di una percentuale media del 6,4% ottenuta dalla somma dei rendimenti dei Buoni Poliennali del Tesoro e del tasso di rischiosità del mercato. Il capitale immobilizzato netto è, con alcuni correttivi, equivalente al capitale investito su cui si applicava il 7% di remunerazione del capitale abolito dal referendum. Ora, il capitale immobilizzato netto è composto da capitale preso a prestito e da capitale proprio; se per il primo l’applicazione del 6,4% potrebbe anche essere giustificata come onere o costo finanziario, nel caso del capitale proprio non può che trattarsi di remunerazione.

– La voce relativa alla quota di ammortamento degli investimenti prevede che siano conteggiati anche quelli effettuati con finanziamenti pubblici a fondo perduto, cioè quelli già pagati dai cittadini con la fiscalità generale. In tariffa viene poi prevista la possibilità di aggiungere come componente eventuale una voce a titolo di futuri investimenti pure essendo la tariffa il corrispettivo di un servizio goduto e non futuro.

– Viene abolito il limite di prezzo k, pari al 5%, previsto nel precedente sistema tariffario e con ciò si lascia campo libero agli incrementi che gli A.T.O., previa istruttoria di verifica da parte dell’AEEG, potranno richiedere.

Nella migliore delle ipotesi, dunque, acqua S.p.A. sarà tenuta a «sudare» i propri profitti, presumibilmente si tratterà di ulteriori sprechi e imprenditoria privata fatta con soldi pubblici, di sicuro nulla che abbia a che fare con un nuovo modello di gestione pubblica, la democrazia, i diritti e uno Stato garante dei bisogni essenziali.

Il comunicato del 25/1 del Coordinamento romano per l’acqua bene comune.

Oggi a Roma, come in moltissime parti di Italia, abbiamo dato vita ad un presidio per contestare la nuova tariffa del servizio idrico approvata dall’AEEG il 28 dicembre scorso.

Infatti l’Authority, deliberando il nuovo metodo tariffario, ha lasciato i profitti garantiti per i gestori in bolletta, cambiando semplicemente la denominazione e cancellando nei fatti il secondo quesito referendario sulla remunerazione del capitale investito. Semplice per quanto spudorato.

Tutta la mattina decine di attivisti e cittadini hanno partecipato al presidio ed hanno gridato e manifestato non solo lo sdegno e la rabbia per la decisione dell’Authority ma hanno dimostrato la determinazione ad affrontare e proseguire la battaglia.

Lo abbiamo anche scritto in una lettera che abbiamo voluto consegnare negli uffici dell’Authority, controllati a vista dalla sicurezza. Lo abbiamo fatto per richiedere le dimissioni dei membri dell’Authority che hanno voluto ignorare quello che hanno detto i cittadini e le cittadine: fuori l’acqua dal mercato, fuori i profitti dall’acqua.

Esattamente come le manovre dei tecnici del Governo Monti, camuffate da operazioni complessissime, consistono in semplici tagli del welfare e manovre a danno dei cittadini che favoriscono grandi interessi finanziari e bancari, così l’Authority cancella l’espressione di 27 milioni di italiani e fa un bel regalo a chi vuole speculare sull’acqua.

Per questo oggi eravamo sotto l’AEEG a Roma, per chiedere le dimissioni dei suoi membri e il ritiro della delibera approvata il 28 dicembre scorso; non era la prima volta e non sarà l’ultima.

Sappiamo che è una lunga battaglia, ma nessuno speri che faremo un passo indietro.

Perchè si scrive acqua, si legge democrazia!