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Cile in rivolta: non è solo la metro, è una lotta contro il “pinochettismo”

Le proteste popolari iniziate per l’aumento di prezzo del trasporto metropolitano sono diventate rapidamente un’espressione della richiesta di diritti sociali inesistenti, in un paese che rappresenta la caricatura del manuale del liberalismo ortodosso. Nonostante stato d’emergenza e coprifuoco, la rivolta continua

Divampa la rivolta in Chile. A partire da martedì 15 ottobre decine di giovani tra i 13 e i 17 anni hanno dato vita a innumerevoli e massive azioni di protesta nelle linee metro di Santiago che si sono materializzate nel salto del tornello come risposta diretta all’aumento del 30% del costo del biglietto – 830 pesos cileni, equivalenti a 1,20 dollari – predisposta dal Governo.

Con il passare dei giorni la protesta, partita da studenti e studentesse, ha raggiunto ampi settori della società cilena e santiagueña divenendo trasversale nelle forme e nelle pratiche. Sono innumerevoli le dichiarazioni di appoggio alla protesta rilasciate da pensionati, lavoratrici e lavoratori pronte a smontare la retorica del vandalismo e dell’illegalità presentate dai Media. Forte nel paese è la consapevolezza che i veri responsabili dell’attuale situazione  sono il governo Piñera, sono le grandi industrie e il sistema finanziario che sempre più stanno strangolando la vita di milioni di chileni condannandoli a condizioni precarie di vita e di lavoro, a privatizzazione del sistema pensionistico con pensioni che non superano i 120 dollari, privatizzazione della sanità e dell’università con ricorso all’indebitamento per accedervi, da salari irrisori con l’impossibilità di arrivare alla fine del mese.

L’aumento del costo del biglietto è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nel pomeriggio di venerdì 18 ottobre le proteste, caratterizzate dall’assenza di veri e propri leader, hanno raggiunto il punto più algido di confronto. Di fronte alla violenza e alla repressione perpetuata dalla polizia con lanci di lacrimogeni nelle metro e successiva chiusura e controllo di queste, con massicce operazioni di polizia nelle strade con l’utilizzo di proiettili di gomma per disperdere i manifestanti scaturite in feriti e arresti, la protesta è divampata nella città di Santiago dando fuoco a una trentina di fermate metro, alle scale di emergenza dell’edificio di Enel.

 

Nella notte tra il venerdì e il sabato il Presidente Sebastian Piñera ha dichiarato lo stato di emergenza. L’ultima volta che era stato invocato per ragioni sociali e politiche – quindi senza contare disastri ambientali, terremoti – è stato durante la dittatura.

 

Questa nuova situazione implica maggiori poteri all’esercito-militarizzazione delle strade e vieta ogni forma e tipo di organizzazione e mobilitazione sociale. Da domenica 20 lo stato di emergenza è accompagnato dall’introduzione del coprifuoco. Nonostante l’apparato repressivo che ricorda la dittatura, non si sono fermate le proteste e i cacerolazos nel paese. È impossibile avere un numero esatto di morti, feriti e arresti. Le cifre cambiano rapidamente. Per oggi, lunedì 21, sono previste mobilitazioni in diverse aree del Chile. Una richiesta, tra le varie cose, è la statalizzazione del servizio di trasporti pubblico.

«Protesto per le tante ingiustizie, per i tanti abusi e perché la nostra voce sempre rimane inascoltata» dice una persona anonima tra le tante presenti in piazza Ñuñoa a Santiago. Le proteste popolari iniziate con l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana sono diventate espressione di una domanda sociale più ampia, sono diventate espressione diretta di richiesta di diritti sociali da sempre inesistenti in un paese che rappresenta la caricatura del liberalismo ortodosso più dottrinario.

 

Relazioni sociali divenute merci, beni comuni privatizzati, un’oligarchia culturalmente conservatrice e rabbiosamente liberale a capo del piano economico. Un ordine sociale che rimanda alla dittatura militare Stato di polizia e/con connotati fortemente antipopolari.

 

Luogo di forte concentrazione e accumulazione capitalistica, dominio dei grandi gruppi economici che distruggono brutalmente la concorrenza, impongono prezzi e subordinano, strangolano le piccole e medie imprese.

Il Cile è il principale esportatore, è la base finanziaria di gran parte del Sud America, completamente sopraffatto, travolto, schiacciato dall’estrattivismo e dalle sue conseguenze nefaste per la natura e le comunità. Il Cile è attraversato da profonde disuguaglianze, è un paese la cui industria nazionale è praticamente assente frutto di scelte economiche che costringono il paese a importare non solo prodotti tecnologici ma anche prodotti alimentari e tessili. Il Cile dipende dall’economia della Cina, degli Stati Uniti, dell’Europa e, in ultimo, dagli scambi commerciali con i paesi della regione. Cile grigio, suicida, sfruttato e saccheggiato: anziani che non vogliono andare in pensione perché li attende la miseria e giovani, laureati e non laureati, senza futuro.

«Finché le cose non cambiano, non mi muovo da qui, continuerò a protestare» afferma una giovane ragazza protestando con una cacerola davanti ad un militare. Sì, un militare. Perché il presidente di estrema destra Sebastián Piñera – uomo di Washington – e la sua squadra di governo, nel tentativo di porre fine alle manifestazioni popolari del 17 e 18 ottobre, ha decretato, nelle prime ore di venerdì 19, lo stato di emergenza nel paese sotto forma di emergenza costituzionale. Cosa significa questo? Aumento delle Forze Speciali dei Carabineros sul territorio, passaggio della sicurezza nazionale nelle mani del Generale Iturriaga del Campo per 15 giorni e massiccia militarizzazione delle strade della Regione Metropolitana.

 

 

Qualsiasi forma di dissenso politico è vietato: proteste, riunioni, concentrazioni pubbliche e mobilitazioni. Di fatto, si tratta di un virtuale stato di assedio con annesso coprifuoco come previsto dalla Doctrina y Ley de Seguridad Nacional Interior del Estado. In altre parole, il nemico politico-militare dello Stato e dei suoi amministratori è il popolo cileno stesso. Pur trattandosi di manifestazioni pacifiche. Di fatti i manifestanti scendono in piazza disarmati. Dal canto suo la sinistra, tanto istituzionale come non, è politicamente e numericamente decimata. Il popolo, ormai da tempo, non ripone fiducia alcuna nelle istituzioni qualunque esse siano, dalla chiesa cattolica al sistema tradizionale dei partiti.

 

Quello che è certo, che è chiaro a tutti, è che la militarizzazione della città, la massiccia presenza di forze militari nelle strade, invece di spaventare i manifestanti presenti nelle strade di Santiago sta producendo l’effetto contrario, ha moltiplicato l’indignazione popolare.

 

Così davanti ai militari che con l’uso di mitragliatrici minacciano i manifestanti presenti in piazza, nelle strade, questi si avvicinano, li fotografano e li invitano a tornate in caserma. Tuttavia le forze armate, invece di andarsene, provocano i manifestanti mettendo in scena vere e proprie esercitazioni di guerra, militari a Plaza Italia, nel pieno nella capitale cilena.

La richiesta immediata è semplice e diretta: «Fine dello stato di emergenza». La paura non funge più da deterrente e la protesta divampa. Attraverso i media nazionali, Piñera riferisce che presenterà una proposta di legge volta ad “ammortizzare” l’aumento del biglietto. Ma la realtà dei fatti è un’altra e mentre il presidente discute con il suo governo l’unica soluzione offerta è la repressione.

Fino ad un paio di giorni fa nessuno immaginava che il Cile sarebbe stato protagonista/teatro di una rivolta popolare la cui critica va oltre, supera, il mal operato del governo di Piñera per rivolgersi direttamente al regime cileno nella sua complessità. Nel sottosuolo si è venuto accumulando per molto tempo un enorme malessere sociale, espresso parzialmente nel corso del tempo, attraverso lotte disaggregate, disgiunte.

 

Dietro le proteste non ci sono partiti politici o organizzazioni sociali. Di fatti, l’opposizione istituzionale è arrivata tardi e senza che nessuno la chiamasse, esprimendo per giunta posizioni politiche discutibili, timide in relazione alla misura varata dal governo, distanti anni luci dalle rivendicazioni espresse in piazza, come se vivesse in un altro mondo.

 

I funzionari di governo invocano l’unità nazionale e convocano tavoli di dialogo. Ma la disuguaglianza sociale, la precarietà generalizzata, le atrocità accumulate nel corso degli anni sono ingredienti fondamentali che permettono un’espressione multidimensionale, trasversale della lotta di classe, che abbraccia e simultaneamente eccede le rivendicazioni economiche che sono alla base della rivolta. E non ci saranno commissioni o tavoli di dialogo in grado di risolvere suddette contraddizioni inconciliabili.

Come arance che germogliano dopo decenni, si risveglia il popolo cileno. E non dobbiamo dimenticare che questo popolo è lo stesso che quasi mezzo secolo fa ha eletto, attraverso il voto popolare, il primo presidente marxista della storia. Non sarà forse la coscienza popolare della società cilena uno stato di latenza che si risveglia come un lampo di luce nel cuore della notte?

 

Vedere il mio popolo umiliato in fuga, calpestato, gasato, picchiato, fucilato è la mia sconfitta.

Vedere la mia gente disperata in cerca di una via d’uscita è la mia sconfitta,

noi e le nostre sconfitte siamo invincibili!

Mauricio Redolés

Articolo pubblicato da anred.org

Traduzione in italiano di Matteo Codelupi per DinamoPress