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Contro chi odia il tiqui-taqua

Note a margine dopo Barcellona-Milan 4a0.

Un mesetto fa è uscito in libreria un libro, a firma Michele Dalai, dal titolo “Contro il Tiqui-Taqua. Come ho imparato a detestare il Barcellona“. Due settimane fa invece, i giornali italiani e non, dopo la vittoria del Milan (bravo e un po’ fortunato) aveva decretato la fine degli imbattibili, la fine di un’era , di un ciclo, le solite cose.

Del resto siamo italiani e per noi il calcio è contropiede e furbizia. Poca iniziativa, giocare di rimessa ci piace tanto quanto erigere difese imbattibili per poi parlare di “veloci ripartente” e pressing. Ci esaltiamo nell’errore altrui, amiamo la fisicità e il vigore atletico e ancora esultiamo per il mastino Gentile di Spagna ’82 che a distanza di 30 anni ancora nega che fosse rigore un fallo nettissimo su Zico.

Tornando al nostro Dalai in un articolo sul Sole 24 ore del settembre scorso scriveva: “Il Barcellona è terribilmente noioso, ecco la verità. Il suo gioco lento e avvolgente, la quantità industriale di palloni stoppati, lavorati e giocati dai suoi centrocampisti frenetici è una delle cose più deprimenti della storia del calcio e il fine ultimo della creazione del suo gioco, l’umiliazione dell’avversario ancora più e prima che la sua sconfitta, è aberrante. Il dramma (sportivo, s’intende), è che siamo di fronte a un’onda lunga, di cui vediamo solo i primi effetti. Infatti gli infidi ammaestratori di foche catalani iniziano prestissimo a instillare i principi della noia e della masturbazione del pallone ai loro pulcini. La Masia del Barcellona, il suo settore giovanile, è l’incubatore perfetto degli errori e degli orrori calcistici celebrati in tutto il mondo come il miracolo della squadra che inventò il calcio moderno. Li vogliono tutti uguali, pettinati allo stesso modo, educati e al servizio del collettivo. Una fabbrica di piccoli mostri impomatati e fungibili, pronti a entrare nello schema”.

“Mes que un club” è il motto della squadra catalana. Non è un semplice club perché è come se fosse la nazionale catalana, antifranchismo e indipendentismo sono alle radici di una squadra di calcio che è diventata un modello unico, oltre che un brand e una multinazionale capace di vendere in ogni parte del pianeta (e su questo punto ci sarebbe molto da dire). Contraddizioni del calcio moderno che il Barca rappresenta ma che comunque si presenta meglio, sia eticamente che sportivamente degli altri. Soprattutto degli odiati avversari madrileni. Nessuna altra squadra al mondo, almeno tra quelle più importanti, ha tanti calciatori “prodotti in casa”. Sì in quello che Dalai chiama “incubatore perfetto degli orrori calcistici” nascono talenti a cui viene insegnato a giocare a calcio. Proprio così, magari ai Dalai d’Italia sfugge, ma questo fanno. Non importa se sei alto, basso, magro o grasso, importa che tu sappia calciare, passare, stare in campo e che come obiettivo tu abbia il vincere la partita attaccando. Non ti insegnano a marcare l’avversario o ad aspettarlo, a picchiare o tirarlo giù per la maglia senza che nessuno se ne accorga. Ti insegnano che il calcio è un gioco di squadra, che ci si mette al servizio del collettivo, che ci si muove in maniera organica e che non hanno bisogno dell’Ibra di turno. Non c’è spazio per chi non rispetta questa filosofia, prendere o lasciare. Per questo loro, più di ogni altra squadra sono un modello opposto al calcio moderno.

Non so se a Dalai o a chi odia il Barcellona, capita mai di vedere una partita di calcio giovanile, dove già a 15 anni 10/11 dei giocatori di una squadra superano i 180 cm. Per i piccoli c’è spazio, forse, soltanto se indossi la maglia numero 10 o quella del terzino fluidificante: il resto no. Servono piccolo buttafuori, e va bene se sono sgraziati palla al piede, l’importante che abbiamo “i tempi di gioco”. Così dicono. Che cosa sono non lo so ma fa tanto scena.

Vi annoia il tiqui-taqua? Ma guardate mai le partite del campionato italiano? Vi capita mai di guardare un posticipo domenicale dove gli invasati di sky urlano e applaudono uno spettacolo che non c’è? Avete mai fatto caso che le uniche squadra che hanno messo in difficoltà il Barcellona sono quelle che invece di mettere “il pullman davanti la porta” hanno provato ad aggredirli e ad attaccarli? Ma soprattutto i Dalai d’Italia guardano il calcio o ne parlano solo?

Sia chiaro, io non ho mai amato gli invincibili, chi vince tutto, chi lascia le briciole agli avversari, del resto tifo una squadra che vince un campionato ogni 20 anni se ci dice bene bene. Ho sempre odiato i potenti e gli arroganti ma per questo Barca ho sempre fatto una eccezione. Sono il calcio, non so se quello che vorrei, ma un modello da seguire per organizzazione, appartenenza e senso del gioco. Sono inimitabili perché probabilmente senza alcuni di quei giocatori anche quel gioco non è riproducibile ma il calcio è anche programmazione e nel frattempo continuano a sfornare giovani calciatori che, soprattutto, non hanno nessun problema a far giocare a 18 anni. Non si chiedono se sono “pronti” o no, anzi continuano a credere che solo giocando si cresce. Qui no, a 20 anni sei giovane. A 22 anni sei ancora immaturo. Qui amiamo i “bad boy” come Balotelli o Cassano, che a me invece mettono solo tristezza: quella di vedere così tanto talento sprecato e così poca educazione sportiva. Giocano a calcio ma è evidente che si divertono poco, e questo è inaccettabile.

Viva il Barca, che non è imbattibile come ci raccontano, soprattutto quest’anno. Anzi mi sbilancio da subito: questo Barca non vincerà la Champions e spero tanto che al prossimo turno incontri il Borussia Dortmund. Io tiferò per questi ultimi.