ROMA

Casale Alba 3: una biblioteca speciale

Esiste un percorso virtuoso alternativo sia alla gestione pubblica che alla valorizzazione con concessione ai privati del patrimonio indisponibile del comune di Roma. La storia di Casale Alba 3 ne è la dimostrazione.

Nel parco esistono diversi casali storici, tra questi Alba 1 è attualmente al centro di una mobilitazione per bloccare un progetto imprenditoriale voluto dal Municipio IV, Alba 2 è autogestito da cittadini e realtà del territorio e Alba 3 (composto dall’edificio della “Vaccheria” e da quello della “Stalla dei Tori”) è affidato a Biblioteche di Roma.

Storia del Casale Alba 3-Le Vaccherie

Il comune di Roma stipulò una convenzione nel 2003 con l’ATI Lipu-Casale Podere Rosa (Associazione Temporanea d’Impresa costituitasi tra una associazione di protezione della natura e un’associazione di promozione sociale radicata nel territorio e già attiva per la tutela del parco di Aguzzano) per creare nel Casale Alba 3-Le Vaccherie un Centro di Cultura Ecologica con un Archivio Ambientalista e una biblioteca. Nel 2008 la biblioteca venne dedicata alla memoria di Fabrizio Giovenale, uno dei padri storici dell’ambientalismo italiano e ne venne acquisito il fondo archivistico, successivamente vincolato dalla Soprintendenza Archivistica per il Lazio.

Il Centro di Cultura Ecologica e la biblioteca Giovenale divennero ben presto luoghi di grande e originale apertura e partecipazione sociale, esperienze rimaste nella memoria di tutti e testimoniate da numerosa documentazione.

In questo contesto di larga partecipazione e consenso popolare “gemmarono” altri progetti: un orto urbano per il quartiere, un mercato di prodotti biologici con frequenza mensile, un laboratorio didattico di scavo paleontologico, il coinvolgimento delle scuole, la scoperta del parco per chi non ne conosceva neanche l’esistenza, i convegni, la cultura, il cinema, ecc. Fu anche dato un forte impulso per la costruzione del Coordinamento per la Tutela del Parco di Aguzzano, che successivamente venne assorbito nell’esperienza di autogestione del Casale Alba 2. Il budget previsto dalla convenzione con il Comune di Roma per sostenere questo grande progetto culturale, fu di soli 36.000 euro l’anno!

Nel 2009 la giunta Alemanno insediò in uno degli edifici del complesso Alba 3 (denominato “Stalla dei Tori”) una scuola di formazione della Protezione Civile – di fatto un ufficio decentrato – violando il Piano d’Assetto del Parco che prevedeva in quell’edificio la realizzazione di un punto di piccola ristorazione rientrante nella tipologia di Caffè letterario, quanto mai utile per i frequentatori del parco. Da lì riprese la mobilitazione per tutelare il parco e pretendere il rispetto del Piano d’Assetto.

Nel 2015 la convenzione con l’ATI terminò, i finanziamenti si interruppero e il Prefetto Tronca ingiunse la riconsegna delle chiavi e la chiusura della biblioteca. Ci opponemmo (operatori, studenti, associazioni) alla chiusura e la biblioteca entrò in autogestione. Decidere di assumersi l’onere economico e politico dell’autogestione aveva un obiettivo preciso: impedire che il Casale Alba 3 una volta chiuso si trasformasse il uno dei tanti immobili vuoti, abbandonati, vandalizzati e degradati di cui sono piene le nostre periferie, perché ciò avrebbe significato perdere per sempre l’esperienza della Giovenale. Perciò resistemmo! Proponemmo anche una forma di gestione partecipata tra l’amministrazione e le associazioni del territorio per mettere a sistema la biblioteca, la promozione della cultura ecologica e l’avvio del punto di ristorazione, come previsto dal Piano d’Assetto.

Nel 2016 con l’insediamento della Giunta Raggi la biblioteca Giovenale, sopravvissuta solo grazie all’autogestione degli utenti e degli operatori, fu acquisita dall’Istituzione delle Biblioteche di Roma. Del progetto di gestione partecipata con le realtà sociali del territorio non si parlò più. Il budget di gestione lievitò di 4-5 volte, i “privati” (Goethe Institut, non ente del Terzo settore, non soggetto “senza fini di lucro”) avviarono un “Fablab” nell’edificio che, secondo il Piano d’Assetto, avrebbe dovuto ospitare il punto ristoro, le multinazionali Fastweb ed Ericsson insieme alla sindaca di Roma sperimentarono le reti 5G, la municipalizzata Zètema (società “in house” di Roma Capitale) contribuì di par suo all’aumento dei costi. E non ci fu più nessuno disposto a rimanere al lavoro fino alle 11 di sera per consentire lo svolgimento degli eventi organizzati dagli studenti. Anche le ore di apertura settimanale si ridussero e  a tutt’oggi la biblioteca e l’aula studio rimangono chiuse l’intera giornata del sabato, con grande disagio degli utenti.

Da allora il Centro di Cultura Ecologica, le manifestazioni artistiche e culturali, la Mediateca delle Terre, l’Archivio Ambientalista, la collaborazione con l’Istituto Italiano di Paleontologia e tutte le attività di promozione culturale e tutela del parco non abitano più nella biblioteca Giovenale del Casale  Alba 3.

Ripercorrere le complesse vicende della biblioteca Giovenale, oltre a restituire chiarezza su una lotta che ha avuto un esito solo parzialmente felice (la Giovenale è ancora una biblioteca pubblica, e questo è positivo, ma il progetto culturale che l’aveva caratterizzata dall’inizio è perso, sostituito dalla formale burocrazia delle biblioteche di Roma), permette di fare anche un altro ragionamento.

In questi giorni in margine alla vicenda del Casale Alba 1 che il Municipio IV vorrebbe destinare ad una attività imprenditoriale, si è sostenuto che solo una “gestione pubblica” possa assicurare la libera fruizione per tutti i cittadini di un bene comune.

Noi – Rete per Aguzzano, alla quale partecipo – contestiamo questa visione, soprattutto se riferita a beni comuni fortemente caratterizzati territorialmente, come nel caso dei casali storici di un parco (beni di “patrimonio indisponibile” dell’amministrazione). L’esperienza della biblioteca Giovenale insegna che la strada dell’affidamento in convenzione a un soggetto del Terzo settore radicato sul territorio non solo è economicamente vantaggiosa rispetto alla gestione pubblica (che poi viene attuata in genere attraverso l’affidamento in house dei servizi a onerose società partecipate), ma è anche la migliore garanzia che venga rispettata e valorizzata la vocazione, la funzione storica e l’utilità sociale di quel bene.

Certo, i casi nei quali dietro la parvenza delle finalità sociali si sono poi celati meri interessi commerciali vanno riconosciuti apertamente e isolati senza alcuna remora. Ma invocare tout court la “gestione pubblica” degli immobili di patrimonio indisponibile pensando che questo possa costituire una garanzia per i cittadini, non solo condannerebbe probabilmente la gran parte di questo patrimonio a rimanere nel degrado e nel disfacimento, non solo costituirebbe una lievitazione dei costi a carico della collettività, ma da un punto di vista sociale rischierebbe anche di rappresentare uno scivolone “statalista”, molto pericoloso soprattutto in questo momento storico!

Quindi credo che tra la via della gestione pubblica del patrimonio indisponibile e quella della valorizzazione con scomputo del canone di concessione ai privati, esista un percorso virtuoso alternativo costituito dalla gestione partecipata tra pubblico e privato sociale radicato nel territorio, in grado di tutelare il bene comune e la sua fruizione pubblica e nel contempo evitare l’ingresso di soggetti interessati esclusivamente ad attività imprenditoriali e speculative.