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La ricostruzione dopo il rechazo in Cile: intervista ad Alondra Carrillo

ILe rivolte sociali in Cile hanno inaugurato un processo costituzionale ampio e partecipato. Tuttavia, al referendum del 4 settembre 2022 la nuova carta è stata bocciata. Indaghiamo sulle cause della sconfitta e sulle prospettive delle lotte attuali

A partire dal 2019, il Cile è stato teatro di rivolte sociali che hanno coinvolto tutti i settori della società civile. Proteste che non solo denunciavano il crescente caro vita, ma anche la struttura sociopolitica dell’intero paese, edificata sul retaggio della dittatura di Pinochet. Così, il 25 ottobre 2020, il Plebiscito Nazionale ha visto prendere posizione circa
l’80% dei votanti in favore della stesura di una nuova Costituzione.

Nei due anni seguenti, un’ampia rappresentanza eletta del popolo, si è riunita nella Convención Constitucional per la stesura di un nuovo testo. Tuttavia, la nuova carta ecologista, femminista e plurinazionale, proposta al referendum del 4 settembre 2022 è stata rifiutata dal 63% della popolazione, convocata – questa volta obbligatoriamente – al voto. A partire dalle cause della sconfitta del apruebo, però, si è aperto uno spiraglio di consapevolezza che sta ispirando una ricostruzione non solo dell’organo costituzionale, ma anche e soprattutto delle organizzazioni sociali cilene.

Proponiamo una analisi di questi processi e delle prospettive del movimento cileno con questa intervista ad Alondra Carrillo, portavoce della Coordinadora Feminista 8M tra il 2018 e il 2020 e membro della Convenzione Costituzionale Cilena.

Come è stato costruito il processo rivoluzionario in Cile? Chi furono i soggetti promotori della nuova Costituzione?

In Cile vigono un assetto politico e una dinamica economica sostanzialmente disegnate e imposte attraverso la dittatura civile e militare che ebbe luogo nel nostro paese tra il 1973 e il 1990. Questa dittatura ebbe almeno tre obiettivi. Il primo, l’annientamento dei settori popolari organizzati con prospettive rivoluzionarie e socialiste. Il secondo, la trasformazione economica in linea con il disegno proposto, in quel momento, dai Chicago Boys, focalizzato
su un’ampia privatizzazione dell’attività economica del paese e dei campi d’azione dello Stato in materia di diritti sociali. Il terzo, l’imposizione di un assetto politico e istituzionale che potesse legittimare i primi due punti, anche una volta terminata la dittatura.

Queste trasformazioni hanno avuto l’effetto di dare forma a una società cilena caratterizzata da un’estrema disuguaglianza economica e una disarticolazione politica dei settori popolari. D’altro canto, però, è presente una forte conflittualità sociale dovuta alla devastazione socio-ambientale prodotta da un’attività economica estrattivista, che caratterizza in senso neocoloniale la relazione tra lo stato e le popolazioni indigene – nello specifico il Popolo Nazione Mapuche. Persistono anche l’assenza dei diritti fondamentali garantiti, la crescente precarizzazione della vita, il carattere patriarcale dello Stato e il suo forte retaggio culturale sotto forma di una violenza di genere che si è acuita negli ultimi decenni. Queste conflittualità crescenti sono state condannate dal sistema politico senza che venisse alterato nel nucleo l’assetto politico o il modello economico imposti.

Di fronte al tentativo del governo di Sebastian Piñera (ex presidente del Cile) di iniziare una controffensiva nei confronti dei settori popolari più dinamici, con il fine di ripristinare la stabilità necessaria per la transizione concordata a partire dalla dittatura, le mobilitazioni sono aumentate di intensità fino a generalizzarsi in tutto il paese sotto forma di rivolta sociale contro gli effetti del neoliberalismo. Tra le varie richieste, quella di eleggere un’assemblea costituente che permettesse l’abbattimento dei pilastri di questo regime – vertenza sostenuta da ampi settori popolari organizzati, già a partire dall’imposizione della costituzione di Pinochet nel 1980 –, è stata assecondata dal sistema politico per offrire un canale istituzionale all’enorme mobilitazione popolare che, però, allo stesso tempo, è stata brutalmente contestata dallo stato con la violenza poliziesca e la prigionia politica. I settori sociali attivamente coinvolti nelle contestazioni popolari al governo Piñera hanno partecipato a questo processo e ci hanno riposto ampie aspirazioni di rinnovamento.

Grazie all’apertura di una finestra elettorale inedita, resa possibile attraverso la presentazione di liste di persone non provenienti da nessun partito per un’integrazione della Convenzione Costituzionale, circa un terzo dell’organo costituente è stato composto dai rappresentanti dei settori popolari in lotta, che hanno espresso nel testo costituzionale le rivendicazioni di maggiore democrazia, di socializzazione del potere e di ridistribuzione dei beni comuni, già elaborate collettivamente in precedenza.

Com’è stato possibile incontrarsi tra delle forze politiche differenti? Pensi che queste differenze interne possano aver cambiato il significato stesso della Costituzione per come la immaginavate?

La Convenzione Costituzionale concessa dal sistema politico aveva alcuni requisiti che hanno definito anche lo sviluppo politico al suo interno. Il principale di questi era che, affinché una proposta di legge arrivasse a essere parte del testo costituente, questa avrebbe dovuto essere approvata dai ⅔ dei membri dell’organo, ovvero 103 voti favorevoli su 155. Al fine di generare questa super maggioranza, si doveva trovare un accordo nel contenuto e nella forma tra le seguenti forze politiche: la lista popolare, un insieme eterogeneo di rappresentanti di diverse traiettorie però, in generale, legati alla politicizzazione delle rivolte sociali; i movimenti sociali, cioè rappresentanti di settori stabilmente organizzati della
popolazione, indipendenti dai partiti politici; il partito comunista e i suoi alleati del fronte regionalista verde; il fronte ampio, attuale coalizione del governo; il partito socialista, principale forza politica della transizione, amministratore dello Stato durante i primi vent’anni successivi alla dittatura; indipendenti di orientamento piuttosto liberale, senza militanza né partitica né sociale; e, infine, dei seggi riservati per le popolazioni e le nazioni indigene.

Il dialogo tra queste forze politiche è stato complesso per importanti ragioni storiche. Tra queste, l’assenza di qualsiasi tipo di dialogo sociale plurinazionale nel momento di costruzione dell’apparato istituzionale del paese. Un’altra è la profonda rottura tra i settori popolari e le strutture di partito, che hanno seminato sfiducia e definito continuamente le tensioni tra i settori indipendenti e i rappresentanti delle forze partitiche. A ciò si unisce l’assenza di linguaggi politici condivisi per esprimere gli orientamenti e per costruire le negoziazioni e gli accordi. Per ultimo, le prospettive, a tratti opposte, su ciò che era veramente in gioco nella redazione del testo costituzionale.

Per i settori popolari rappresentati nell’organo, il processo costituente era il primo e l’unico momento in cui poter sfogare rivendicazioni che mai, nella recente storia democratica del paese, avevano avuto spazio alcuno per potersi manifestare nelle istituzioni.

Era, in più, un’opportunità storica inedita e vista come irripetibile, di consolidare nel più alto livello istituzionale di un paese gli orientamenti programmatici che si erano potuti costruire nelle lotte sociali. Per le altre forze, soprattutto il partito socialista, la nuova Costituzione doveva permettere di rimettere in marcia, con i minori cambi strutturali possibili, la macchina istituzionale politica in crisi, affinché tornasse a essere lo spazio depositario della soluzione quotidiana alle tensioni sociali: riconoscere e dare spazio ad alcune principali richieste dei diritti fondamentali per garantire, soprattutto e come principale valore, la stabilità del regime.

Se, inizialmente, come settori popolari ci siamo immaginati marginali e con una piccola capacità di incidenza, in realtà la nostra presenza nell’organo costituente ci ha fatto assumere una tremenda responsabilità non solo nella costruzione del testo, ma anche nel funzionamento quotidiano dell’organo, il quale rappresentava una sorta di isola democratica inserita in un contesto istituzionale dittatoriale ancora in vigore. Questo, senza dubbio alcuno, ha cambiato la nostra prospettiva e ci ha obbligato ad assumere delle posizioni riguardo a tutta la materia che fa parte di un testo costituzionale. In questo modo, si sono sviluppati dei dibattiti che mai prima di allora erano stati oggetto di deliberazione nei settori popolari come il regime politico, la struttura tributaria del paese, l’architettura del sistema giuridico, oltre a molteplici materie di carattere generale; tutto ciò è stato raggiunto grazie allo sforzo di riflessione collettiva e ci ha permesso di diventare ugualmente responsabili di questo compito di stesura.

Qual è la funzione del femminismo nelle norme della nuova Costituzione?

Il femminismo è stato, prima di tutto, una forza che si è espressa in una forte articolazione dentro e fuori la Convenzione Costituzionale. Generando ampi livelli di permeabilità dell’organo costituente, il femminismo ha promosso all’interno del testo gli orientamenti programmatici che sono stati sviluppati all’interno dei processi di sciopero generale femminista degli ultimi anni. Così, l’approccio femminista ha avuto, allo stesso tempo, due effetti cruciali sul testo: da un lato, ha offerto un’ottica trasversale, cioè una prospettiva che permettesse di interrogare ogni dimensione del testo costituzionale nei termini della politica sessuale e riproduttiva; dall’altro, è servito da agenda di diritti sociali che sono stati sollevati dal popolo in decadi di lotte, rendendo la politica popolare allo stesso tempo globale e femminista.

Un esempio di questa influenza, possono essere le norme riguardo la previdenza sociale, in quanto si è cercato allo stesso tempo di abbattere la politica della capitalizzazione individuale in ambito pensionistico e di consolidare una prospettiva ampia di lavoro che permettesse di riconoscere socialmente anche i lavori non remunerati, come quelli associati alla cura. Queste vertenze hanno comportato una scommessa istituzionale sulla promozione del lavoro attraverso un sistema integrale di cura come elemento indispensabile dello stato sociale. In più, oltre a queste due questioni cruciali che il femminismo ha promosso tra le forze politiche dentro e con le organizzazioni femministe fuori dalla Convenzione, il movimento è riuscito ad articolare tra le norme un orizzonte complessivo di trasformazione istituzionale che ha iscritto il testo costituzionale in un impegno per il futuro.

La forte frammentazione del movimento sociale ha dato un carattere dispersivo e di difficile articolazione all’insieme delle norme che facevano parte della carta. Il femminismo è stato, in questo senso, una trama sotterranea di norme che comunicasse che il testo costituzionale è stato, prima di tutto, l’impegno per un potere istituzionale in grado di cambiare concretamente la vita delle bambine e dei bambini del paese, rendendo possibile un futuro molto differente da un presente di violenza e di oppressione. Questa riabilitazione di un futuro più desiderabile e forse una delle funzioni più creative e vive che è rimasta presente nelle norme per come appaiono nel testo.

E ora il rechazo: in quanto donna e attivista cilena quali pensi possano essere le cause di questo rifiuto?

Ciò che è necessario dire prima di tutto è che il risultato del referendum del 4 settembre non ha un’unica spiegazione ed è fondamentale concentrarsi sulla diversità di istanze che questo risultato implica. In primo luogo, la domanda che è stata rifiutata quel giorno, dal nostro punto di vista, deve rimanere aperta e orientare – come ha fatto sino a ora – un processo di ascolto che ci permetta di conoscere un settore della popolazione che si è manifestato in questa votazione e che non aveva partecipato alle urne in nessun altro momento.

A differenza del referendum all’inizio del processo [25 ottobre 2020, ndr], dove l’appoggio a una nuova Costituzione è stato sostenuto da circa l’80% di coloro che decisero volontariamente di votare, il referendum conclusivo [4 settembre 2022, ndr] è stato obbligatorio e con iscrizione automatica, facendo emergere una realtà elettorale che mai prima di allora si era configurata nel nostro paese e che ha reso questa votazione la fotografia più completa e complessa dell’elettorato cileno. Praticamente, tutti i voti nuovi, e cioè tutti coloro che sono stati obbligati a votare a questo referendum, hanno teso al rifiuto della Costituzione.

Innanzitutto, è indispensabile tener conto del fatto che il risultato non esprime esclusivamente la legittimazione del progetto costituzionale o del testo. Infatti, in relazione alle informazioni finora pervenute, almeno in parte, si tratta di un voto di punizione nei confronti del sistema politico e della sua incapacità di proporre delle vie d’uscite dalla crisi che sta attraversando il paese. Senza dubbio, inoltre, si tratta anche di una valutazione sulla Convenzione Costituzionale e sul suo sviluppo, oltre che sul governo di Gabriel Boric che ha generato rapidamente un ampio dissenso.

Si tratta anche di un rifiuto nei confronti di elementi parziali del processo costituzionale, ciascuno dei quali si riferisce a una distinta dimensione del complesso processo di disputa a causa della politicizzazione polarizzata con le rivolte. Un rifiuto verso la plurinazionalità, falsamente presentata come dissoluzione dell’identità nazionale e frammentazione del paese, attraverso una campagna apertamente razzista nei confronti dell’indigenismo. Un rifiuto nei confronti della previdenza sociale per l’eventualità – fortemente promossa dalla campagna mediatica della destra – che potessero venire espropriate le pensioni dei lavoratori e delle lavoratrici. Un rifiuto nei confronti del diritto all’abitare che – per quanto garantisse un’abitazione degna e adeguata a tutte le persone – non indicava che quest’ultima potesse essere di proprietà ed ereditabile.

Nonostante tutti questi aspetti fossero incorniciati all’interno di una campagna di disinformazione fortemente finanziata, la pura disinformazione non basta a spiegare l’efficacia di queste menzogne. In realtà, ciò che queste questioni hanno fatto emergere maggiormente è la tremenda validità dei vettori soggettivi che ritornano più e più volte quando si sviluppano sforzi verso una trasformazione politica profonda: la rilevanza della proprietà privata come unica garanzia di certezza in un contesto di crescente incertezza economica; lo spazio attribuito alla “nazione” e la fondamentale mediazione che essa propone, in un paese dove la maggioranza della popolazione non ha più simboli attraverso i quali riferirsi alla comunità politica, se non quello della bandiera del Cile e dove la chilenidad è stata presentata come sotto attacco. In conclusione, il rifiuto del progetto costituzionale a causa di alcuni aspetti che potrebbero risultare problematici e, quindi, la preminenza di aspetti parziali rispetto alla proposta nel suo complesso, dimostra la frammentazione della proposta costituzionale e la difficoltà di enunciare la trasformazione in atto in un senso globale, cosa che sarebbe stata sufficientemente persuasiva di fronte alle incertezze di un cambio generalizzato e fortemente contrastato da parte dell’attuale potere politico ed economico.

Quali sono oggi le prospettive dei movimenti sociale, femminista e ambientale in Cile? Tornerete nelle piazze o farete nuovi tentativi per approvare la carta costituzionale?

Una delle prime conclusioni alle quali siamo giunti in fretta in quanto organizzazioni sociali che hanno contribuito alla partecipazione nel processo costituente, fu che fosse necessario tornare a rafforzare le organizzazioni stesse. Il Movimento Popolare in Cile ha dovuto assumersi enormi responsabilità storiche con strumenti organizzativi estremamente precari. Questo compito di rafforzare le nostre organizzazioni va di pari passo con l’irrobustire la nostra presenza sui territori e con l’ampliare la nostra capacità di costruire dei movimenti di base.

Tale presenza è indispensabile tanto per costruire risposte popolari alle urgenze materiali e sociali che il rechazo non ha risolto, quanto affinché non succeda più che sviluppiamo un confronto con il potere politico ed economico senza la capacità di parlare direttamente al nostro popolo, sulla base di una fiducia costruita a partire dalle relazioni instaurate dal basso.

Una seconda dimensione che abbiamo riconosciuto come indispensabile è dotarci di un’infrastruttura mediatica di massa, dal momento che quasi l’assoluta concentrazione del controllo mediatico è nelle mani del establishment economico, per cui risulta estremamente difficile l’ampliamento del dibattito ideologico.

Infine, oggi come movimento femminista ci stiamo riconvocando per incontrarci in un organismo plurinazionale e costruire insieme un piano di lotte che ci permetta di uscire dalla posizione difensiva nella quale ci siamo ritrovate dopo il risultato elettorale, tornando a prendere una posizione di vantaggio nel progetto che abbiamo costruito. Pur essendo certo che il nuovo processo costituzionale concesso dal Congresso è immaginato per mantenere la continuità del regime istituzionale vigente, il nostro programma non si esaurisce su questo livello; sarà in altri conflitti sociali aperti e che già iniziano a delinearsi che dovremo costruire la forza sociale per costruire una risposta alla crisi che continua a persistere.

Tutte le foto sono tratte da “Plaza De La Dignidad” Mostra Fotografica sul Cile di Luca Profenna