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Il cinema indipendente al Tufello

Abbiamo intervistato Valerio Nicolosi (filmmaker e fotoreporter) per parlare di cinema indipendente e di vita nelle periferie a partire dai suoi ultimi due lavori Bia e Bar(n)Out duepuntoniente, che verranno presentati al CSA Astra giovedì 7 dicembre

Partiamo dal mercato del cinema indipendente. I tuoi primi due film, scritti con Paolo Verticchio, sono tutti autoprodotti. Cosa significa? Come avete fatto a realizzarli? Come si ricava uno spazio a fronte di un mercato dell’audiovisivo molto complicato in cui vanno avanti solo le grandi case di produzione e i grandi nomi?

La difficoltà sta tutta nel reperire i fondi. Perché a prima vista in tanti si dicono entusiasti, ma poi di fatto è difficile riuscire ad affermarsi in un mercato del cinema selvaggio. La nostra idea poi è ancora più “ambiziosa”, cioè produrre a partire da questi tre cortometraggi (di cui i primi due sono ora disponibili) una vera e propria serie tv, che faccia da contraltare a Suburra, Gomorra e Romanzo Criminale. I finanziamenti per questo tipo di lavori sono in genere fondi pubblici europei o ministeriali. In entrambi i casi è molto complicato ottenerli, servono delle case di produzione che appoggino il lavoro e, nel caso di quelli europei, dei partner. Occorre dunque una rete transnazionale che permetta di qualificare un progetto come europeo, con una produzione che si sviluppi almeno in tre-quattro paesi diversi. I fondi per il cinema, inoltre, finanziano in Italia nomi come Sorrentino: dunque di fatto, pur essendo rivolti anche alle produzioni indipendenti, supportano il grande cinema.

Il punto è che nel mondo della progettazione non basta solo affermarsi secondo un principio di meritocrazia, ma servono fondamentalmente contatti e soldi da investire. Bisogna avere la capacità economica per potersi permettere di produrre.

La mia storia da questo punto di vista è molto particolare: vengo dalle case popolari e, nonostante il trasferimento a Bruxelles, rimango un freelance. Per realizzare i due cortometraggi, allora, ho seguito quella che mi sembrava la strada più naturale: l’autoproduzione. Per il primo film Bar(n)Out ho messo in piedi un crowdfunding successivo alla realizzazione del filmato, nel secondo caso invece sulla base di un pubblico che si era appassionato al primo lavoro ho provato a lanciarlo prima di girare e montare. Questo ha comportato molto lavoro per me e non smetterò mai di ringraziare tutto il cast e la troupe, dalla protagonista Benedetta Rustici fino all’ultimo degli assistenti, che si sono messi a disposizione per realizzare questo lavoro, e ovviamente ringrazio quanti ci hanno creduto come spettatori. Si tratta di una produzione dal basso nel senso proprio del termine.

Foto di Alessandra Cinquemani e Riccardo De Luca

Bar(n)Out racconta la storia di Bia, fatta di prostituzione, droga e rassegnazione. Bia invece è il suo prequel e intreccia cinque biografie diverse. Entrambi i cortometraggi sono ambientati al Tufello raccontano in modo durissimo la violenza delle periferie (fatta di droga, ricatti, povertà). Questa violenza della città non si separa mai dalla violenza del lavoro e dalla violenza sessuale. Come spieghi questo intreccio?

Si tratta di violenza di classe, quella che si subisce quotidianamente perché economicamente subalterni. Il sentimento che muove i miei lavori è la rabbia nei confronti di questo tipo di violenza. I miei personaggi sono “vittime” della violenza di classe. Sono storie molto frequenti nelle nostre periferie, in cui tante donne devono adattarsi al primo lavoro sottopagato disponibile, spesso con un figlio a carico e con situazioni di abuso domestico da cui non riescono a liberarsi per ragioni economiche. L’idea è di presentare questa violenza, fino al punto di suscitare disturbo e fastidio nello spettatore, nella speranza che si converta in senso di riscatto, desiderio di cambiamento.

Bar(n)Out e Bia da questo punto di vista non rappresentano direttamente un lavoro politico, ma di fatto lo sono. Siamo talmente assuefatti alla violenza economica che spesso non ci rendiamo conto che la stiamo subendo. Allora, pur parlandone attraverso un film e quindi in modo politicamente indiretto, ho fatto in modo che il messaggio arrivi in modo diretto e anche “disturbante”. Se dovessi scegliere una frase con la quale presentare questi film, questa sarebbe: “tratto da tante storie vere”, esattamente quelle delle periferie in cui viviamo.

Foto di Alessandra Cinquemani e Riccardo De Luca

In che senso questa futura serie tv vuole essere il contraltare di serie importanti e che hanno suscitato molto interesse anche a sinistra, come Suburra, Romanzo Criminale, Gomorra?

Nel mio progetto voglio raccontare le storie della vera periferia e non il feticcio che le serie che tu citi presentano, in cui il crimine viene di fatto esaltato, mostrandone la natura “eroica”. Nei miei cortometraggi non ci sono eroi, ma gente “normale” che subisce le scelte di quelli che sarebbero i protagonisti di Suburra, Gomorra e Romanzo Criminale. Si tratta di quella stessa realtà, ma con gli occhi puntati verso il basso, verso chi subisce quel mondo o è costretto a entrare in giri criminali, non potendo decidere nemmeno della sua vita.

Perché è tutto girato in bianco e nero?

Bia è ambientato tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del 2000 (infatti noterete che si parla di lire e non di euro), mentre Bar(n)Out si colloca dopo il 2000. Il bianco e nero serve per valorizzare una storia di vent’anni fa. La funzione è quindi quella di decontestualizzare la vicenda di cui si tratta, sia dal punto di vista temporale che geografico (quando parlo della periferia del Tufello mi riferisco a tutte le possibili periferie italiane e non solo).  Racconto biografie estremamente individuali, ma per individuare il loro valore generale, cioè l’oppressione di questo sistema economico capitalistico nel quale viviamo. Con la crisi economica due elementi ritornano oggi molto attuali: l’eroina e la prostituzione. Nel primo caso gli abusi, nel secondo la necessità di prostituirsi, legata a una determinata condizione sociale (non si prostituiscono più “le ragazze dell’est”, ma anche sempre più ragazze “italiane”).

Foto di Alessandra Cinquemani e Riccardo De Luca

In molte periferie per uscire fuori da una situazione di violenza e solitudine, ci si fa forza su una dimensione collettiva di solidarietà. C’è o ci sarà una fuoriuscita positiva nella vicenda di Bia?

Non voglio “spoilerare” la conclusione di questa trilogia. In ogni caso la nostra protagonista, Bia, cercherà il suo riscatto.

 

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