ITALIA

Buttiamo la chiave: il decreto-legge sui rave party e la criminalizzazione delle marginalità

L’art 434 bis che attacca i rave party, contiene al suo interno un ulteriore obiettivo, l’ergastolo ostativo, che prevede un percorso di reinserimento sociale anche per i condannati in regime di “fine pena mai”

Inserito in fretta e furia nel primo decreto-legge del governo Meloni, il nuovo art. 434bis del codice penale mira a mettere la parola fine al fenomeno dei rave party, agitando lo spettro della sanzione penale. Con una presa di posizione netta, la destra populista mostra subito i pugni introducendo un reato con limite di pena massimo superiore ai 5 anni, per escludere l’accesso a messa alla prova e altre potenziali “vie d’uscita” dalla pena per illeciti di modesta entità.

L’intento appare chiaro: la galera se la faranno davvero, finalmente!, e sarà la nuova destra a farsi garante della sicurezza.

L’esito, tuttavia, è tutt’altro che scontato. Qualora approvato in via definitiva, il reato sarà con ogni probabilità disapplicato in massa dalla giurisprudenza, per gli evidenti profili di incostituzionalità e dubbia efficacia applicativa che il testo presenta. È quanto accaduto, del resto, all’allora tanto decantata riforma sulla legittima difesa voluta dalla Lega nel lontano 2006. In quel caso, l’intervento inserì una presunzione di proporzionalità (e, quindi, liceità) della difesa se l’aggressione avveniva all’interno della propria abitazione.

Ritenere legittima difesa la condotta di uomo che spara e uccide un diciottenne disarmato per il semplice fatto che l’aggressione si fosse verificata all’interno di un’abitazione, era semplicemente troppo. Di fatto, il significato letterale (e l’evidente intento del riformatore) è stato eroso in fase di interpretazione e (dis)applicazione della “nuova legittima difesa domiciliare”, che a distanza di sedici anni appare solo un’inutile quanto nebulosa specificazione della “vecchia” legittima difesa, e pure scritta male.

Che sia questa la prossima fine del nuovo 434bis, a ogni modo, solo il tempo può dirlo (ammesso che il decreto-legge venga convertito senza modifiche dal Parlamento). Il reato può essere qualificato come reato di pericolo, una categoria di reati che si pone lo scopo di anticipare la tutela penale ad una fase in cui il bene giuridico protetto non è ancora stato leso ma solo “minacciato”: tra questi, troviamo i reati contro la personalità dello Stato ma anche l’art. 445 c.p., che sanziona la condotta del farmacista che consegna al cliente un farmaco diverso per qualità o quantità da quello prescritto dal medico. Non importa se il paziente non si sente male, e magari era pure d’accordo: un farmacista ha l’obbligo legale di fornire quanto prescritto e può rispondere penalmente se non lo fa.

Per via del nesso solo eventuale con l’effettiva lesione di un bene giuridico, i reati di pericolo non sono ben visti dalla Corte costituzionale, che li ammette a condizione che il bene tutelato sia di importanza fondamentale, come la vita o la salute umana, e la condotta sia specificata in modo da consentire, almeno astrattamente, che chiunque possa comprendere se il proprio comportamento è consentito o meno.

In questo caso, siamo di fronte a un reato di pericolo solo presunto, in cui le condotte sono pericolose perché pericolose, senza alcuna utile specificazione descrittiva e, curiosamente, senza nemmeno alcun riferimento esplicito all’utilizzo di sostanze stupefacenti o armi all’interno dei raduni.

I rave party, però, sono un obiettivo solo incidentale del decreto-legge firmato Meloni. La vera urgenza è neutralizzare la dichiarazione di incostituzionalità dell’ergastolo c.d. ostativo, ormai imminente.

A breve, infatti, la Corte Costituzionale è chiamata di nuovo a pronunciarsi sulla legittimità dell’ergastolo ostativo, il complesso di norme dell’ordinamento penitenziario che prevede un binario parallelo per i condannati di gravi reati associativi, escludendo questa tipologia di detenuti dai permessi premio e misure che ne consentano il graduale reingresso in società come la liberazione anticipata o semilibertà.

Per i condannati in regime di “fine pena mai” (così viene anche definito l’ergastolo ostativo) è esclusa a priori qualsiasi possibilità di valutare, anche alla luce del percorso in carcere e del tempo trascorso, un futuro reinserimento sociale del detenuto. Per questo, anche su spinta della Corte di Strasburgo, lo scorso anno la Corte costituzionale ha “annunciato” che avrebbe eliminato l’ergastolo ostativo perché incompatibile con la funzione rieducativa della pena, salvo interventi per mitigare la sua portata a oggi non pervenuti.

Le modifiche del nuovo decreto-legge all’ergastolo ostativo, che riprendono una proposta di legge arenata in Senato, forse ne eviteranno la dichiarazione di incostituzionalità. All’udienza dell’8 novembre, infatti, la Corte ha restituito gli atti in Cassazione per valutare più approfonditamente gli effetti della nuova normativa.

Le modifiche del nuovo decreto-legge all’ergastolo ostativo, che riprendono una proposta di legge arenata in Senato, forse ne eviteranno la dichiarazione di incostituzionalità. All’udienza dell’8 novembre, infatti, la Corte ha restituito gli atti in Cassazione per valutare più approfonditamente gli effetti della nuova normativa.

Le correzioni apportate consentono ad alcune condizioni l’accesso ai benefici, anche se questa possibilità è gravemente inficiata dalla rigidità dei criteri introdotti. In primo luogo, il detenuto è tenuto a specificare le ragioni per cui non vi sarebbe più alcun legame con la cosca mafiosa, senza che possano però essere di per sé ragioni sufficienti il significativo trascorso del tempo, il regolare comportamento in carcere o dichiarazioni di dissociazione dall’organizzazione criminale (e, quindi, cosa potrebbe indicare il detenuto?).

Altro elemento problematico è la macroscopica – con sospetto di irragionevolezza – disparità di trattamento tra detenuto c.d. “collaborante” e “non collaborante”, il quale potrà accedere alla liberazione condizionale solo dopo aver espiato trent’anni di pena – il triplo dei dieci anni previsti invece per il detenuto “collaborante”.

Con un colpo di penna si eviterà, forse, la dichiarazione di incostituzionalità del “fine pena mai”. Buttiamo la chiave, presto, così l’ergastolo ostativo è salvo, quasi per miracolo.

E, in effetti, almeno un miracolo la destra populista l’ha fatto. In decenni di propaganda è riuscita a convincere una rilevante platea di sciagurati che il pericolo sociale non è la corruzione nei pubblici poteri o l’evasione fiscale da parte di soggetti che possiedono centinaia di immobili.

Il vero crimine è il tentato furto di un paio di cuffie Bluetooth, l’occupazione di case popolari (reato diventato procedibile d’ufficio grazie al decreto sicurezza di Matteo Salvini), i rave party.

E, in un contesto di crisi energetica e ambientale non più rinviabile, eccoci ad osservare impotenti l’ennesimo capitolo di un diritto penale di classe che ancora si ostina a confondere la pericolosità con la marginalità socio-culturale o economica. Il risveglio, forse, arriverà troppo tardi.

Immagine di copertina Pixabay