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Chuck Berry l’inventore del rock and roll

È morto il 18 marzo, uno dei padri del rock (1926-2017) . Un mito incarnato che mise al centro del mondo la chitarra come strumento principale. Il primo interprete musicale a trattare nei suoi testi, seppur con toni semplici e ironici, tematiche riguardanti gli adolescenti, la ribellione alle convenzioni sociali, il lavoro, la povertà economica giovanile.

“Se volete chiamare il rock in un altro modo chiamatelo Chuck Berry” diceva John Lennon e non è un caso che alcune delle prime hit (Roll Over Beethoven, Rock and Roll Music, Johnny B. Goode) che hanno dato il via al successo dei Beatles siano in realtà delle cover di Mr Chuck. Ma pensiamo anche a Come On, scelta come singolo d’esordio dai Rolling Stones. La British Invasion degli anni ’60 prende in realtà le mosse da questo artista del Midwest statunitense.

Nato a Saint Louis nel Missouri nel 1926, Berry è un adolescente ribelle, e trascorrerà anche diverso tempo in riformatorio a causa di una rapina mentre era ancora al liceo. Mille lavori e lavoretti si alternano mentre la chitarra elettrica pulsa nelle pause della sua vita tra una fatica e l’altra, ma sempre con lui. Poi il matrimonio e il lavoro presso un impianto di assemblaggio di automobili. Ma ad un certo punto con la mente in cui echeggia il rif del bluesman T-Bone Walker, si reca a Chicago, la patria del delta blues. L’incontro più o meno fortuito con Muddy Waters (1913-1983) – considerato “il padre del blues di Chicago” – che lo indirizzerà presso la Chess Records, cambierà la storia della musica occidentale. Un rapporto artistico e umano che andrà avanti per anni.

Figli di quell’America rurale profondamente razzista, entrambi sono cresciuti presso le rive dei più grandi fiumi degli Stati Uniti, che hanno ancora i nomi di quelle tribù indiane che vi risiedevano ben prima della colonizzazione bianca. Muddy Waters (“acque fangose”) è un soprannome dato da sua nonna per via della sua abitudine di sguazzare nel fango in riva al Mississippi, appunto. Muddy aveva lasciato a suo tempo i 10 fratelli e il lavoro in una piantagione di cotone con la chitarra in spalla verso le città fredde del Nord America. A Chicago lavorava di giorno come autista e di sera suonava nei bar e in piccoli club. Hoochie Coochie Man, Rolling Stones, Rollin’ and Tumblin’, Mannish boy, scandiranno il beat delle future generazioni, saranno il fantasma di Jimi Hendrix e Eric Clapton, l’urlo rock dei Led Zeppelin e degli AC/DC, soundtrack delle metropoli cinematografiche di Scorsese.

Il biopic Cadillac Record ripercorre un po’ l’incontro tra questi guitar man e Leonard Chess, ebreo polacco immigrato in USA e fondatore dell’omonima etichetta discografica. Uomo ambizioso, con profonda voglia di riscatto sociale (ed economico…) “la dinamo” che ha rivoluzionato il mondo dell’industria discografica indipendente lanciando tra gli altri il geniale Bo Diddley, il bad boy Little Walter, il “twist-man”Chubby Checker, il gigante Howlin’ Wolf e la meravigliosa Etta James. In un tempo in cui le maggiori emittenti radio trasmettevano quasi esclusivamente musica incisa da bianchi, egli riuscì ad imporre le note dei “suoi” artisti, scardinando le barriere musicali che stigmatizzavano la cosiddetta race music (musica nera solo per neri, nome attribuito dall’industria discografica).

Rocking era un termine utilizzato dai cantanti gospel nel Sud degli USA per indicare qualcosa di simile all’estasi mistica. La frase “rocking and rolling” era un’espressione secolare dei neri per indicare la danza, il movimento ritmico, con allusioni anche sessuali sin dal diciottesimo secolo. Termini linguistici per lo più sconosciuti a molta white people. In Chuck Berry rhythm and blues, rock e soul si fondono. Il suono è dirompente, non è più blues, ma è letteralmente rock and roll. E nel 1955 con Maybellene nasce il mito che travalica anche – fisicamente- la segregazione razziale all’interno dei locali, in cui ragazz* bianch* e ner* venivano separati in due sponde, mentre ascoltavano la stessa musica.

Berry si agitava sul palco nella celebre Duck Walk (ripresa anche da molti artisti come Michael Jackson e Angus Young) mentre suonava la chitarra e proprio non riusciva a non oltrepassare i confini divisori! Non era solo performance musicale la sua, il suono, il movimento del corpo, l’urlo di una gioventù silente, andava oltre ogni frontiera razziale. Tra l’altro aprirà proprio nella sua città natia, un locale racially integrated. Il declino inizia nel 1959 con la denuncia e la conseguente accusa di aver introdotto una minorenne in un altro stato. I due avevano una relazione, lei era effettivamente minorenne, ma l’aggravante per la giuria – che porterà alla condanna a 5 anni di carcere – era che lui era nero e lei no. Mentre in carcere sconta la pena detentiva, che verrà poi ridotta, nel 1963, dalle spiagge assolate della California, i Beach Boys “prendono in prestito” la melodia di Sweet Little Sixteen del 1958 che è un inno ai rebel(s) with(out) a cause e la trasformano nella celebre hit Surfin’ U.S.A.


Nel 1964, uscito di prigione e in declino, in effetti Berry ha ragione a cantare No Particular Place to Go. Sembrava non esserci più posto per lui e per gli altri della Chess Records, ora che avevano inventato il blues, il soul, l’R&B… ora che mille band nascevano, ora che il rock e era stato commercializzato e impacchettato per un vasto pubblico, addomesticato nel linguaggio sessuato, troppo street per le televisioni del mondo occidentale… Eppure, un posto ce l’ha tutta questa musica, spesso poco nota, basta un po’ spostare lo sguardo ed esplorare le radici cresciute sotto il sole cocente dei campi di cotone, nei cori gospel degli schiavi nelle piantagioni, per rendersi conto che sono le radici culturali di tutti noi. Come ci insegna anche Quentin Tarantino, sin dagli anni ’90, You Never Can Tell, e in effetti al Jack Rabbit Slim’s in Pulp Fiction, mentre va in scena l’evocazione pop della metà del secolo scorso, Uma Thurman e John Travolta tra tante canzoni, ballano proprio al ritmo di Chuck.