EUROPA

Catalogna: una ‘confusa’ proposta federale per un pragmatico compromesso a rialzo

Una riflessione sulle recenti vicende catalane, la polarizzazione del dibattito e la difficile ricerca di chi sostiene una terza strada (al momento, non data).
La Catalogna e l’indipendenza, raccolta di articoli di DINAMOpress

In qualche comune più o meno grande la bandiera della Spagna è già stata ammainata e sventola solo la senyera. Le forze politiche indipendentiste, di centrodestra e di sinistra, hanno deciso di andare avanti con la Dichiarazione unilaterale d’indipendenza, scatenando come da copione la reazione del governo centrale.

In mezzo, rischiando di fare la fine del proverbiale vaso di coccio, ci sono quelle forze politiche e sociali di sinistra come Podemos e le sue articolazioni territoriali, o Izquierda Unida, che hanno la difficile posizione di essere contrarie alla violenza e al centralismo autoritario del Partido Popular e di Ciudadanos, ma di non condividere la posizione dell’indipendentismo unilaterale, che rischia di sfociare solo in una secessione virtuale, esacerbando conflitti e divisioni.

Da più parti, la posizione di Iglesias, Errejon, Colau & company è stata definita come “confusa”. “Ma come? Non marciano alla testa del popolo in lotta?”, si sono chiesti molti compagni e attivisti all’estero. La sindaca di Barcellona poi – che ha attirato fin dalla sua elezione una grande attenzione da parte dei media anche internazionali, apparendo anche come una versione temperata del ‘populista’ Iglesias – cosa propone oltre le petizioni di principio?

La verità è che la posizione di Podemos, così come di altre voci della sinistra politica, sociale e sindacale, appare confusa perché è l’unica che richiede a diverse parti in causa, e non solo all’indipendentismo catalano, di trovare un compromesso al rialzo nella crisi attuale. Essere contro la 155 e contro l’indipendenza dichiarata unilateralmente, non vuol dire (come si è ampiamente dimostrato) essere equidistanti o complici di Rajoy, vuol dire invece immaginare un nuovo assetto istituzionale per il Paese. Un nuovo federalismo che coinvolga tutte le città e le regioni, riconosca le istanze di autogoverno, senza rinunciare al principio di solidarietà e di redistribuzione (idea alla quale, ad esempio, Puigdemont non sembra troppo interessato: ricordiamo come abbia sostenuto la riforma del lavoro dei popolari e tagliato pesantemente la spesa sociale catalana).

La Nuova Repubblica immaginata da Podemos e da altri è confusa perché tutta da immaginare. Chiede a chi ha festeggiato l’indipendenza in piazza il suo indispensabile contributo, non lo criminalizza o marginalizza, mette invece al centro la volontà politica espressa nelle urne da quegli uomini e quelle donne. Necessiterebbe poi di una vera e propria costituente, di allargare e non di restringere gli spazi di democrazia, di dialogo. Non è una questione di lana caprina o di sofismo intellettuale: evitare l’acuirsi dello scontro è nell’interesse di chi mette al primo posto la questione sociale e democratica, piuttosto che le bandiere da issare o ammainare.

Intanto il governo Rajoy, con il sempre complice PSOE al suo fianco, ha applicato l’articolo 155 che consente di costringere le istituzioni autonome a rispettare l’interesse nazionale. Un articolo dai contorni incerti, senza una procedura definita, che lascia campo libero alla stretta repressiva, alla destituzione delle legittime autorità catalane e all’inasprimento della retorica nazionalista dei partiti spagnoli.

Di fronte a tutto questo è necessario mobilitarsi per denunciare l’autoritarismo e la repressione del governo centrale, la continuità tra il regime franchista e le politiche spagnoliste. Allo stesso tempo, però, non possiamo permetterci di disarmare la critica e l’immaginazione. Per questo, la confusa idea di una Spagna federale è in realtà una via di lotta pragmatica, anche se non è la più semplice.