EUROPA

Chemnitz: un pogrom nel cuore dell’Europa

In Germania l’ultima settimana di agosto è stata segnata dai fatti accaduti in una cittadina sassone molto vicina alla Polonia: Chemnitz.

La già Karl Marx Stadt della Repubblica Democratica Tedesca è stata il palcoscenico di un’esplosione di violenza xenofoba sfociata in pogrom notturni. Manifestazioni, presidi, ronde serali organizzate da diverse migliaia di neonazisti. Parliamo di un’irruzione nello spazio pubblico tedesco particolarmente rumorosa e ambiguamente tollerata dalle autorità locali. Per giorni, almeno fino alle manifestazioni antifasciste del 1 settembre, il “monopolio della forza” nelle strade della cittadina sassone è passato progressivamente dalla polizia a gruppi armati di estrema destra che, al grido di “Wir sind das Volk” (“Noi siamo il popolo”), hanno letteralmente dato la caccia a giornalisti e cittadini stranieri senza trovare alcuna resistenza.

Cosa è successo? Perché? Quali conseguenze avranno i fatti di Chemnitz nella società e nella politica?

Per rispondere a queste domande, almeno in modo parziale, è bene partire dai fatti e poi allargare lo sguardo su un piano sia spaziale che temporale.

 

 

Cosa succede in città?

 

«Non ci mise molto Derek a farsi un nome, e Cameron sapeva esattamente come usarlo. Mandò Derek dai ragazzi, da quei poveri frustrati, da tutti quelli che erano stanchi di prendere calci nel culo da bande di neri e messicani. Non essere un teppista qualunque, diventa parte di qualcosa».

(Edward Furlong, Danny Vinegrad in American History X)

 

Ricostruiamo innanzitutto i fatti.

La fredda cronaca, così come riportata dalle agenzie, ci racconta che, a Chemnitz, la sera di sabato 25 agosto è avvenuta una rissa in cui è morto un ragazzo di 35 anni, tedesco (di origine cubana). Coinvolti nella rissa, e quindi indagati per l’omicidio, altri due ragazzi, stranieri. A poche ore dalla rissa è stata diffusa sui social network e su media “indipendenti” la versione: «Giovane tedesco ucciso da due rifugiati mentre difendeva una donna», con i nomi dei responsabili, la loro nazionalità, indirizzi di casa, persino i loro numeri di cellulare.

Una versione falsa ma utile per convincere anche i più pigri tra i “patrioti” a mobilitarsi in direzione Chemnitz nel giro di poche ore in difesa delle “nostre donne” dall’”invasione straniera”.

Una versione falsa ma utile anche a rendere pubblici dettagli sugli indagati, un siriano e un iracheno; dettagli che solo la polizei poteva conoscere in quel momento.

In meno di 24 ore il tam tam ha generato una chiamata nella città sassone da parte di un comitato civico “Pro Chemnitz”, fondato nottetempo; comitato, pagina Facebook, profilo Twitter rapidissimamente creati da sedicenti “cittadini preoccupati”.

 

Tra la serata di domenica ma soprattutto dall’alba di lunedì questa solerte cittadinanza si è mostrata per quello che realmente era: gruppi di naziskin e hooligans di estrema destra arrivati in piazza da tutta la regione, armati e in pieno delirio psicotropo hanno dato il via ad una caccia all’uomo contro chiunque non fosse tedesco.

 

Un «pogrom di massa nella Germania postbellica», come è stato definito da alcuni giornali tedeschi, andato avanti per l’intera giornata in modo quasi indisturbato. Di questa tranquilla impunità gran parte del merito va alle forze dell’ordine sassoni. Ad esempio, alle prime ore del mattino di lunedì per fronteggiare circa 2000 manifestanti erano stati schierati appena 66 poliziotti (e per chiunque abbia partecipato a un corteo in Germania questo rapporto è sufficiente a porsi qualche inquietante domanda). La giustificazione fornita, giorni dopo, dai vertici di polizia, sulle mancanze nel fronteggiare la violenza neonazista, è stata un imbarazzante: «avevano sottovalutato la gravità dell’evento».

 

 

Ritornando alla cronaca, dal tardo pomeriggio di lunedì, appena le prime immagini di Chemnitz hanno iniziato a girare sul web, sono accorsi in città spontaneamente gruppi di antifascisti dalla Sassonia, da Lipsia e da Berlino. Solo il rischio di uno scontro frontale tra neonazisti e antifascisti pare abbia convinto le autorità a fermare e sciogliere la manifestazione dei “Pro Chemnitz”. Tafferugli e scontri sono andati avanti tutta la notte e alla fine il bilancio di questa cupa giornata è stata di decine di feriti e diversi arrestati.

Nei giorni successivi a lunedì, e fino a sabato, si sono tenute in città manifestazioni spontanee razziste che sfociavano la notte nella caccia armata al migrante e nell’attacco a negozi e luoghi frequentati da stranieri.

Sabato 1 settembre, la rete di destra Pegida e il partito razzista ed euroscettico Alternative für Deutschland, hanno convocato una manifestazione insieme al comitato “Pro Chemnitz”. Tutte le realtà antifasciste sassoni e di altre aree della Germania (Berlino in particolare) hanno a quel punto chiamato una contro mobilitazione per fermare quella che veniva annunciata nei network neonazisti come «una nuova notte dei cristalli». Gli occhi e le telecamere di tutta la Germania sabato 1 settembre erano puntati su Chemnitz. La marcia di destra è stata bloccata da due assembramenti di antifascisti per tutta la durata prevista. Ci sono state aggressioni a giornalisti, tafferugli nelle strade laterali tra i gruppi e i momenti di maggiore tensione si sono avuti in tarda serata quando, frustrati dal blocco subito, alcuni gruppi di hooligans di destra hanno provato ad aggirare i cordoni della polizei per colpire direttamente gli antifascisti. Al termine di una giornata tesa ci sono stati alcuni arresti e qualche ferito ma nulla di così significativo rispetto ai roboanti annunci della galassia nera tedesca.

Tuttavia le immagini dei saluti nazionalsocialisti, degli slogan antisemiti e xenofobi, delle aggressioni ai non tedeschi e ai giornalisti hanno fatto il giro del mondo ed evocato cupi presagi e rimarranno nella memoria dell’opinione pubblica per diverso tempo.

Su tutte le immagini la più emblematica è la foto scattata lunedì 27 agosto in cui si vedono migliaia di naziskin con le bandiere del Reich e gli striscioni razzisti sotto una statua di Karl Marx con lo sfondo di una tipica architettura del socialismo reale che fu.

Una cartolina dalla Sassonia al mondo che restituisce iconograficamente al meglio gli elementi salienti della vicenda.

Elementi utili ad allargare, come dicevamo, lo sguardo per comprendere il senso di Chemnitz.

 

 

Il fantasma del Natale passato che terrorizza la Germania

 

«Se lo Stato non può più proteggere i suoi cittadini, i cittadini vanno in strada a proteggere se stessi.

Molto facile».

(Markus Frohnmaier deputato Alternative für Deutschland, commentando il pogrom del 27 agosto)

 

L’opinione pubblica e la politica hanno reagito immediatamente agli eventi di Chemnitz. Mentre continuavano i pogrom notturni si susseguivano frenetiche dichiarazioni, annunci, botte e risposta sempre più contradditori, sui social e sui media tradizionali. Inevitabilmente Chemnitz ha toccato un nervo scoperto e fatto venire al pettine tutti i nodi, le ambiguità, gli irrisolti della società tedesca degli ultimi anni, in realtà come vedremo degli ultimi decenni, e lo ha fatto agitando lo spettro nazionalsocialista, un fantasma del Natale passato che anche quando omesso è sempre ben presente nell’opinione pubblica.

Ritornando alle reazioni, è necessario mettere ordine per provare a leggere per ogni area politica non solo quelle più immediate ma anche come si è evoluto il dibattito almeno fino alle manifestazioni di sabato 1 settembre.

 

«Quello che abbiamo visto non ha posto in uno Stato di diritto», ha detto la Cancelliera Angela Merkel che ha però difeso l’operato della polizia: «ha fatto quello che ha potuto», ma ha sottolineato di trovare «positivo e importante» che il Ministro dell’Interno Federale abbia promesso rinforzi alla Sassonia, «in caso di bisogno».

 

Nel misurato linguaggio con cui è solita comunicare Angela Merkel queste dichiarazioni chiamano in causa indirettamente la catena di comando delle autorità di polizia e segnalano un problema concreto, sistemico, non più considerabile episodio occasionale. Questa sensazione è confermata dalle parole del portavoce del governo che come reazione all’emergere delle connessioni tra polizia sassone e gruppi di destra ha affermato, con tono grave: «Il governo ha ben presente la gravità di ciò che sta accadendo in Sassonia». Sulla polizia e sulle autorità locali della regione orientale è bene ricordare come spesso siano state coinvolte in scandali per l’atteggiamento ambiguo nei confronti dei movimenti di destra. Ultimo scandalo proprio la settimana precedente i fatti di Chemnitz, quando una troupe televisiva dell’emittente Zdf era stata fermata per diverso tempo dalla polizei per aver solamente ripreso una manifestazione di Pegida; si è poi scoperto che il manifestante che aveva fatto intervenire la polizia contro i giornalisti era lui stesso un collaboratore della polizia, che partecipava in forma “privata” all’iniziativa della formazione nazionalista. Un caso che se connesso ai fatti di Chemnitz e ad altre decine di episodi meno recenti, dà la misura di come gli apparati sassoni siano impegnati, se non a dare direttamente agibilità politica alle formazioni xenofobe, quanto meno a non contrastarne il loro crescere in consenso e capacità organizzativa.

Rischio che pare aver compreso il Ministro degli Interni Horst Seehofer, che ha dichiarato, ma solo dopo due giorni di imbarazzante silenzio: «Voglio dirlo in modo chiaro, il ricorso alla violenza non è mai giustificabile». Proprio Seehofer contende da mesi alla destra di Alternative für Deutschland l’egemonia del campo politico che ha fatto dei respingimenti, della chiusura delle frontiere, di un disumano e ottuso razzismo, la propria ragion d’essere. E proprio Seehofer, leader della CSU bavarese in crisi di consenso, si è trovato schiacciato tra la posizione della Merkel e AfD dopo gli eventi sassoni. Alla fine ha dovuto posizionarsi nel campo conservatore e non in quello del populismo nazionalista, anche perché come Ministro degli Interni è responsabile del comportamento della polizei. Un atteggiamento comodo ma diverso da quello del Ministro degli Interni italiano Salvini completamente legato al discorso dell’AfD in ambito europeo e con cui pure Seehofer aveva costruito una convergenza politica.

Proprio sul tema del monopolio della violenza e dello stato di diritto si sta orientando il dibattito tra l’estrema destra ed il governo. Tema già posto recentemente nel dibattito pubblico tedesco: dopo il G20 di Amburgo del luglio 2017. È un tema che sempre più spesso ritorna tradendo inquietanti scricchiolii nella tenuta democratica della locomotiva d’Europa.

 

Il dibattito politico è risultato così completamente polarizzato dalla dialettica tra due posizioni: conservatori e populisti. Sembrerebbe quasi che in Germania, come in tutta Europa, la rottura del consenso politico del neoliberismo abbia come contraltare naturale una tensione ancora più autoritaria e nazionalista.

 

E quindi il dibattito su Chemnitz ha reso evidente l’assordante silenzio dei socialdemocratici al governo come anche della Linke e dei Verdi all’opposizione. Proprio la Linke, pur condannando in modo fermo l’accaduto, non è riuscita ad andare oltre il rifiuto della violenza politica, la richiesta di durezza contro le formazioni neonaziste e la critica agli apparati di polizia sassone. Questa incapacità di una presa di posizione netta e di una lettura strategica dell’accaduto è anche la conseguenza di una discussione interna molto aspra tra due posizioni diametralmente opposte: da una parte la minoranza che parla di sovranità, economia nazionale e difesa dello stato nazione e dall’altra una posizione maggioritaria (ma non negli ex Länder dell’Est) più antirazziste, femministe, internazionaliste e solidali. Dopo una settimana di balbettii, mentre continuavano le violenze e la discussione era tra CDU-CSU da una parte e AfD dall’altra, sabato 1 settembre SPD, Grüne, Linke (cioè l’alleanza di “centrosinistra” che governa per esempio la capitale Berlino) ha deciso di rompere gli indugi e convocare una manifestazione dal titolo “Herz statt Hetze” (“cuore invece che odio”) a Chemnitz in contemporanea alla manifestazione di Pegida e AfD e alle chiamate dei gruppi antifa e di movimento. Una presenza sicuramente importante per quanto tardiva, che però, anche nei numeri, non è riuscita a entrare nel dibattito politico né a sedimentare qualcosa di diverso da una prospettiva di “fronte repubblicano” elettorale contro l’estrema destra di AfD, primo partito ormai per quasi tutti i sondaggi nei Länder orientali.

 

Il balbettio della sinistra politica è stato, fortunatamente, sostituito, nei giorni successivi al pogrom del 27 agosto, da gruppi, collettivi, associazioni, reti di movimento antifascisti e antirazzisti.

 

Già dai primissimi momenti diversi gruppi sono partiti spontaneamente alla volta di Chemnitz e in meno di 24 ore nel multietnico quartiere berlinese di Neukölln oltre 10.000 persone sono scese in piazza contro neonazismo e razzismo. Sabato primo settembre l’intera galassia della sinistra radicale tedesca si è data appuntamento proprio a Chemnitz e in ogni grande città tedesca si sono tenute manifestazioni e presidi antifascisti. I movimenti che hanno raggiunto Chemnitz sabato malgrado un clima di tensione e paura sono riusciti a bloccare la marcia neonazista. Questa capacità sembra aver abbassato la tensione che continuava a crescere di giorno in giorno.

 

 

Da sabato 1 settembre diversi comitati, artisti, organizzazioni antirazziste hanno iniziato a organizzare manifestazioni, presidi, concerti nella cittadina sassone. Un andirivieni da tutta la federazione tedesca che serve a presidiare il territorio e impedire i pogrom vadano avanti.

Tuttavia la galassia neonazista si è già data un appuntamento per fine settembre a Rostock, capitale del Land Nord Orientale del Mecleburgo Vorpomeriana ed epicentro, negli anni ’90, della rinascita del neonazismo. Una chiamata che vuole saldare ulteriormente l’eversione e la violenza neonazista con comitati di “cittadini preoccupati” e un partito presente nel Bundestag, AfD, che conta quasi il 15% dei consensi a livello nazionale. Già in queste ore la galassia militante e antifascista tedesca sta organizzando blocchi e contromanifestazioni proprio a Rostock per impedire una nuova Chemnitz. Se da una parte lo slogan scelto è “Noi siamo il popolo” i movimenti antifascisti usano eloquentemente “Il nazionalismo non è un’alternativa” “l’antifascismo rimane un lavoro manuale” o “antifascismo contro la Germania” .

 

 

Sotto le macerie del muro, le braci del ‘33

 

«Make Germany two again» (Die Partei)

 

Provando a inquadrare i fatti di Chemnitz nella storia del neonazismo della Germania post ‘89 e provando a comprendere perché la Sassonia e i Länder orientali sono da quasi 30 anni il terreno più fertile per il consenso a idee xenofobe, machiste e nazionaliste potremo avere anche una lettura più generale sull’intero territorio europeo e sul senso di questo pogrom per la governance liberale europea.

Pochi, pochissimi media internazionali si chiedono infatti come mai siano proprio i territori dell’ex DDR a vivere quest’ennesimo rigurgito neonazista. Eppure le diverse spiegazioni possono fornire preziosi strumenti di analisi generale.

Dal pogrom dell’agosto 1992 a Rostock a oggi, l’ex Germania Est è l’area del paese con il più alto radicamento dell’estrema destra, il maggior numero di attacchi razzisti e la culla di alcune tra le più efferate organizzazioni terroristiche della storia federale. Esattamente come i paesi del “blocco di Visegrad” anche la Germania Est ha condiviso le sorti dell’ex patto di Varsavia, il crollo del socialismo reale e la colonizzazione da parte di un vorace e vincitore occidente capitalista che parlava frettolosamente di “fine della storia”.

 

 

Inoltre a differenza della Germania Ovest, con una lunga storia di immigrazione per motivi di lavoro, i Gastarbeiter, la Germania Est non ha mai vissuto un’immigrazione (eccezion fatta per i rifugiati vietnamiti della guerra degli anni ‘60, le prime vittime tralaltro del neonazismo degli anni 90). Le regioni orientali sono quelle più “bianche” e tedesche della federazione. Esattamente ripetendo lo schema dei paesi di Visegrad (e dell’Italia) i Laend orientali sono quelli con la minore presenza di stranieri, di rifugiati, di musulmani e contemporaneamente sono quelli più nazionalisti, razzisti e islamofobi.

 

Sotto le macerie del muro di Berlino ha iniziato a bruciare un fuoco irredentista in una società sconfitta e messa a processo della storia per due volte nel corso di 50 anni.

 

Questo sentimento è stato raccontato in modo agrodolce e folkloristico in Goodbye Lenin e prendeva il nome di Ostalgie, garantendo al PDS prima e alla Linke poi un bacino elettorale importante. Contemporaneamente e in modo sotterraneo, sul lato opposto l’odio verso la Germania Ovest legata a Israele e agli Stati Uniti, saldamente europea e ordoliberale e il rifiuto per una storia vissuta ma appena sconfitta perché “debole” ha prodotto la nascita di movimenti xenofobi, identitari, neonazisti. Movimenti animati da gruppi musicali, club di motociclisti, partiti politici, che ciclicamente sono emersi negli anni con pogrom, violenze e attentati.

 

Il consenso all’estrema destra nei Länder dell’Est non si è nutrito solo della frustrazione dell’identitarismo maschile degli Ossi ma anche, molto più materialisticamente, del processo di distruzione sistematico dell’economia, delle città e dei territori ex DDR. Dopo la Wiedervereinigung (l’unificazione) fu imposto ai territori orientali da parte della governance ordoliberale la svendita o la dismissione del patrimonio industriale, l’accettazione per legge di livelli salariali più bassi (ancora oggi in vigore) rispetto ai colleghi occidentali, la privatizzazione totale dei servizi, la svendita dei patrimoni immobiliari statali a compagnie finanziarie.

 

Un processo iniziato quando la DDR iniziò a indebitarsi con la RDT vendendo titoli di stato e imposto in modo identico a quello che è stato imposto alla Grecia e ai paesi europei meridionali Piigs negli ultimi dieci anni. Allora, come oggi sul livello europeo, il commissario liquidatore che in nome dei conti ha prodotto una forma di violenza coloniale era Wolfgang Schäuble. Non possiamo sorprenderci quindi se esista un legame tra la Lega Nord italiana e Alternative für Deutschland tedesca, o tra i gruppi neonazisti dell’Est Europa e Germania e Alba Dorata o Casa Pound. La loro crescita e radicamento in termini di consenso erano già stati ampiamente sperimentati proprio in Germania nei primi anni ‘90. E il medesimo discorso ovviamente si può allargare ai paesi del patto di Visegrad, che con la Repubblica Democratica Tedesca hanno condiviso la sorte sotto le macerie del muro di Berlino.

La Sassonia rispetto agli altri cinque Länder orientali è sempre stata probabilmente il terreno più fertile per i gruppi di estrema destra. La capitale del Land è Dresda, la città che è stata negli scorsi decenni il luogo scelto dall’estrema destra per creare una versione tedesca delle “foibe” con l’anniversario del bombardamento alleato del 1945. Per quanto possa sembrare paradossale, i nazionalsocialisti ogni anno ricordavano il “massacro” perpetrato dagli alleati contro l’inerme popolazione sassone. Dresda è stata non a caso la culla del movimento islamofobo Pegida. La Sassonia è anche tra tutti i Länder dell’Est quello che nel periodo del socialismo reale ha sempre manifestato sentimenti più spiccatamente anticomunisti. Proprio da Lipsia, altro importante centro sassone, partirono le proteste che portarono alla caduta del muro di Berlino. Allora, come oggi, lo slogan era “Noi siamo il popolo”.

 

Nelle cronache sull’estrema destra tedesca degli ultimi vent’anni tra l’altro la cittadina di Chemnitz ritorna per un’altra vicenda terribile che ha segnato la storia recente della RFT: l’inchiesta opaca sull’NSU. L’NSU (“Clandestinità Nazionalsocialista”) è stato un gruppo terroristico di estrema destra attivo tra il 1997 e il 2011 che ha lasciato una lunga scia di sangue tra immigrati e stranieri. Conosciuta anche come “banda del Kebab”, ma solo per gli omicidi direttamente collegati alla loro attività (il numero è ancora indefinito perché per anni gli omicidi non furono mai collegati tra loro e quindi si passa da poche decine a centinaia). Proprio a Chemnitz risiedevano le uniche 3 persone attualmente individuate come responsabili degli omicidi (due di queste si sono suicidate in circostanze molto dubbie). E proprio dal domicilio di Chemnitz riuscirono a scappare proprio pochi attimi prima della cattura. Su quella fuga ci sono state inchieste che hanno portato alla luce una inquietante rete di appoggio, solidarietà e copertura tra gli apparati di polizia sassoni e servizi segreti federali deviati. Attualmente solo una persona è stata processata e condannata per gli omicidi del gruppo terroristico. Rimane totalmente sommersa, ignorata e quindi ancora potenzialmente attiva la rete che ha reso possibile l’azione dell’NSU.

Tutti gli elementi fin qui descritti rendono comprensibile la rapidità e la facilità con cui sono avvenuti i pogrom di fine agosto 2018 a Chemnitz. E proprio questi elementi possono anche ridurre l’effetto sorpresa che rischia di rappresentare come inevitabile il “nazismo che viene”.

Rispetto però ai decenni precedenti la grande e minacciosa novità nel panorama politico si chiama Alternative für Deutschland. Mai in passato era successo che un partito con un consenso così importante si legasse alla galassia neonazista. Sabato 1 settembre leader di Afd, di Pegida e dei comitati “Pro Chemnitz” hanno provato a sfilare uniti a favore di telecamere; questa saldatura ha voluto lanciare un segnale chiaro di ricomposizione politica tra la piccola borghesia tedesca in rapido impoverimento, il proletariato dei Länder orientali abbandonato al suo destino senza poter godere di alcun vantaggio dal “boom economico” recente e la rete di hooligans, criminali, gruppi neonazisti orfani del NPD (partito di molto minoritario e marginalizzato, spesso a rischio scioglimento e oggi totalmente sparito). Una saldatura alla luce del sole che ha prodotto già delle vittime nel campo avversario. Primo fra tutti il Ministro degli Interni Seehofer, che aveva corteggiato quell’area politica in chiave anti Merkel ma che di fronte alle violenze ha dovuto fare ritorno a Canossa nel campo cristiano-democratico e che sembra condannato a una storica sconfitta elettorale nella sua ricca Baviera. Ma anche a sinistra il radicamento sociale e politico di AfD, che i sondaggi danno oramai primo partito in diversi Länder dell’Est, sta producendo fratture e conflitti. Il più importante fra tutti riguarda la Linke, cioè il partito più a sinistra nel Bundestag. Proprio dal suo elettorato storico e blocco sociale di riferimento (quello dell’Ostalgie, appunto) AfD pesca gran parte del consenso. Questo travaso di voti, che può sembrare paradossale solo se ci dimentichiamo di quante città del centro Italia “rosso” oggi abbiano sindaci leghisti, ha portato una parte del partito di sinistra ad abbracciare temi come lo stato nazione, la patria, il sovranismo, l’etica del lavoro e, soprattutto, la chiusura delle frontiere. Questa posizione, rappresentata da Sarah Wagenknecht, sebbene minoritaria all’ultimo congresso raccoglie proprio a Est gran parte dei consensi e blocca l’intero partito in uno stallo tra due posizioni difficilmente compatibili.

 

Un conflitto tra governance

 

«La forza…di farlo! se avessi avuto dieci divisioni di uomini così, i nostri problemi sarebbero finiti da tempo. C’è bisogno di uomini con un senso morale..e allo stesso tempo capaci di…utilizzare il loro…primordiale istinto di uccidere. Senza sentimenti, senza passione…senza giudizio..senza giudizio! Perchè è il giudizio che ci indebolisce…».

(Marlon Brando- Walter E. Kurtz in Apocalypse Now)

 

Ancora una volta la Germania e la sua opinione pubblica si trovano a fare i conti con un proprio lato oscuro spesso nascosto, relegato quasi ad accidenti della storia, una tensione costantemente e pericolosamente presente. La novità che Chemnitz potrebbe segnare è la conferma che, a differenza del passato, sentimenti nazionalisti, razzisti e identitari sembrano sedimentare un consenso stabile.

 

Proprio partendo dal peccato originale di un processo di unificazione iniquo per gli abitanti dei Länder orientali, il governo federale rischia di fare entrare “lo spirito di Visegrad” in casa propria, dopo aver giocato con il Ministro degli Interni a solleticare per ragioni di piccolo cabotaggio elettorale proprio le sensibilità più impresentabili della società. L’austerità, lo svuotamento del welfare, l’aumento dei working poor, le campagne contro i “turisti del welfare” stranieri, l’uso sempre più massiccio di contratti a mini job o le leggi per il diritto di asilo sempre più rigide fatte in un periodo espansivo per l’economia tedesca senza alcuna scelta redistributiva, danno i loro frutti avvelenati.

 

Le spese purtroppo non le fa immediatamente il blocco CDU-CSU-SPD che governa il paese ma le fanno i soggetti in carne e ossa colpiti dalla frustrazione dei tedeschi traditi dal “boom” economico. Nei prossimi mesi non è così irrealistico pensare che ci sarà un aumento della tensione prodotto dall’estrema destra, coccolata politicamente da AfD. Un aumento della tensione che imprima un’ulteriore accelerazione al processo di neo-autoritarismo ordoliberale che si era intravisto nelle riforme del welfare ma soprattutto nei mesi successivi al G20 di Amburgo. Un’accelerazione buona per reprimere, controllare, zittire i movimenti sociali, i sindacati autonomi, i gruppi antifascisti, le lotte dei lavoratori migranti che sempre più spesso in Germania fanno sentire la propria voce, come tutti quei soggetti che si pongono al di fuori dell’austera fabbrica sociale tedesca.

Potremmo dire che Chemnitz lancia un monito: la crisi di consenso del modello di austerità neoliberale non produce necessariamente un’uscita a sinistra ma in alcuni paesi a capitalismo avanzato moltiplica xenofobia e autoritarismo. Non è un caso che l’Europa della tripla A (e quindi non più i paesi dell’Est o del Mediterraneo) è per Steve Bannon, ideologo del Presidente Trump appena trasferitosi in Europa, il nuovo fronte di conquista politica. Verso le prossime europee sarà interessante leggere come si darà il consenso dell’estrema destra populista nei paesi più ricchi dell’Unione come Olanda, Svezia, Austria, Germania e Francia. Se si riprodurrà lo schema che ha portato negli Stati Uniti alla Presidenza Donald Trump, i partiti di estrema destra si confermeranno come uno strumento di una nuova fase ancora più iniqua di accumulazione monopolistica del capitale. Di questo sembra essere consapevole la Cancelliera tedesca. Ai movimenti sociali, ai migranti, alle donne, ai poveri espulsi dalla società cui l’estrema destra oggi parla e trasformati in nemico il compito di organizzare e sedimentare forme di società che condannino all’inefficacia il delirio da impotenza del maschio, bianco, proprietario, autoctono ed eterosessuale.