ROMA

Che la festa cominci

Senza l’articolo “la” voluto da D’Annunzio, apre a Roma la nuova Rinascente . È il primo progetto che interpreta l’immaginario urbano voluto da Veltroni e che la sindaca Raggi sembra subire.

Da alcuni giorni, con cifre record raggiunte nella giornata di domenica, sono stati in molti ad aver varcato nella sua nuova sede a via del Tritone le soglie della nuova «Rinascente» seguendo palloncini bianchi appesi alle spalle di hostess disseminate all’intorno. A differenza dell’edificio che l’aveva ospitata nel secolo passato, quel blocco edilizio scavato al proprio interno dall’architetto Guido De Angelis e ingentilito da eleganti pilastri in ghisa accoppiati tra loro a tener su i piani d’esposizione, non si è voluto come allora costruire la vetrina della città. Questa volta, lungo la salita del Tritone è la città a mettersi in vetrina.

In una superficie di vendita pari a quasi tre campi di calcio, questa nuova cattedrale del consumo solo apparentemente funziona come un seppur grande centro commerciale. Quelli che nelle strutture dei grandi magazzini vengono rappresentati come «corner» qui la fanno da padrone. Gli 800 brand presenti hanno organizzato ognuno il proprio spazio di vendita e selezionato gli addetti.

Ognuno ha il proprio venditore. Tra loro condividono solo l’orario di lavoro e presumibilmente si portano appresso, in questo nuovo vuoto solcato da scale mobili come dita di una grande mano che afferra una scacchiera di finestre ritagliate in un reticolo di travertino (siamo a Roma no?), le medesime condizioni di sfruttamento, precarietà, assenza di tutela, negazione di diritti a partire da un orario d’apertura non stop ogni giorno dalle 9 e 30 alle 23.

Ti capita di domandare ad una ragazza, rigidamente vestita di nero come tutti gli altri addetti, il prezzo di una prestigiosa macchina fotografica collocata all’interno di una galleria vetrata e scoprire la stessa capace di fornirti dei dettagli tecnici di una macchina che sa bene che tu non comprerai. Ci tiene a farti sapere che lei quelle cose le sa, perché sono due anni che frequenta una scuola fotografica romana e che sta qui anche per un giorno, chissà? potersela comprare.

Per ora le è richiesto come da bando d’assunzione: di «accogliere in modo elegante e professionale il cliente facendosi promotore dei valori di Rinascente e assicurando il massimo livello di soddisfazione in accordo con la Cerimonia di Servizio» di «collaborare con il visual team nel mantenimento dei layout del negozio garantendo una corretta esposizione della merce», di «parlare un inglese fluente o la conoscenza di un’ulteriore lingua tra cinese, russo e arabo», di essere flessibile offrendo «la disponibilità a lavorare su turni e nei week-end».

Il tutto ovviamente «con contratto di lavoro a tempo determinato».

Non fai in tempo a spostarti verso il reparto di articoli da disegno – dove trovi matite offerte, si fa per dire, a soli 42 euro – che vedi prima una, poi diverse ragazze in grembiule scopa e palette ripulire ogni granello di polvere depositatosi sul pavimento di marmo. Un lavoro che sembra rispondere a un regista che ha loro ordinato di ostentare i propri gesti. Capisci allora che non sei in un grande magazzino.

Qui c’è la nuova città. Capisci che questo, indipendentemente da quello che succede intorno a chi Roma crede di governare, è un pezzo del nuovo immaginario della città che sei chiamato, fin che potrai permettertelo, ad abitare. È la nuova piazza. Tutto pulito. Qui puoi stare tranquillo. Ci sono agenti in borghese che hanno “pizzicato” subito il primo borseggiatore entrato in funzione. Un esercito di aitanti sorveglianti, così come sono dietro ogni vetrina dei negozi di quegli stessi brand in tutto il mondo, ti marca stretto.

Questa nuova città – che si vanta di aver lasciato all’amministrazione comunale in oneri (in realtà sono i soldi con cui ha monetizzato l’assenza dei dovuti parcheggi) circa il 10% del proprio investimento complessivo di 250 milioni di euro – interpreta il significato della rigenerazione urbana. E lo fa dopo aver dovuto trattare per 15 anni con 5 sindaci diversi, come ha ricordato amabilmente l’amministratore delegato del gruppo thailandese proprietario di Rinascente.

Prendere un edificio che sì è lasciato marcire per molto tempo, decidere cosa farne perché si hanno i soldi per farlo, pagare al posto di realizzare i servizi dovuti e andare avanti a cercare chiunque voglia far parte del progetto. Trovare sponsor e denaro. Di suo chi cura la regia dell’intervento deve solo trovare, prima ancora delle imprese costruttrici, chi vuole mettersi in mostra e trattare con chi accetta il prezzo dei servizi logistici offerti.

Con quest’intervento, finalmente, si vede concretamente di che cosa è fatta la città che sta dietro il piano regolatore di Veltroni che né il sindaco Marino né la sindaca Raggi hanno mai voluto mettere in discussione: far incontrare le differenti offerte tra chi offre lo spazio (anche cannibalizzando tra loro tre edifici, come in questo caso) e chi decide cosa fare dello stesso (limitandosi alla registrazione dell’avvenimento, senza alcuna possibilità di prendere decisioni sulla città e le sue importanti trasformazioni). Condannati a subire le conseguenze di decisioni altrui.

Secondo stime, sono 15mila le persone attese quotidianamente. Potranno entrare in questo nuovo edificio, andare su e giù su scale mobili, cercare gli oggetti «magistralmente ospitati in otto piani dedicati al meglio di moda, bellezza, design e gourmet», poter vedere seduti dal tavolino di un bar lo spettacolo di un lungo pezzo di un acquedotto romano ritrovato ed esibito come il più prezioso degli arredi, salire fin sul terrazzo per «restare incantati della ricercatezza delle proposte gastronomiche della Food Hall», vedere fuori e spintonarsi l’un l’altro chiedendosi se si vede la propria casa per poi ricordarsi, subito dopo, che un quarto della popolazione romana vive oltre il Grande Raccordo Anulare.

Che la festa allora cominci. Benvenuti nella nuova città.

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