ROMA

«Cambiare i paradigmi della nostra società». Voci dalla marea fucsia dell’8 marzo

Migliaia di persone hanno attraversato le strade e le piazze della capitale con flashmob, cortei, slogan e rivendicazioni. «La pandemia ha fatto emergere tutte le contraddizioni di un sistema che si regge sul nostro lavoro di cura e riproduzione», dicono dalla piazza. Un racconto della giornata

Non c’è niente da festeggiare. Sta scritto sugli striscioni, lo gridano i megafoni, è scandito dalle canzoni al ritmo dei tamburi che risuonano in questa piazza intrisa di desiderio, che ieri sera da Santa Maria Maggiore è esondata fino a piazza Vittorio al grido di Non Una di Meno. «Oggi è sciopero e per noi è fondamentale parlare della violenza economica e istituzionale», afferma Claudia, attivista di Non Una Di Meno: «Alla luce della spirale di violenza a cui stiamo assistendo: solo dall’inizio dell’anno ci sono stati 15 femminicidi e lo scorso anno più di settanta».

 

Immagine di Nicolò Arpinati

 

Per questo motivo, alcune attiviste di Non Una Di Meno, hanno inscenato un breve flash-mob: si sono stese sull’asfalto mentre un’altra compagna tracciava intorno ai loro corpi sagome di gesso. «La violenza sulle donne è un fatto quotidiano, uno stillicidio di morti e pestaggi che spesso avvengono in famiglia, nelle quattro mura domestiche e quindi al riparo: molte non le conosciamo perché neanche vengono denunciate», lamenta anche Vito. Mascherina rossa sul volto e corti capelli grigi, è uno dei tanti uomini presenti alla mobilitazione: «Noi maschi abbiamo grandi responsabilità riguardo ciò che succede alle donne, bisognerebbe prenderne coscienza tutti e mobilitarsi insieme a loro. C’è bisogno di una svolta radicale nei comportamenti delle persone, nella cultura e nella formazione: è fondamentale che le nuove generazioni capiscano che questo modo di vivere è sbagliato».

 

Ma le nuove generazioni, presenti in piazza in un numero decisamente elevato, hanno già sviluppato un importante percorso di avvicinamento all’8 marzo: dalle lezioni su identità di genere e salute riproduttiva durante le varie occupazioni fino alle azioni che le e gli studenti hanno realizzato davanti alle scuole, dichiarando più di venti scuole romane “zona fucsia”.

 

Anche i rettorati della Sapienza e di Roma Tre ieri mattina si sono tinti di fucsia grazie alle azioni dimostrative dellǝ studenti universitariǝ. Come racconta Carolina, del collettivo Marielle, di Roma Tre: «Ci stiamo mobilitando per chiedere l’apertura di uno sportello antiviolenza all’interno dell’università. Le molestie e le violenze possono avere moltissime sfaccettature diverse e abbiamo bisogno di spazi per combatterle».

 

Immagine di ©Renato Ferrantini

 

Sempre in mattinata, attiviste di Non Una Di Meno e numerose lavoratrici si sono ritrovate davanti ai portoni del Ministero dell’Economia e delle Finanze. «È un appuntamento che abbiamo voluto con forza perché, dal punto di vista delle vertenze che Clap segue e anima, era molto significativo». Maurizia Russo Spena, delegata delle Camere del lavoro autonomo e precario, spiega ai nostri microfoni il perché dell’azione dimostrativa che ha visto partecipare anche lavoratrici dello spettacolo, di Ampas Servizi, di Agenas, di Sogesid e di Villa della Querce, la casa di cura situata nel piccolo comune di Nemi, fuori Roma, già salita al centro delle cronache per la discutibile gestione dell’emergenza.

«Le donne sono tra i soggetti e le categorie sociali che più stanno pagando la pandemia, come per ogni crisi», prosegue Russo Spena: «Questa mattina abbiamo voluto ribadire come solamente l’articolazione di un welfare universale, la rivendicazione della socializzazione e della cura, di un reddito di autonomia per l’uscita dal ricatto della violenza, del salario minimo e della riduzione oraria possono mettere in connessione le donne in questo particolare momento storico».

 

Galleria fotografica di di ©Lorenzo Boffa

 

Lavoratrici che non mancavano neanche nella piazza pomeridiana. Come Elisabetta, infermiera e attivista del collettivo Giulio Maccacaro e dell’associazione Forum per il diritto alla salute. «In questi mesi ho vissuto sulla mia pelle la scarsità di personale nel settore sanitarie. Noi donne, che ne rappresentiamo il 67%, abbiamo fatto vita da equilibriste: al nostro lavoro di turno col covid più il nostro lavoro a casa di mamme, badanti e anche maestre», spiega: «La pandemia ha fatto emergere tutte le contraddizioni di questo sistema che non funziona più. Per cambiarlo radicalmente non ci bastano le piccole modifiche, i recovery plan… Deve essere modificato l’intero paradigma di questa società che si regge sul nostro lavoro di cura, riproduzione e ovviamente anche produzione».

 

Immagine di ©Ilaria Turini

 

 

Il sole è già calato quando la moltitudine di persone che animava il sit in a piazza dell’Esquilino si riversa per strada al fianco della Basilica. Una marea nera e fucsia, incontenibile, attraverso via Merulana arriva fino a piazza Vittorio urlando e danzando.

 

Un minuto di silenzio avvolge la piazza, a ricordare «non solo tutte le donne che sono state uccise quest’anno e negli anni precedenti, ma anche come momento di riflessione rispetto alla strutturalità della violenza che agisce sulle nostre vite», come viene rimarcato dal camion. Al silenzio segue il grido liberatorio e assordante, in cui si riuniscono ancora una volta tutte le voci di questo 8 marzo di lotta, un attimo prima che la piazza si sciolga e i pañuelo fucsia piano piano si disperdano per tutte le strade della città.

 

Immagine di copertina di ©Renato Ferrantini