EUROPA

A bordo di Sea Watch. «Situazione si sta deteriorando, governi europei irresponsabili»
Intervista a Lucia, attivista di Mediterranea che ha partecipato alla missione di appoggio alla nave intrappolata in mezzo al mare. A bordo 49 persone salvate dal naufragio e dai lager libici. Tra loro diversi bambini. Lucia è costantemente in contatto con l’equipaggio di Sea Watch e ci racconta come stanno evolvendo le cose.
Come hai visto la situazione a bordo?
A bordo ci sono 32 persone, fra loro anche quattro minori non accompagnati e tre bambini con i loro genitori. La più piccola ha un anno. Ci sono persone che vengono da paesi diversi e alcuni di loro hanno provato diverse volte a raggiungere l’Europa ma sono stati fermati dalla cosiddetta “guardia costiera libica” e detenuti nelle ben note “carceri” libiche. Ci sono persone che hanno ancora molta paura di essere riportate lì. La situazione si sta velocemente deteriorando, sia dal punto di vista delle condizioni fisiche dei migranti che sono da oltre due settimane in mare, sia da quello delle condizioni psicologiche. Questo folle braccio di ferro tra i governi potrebbe portare a conseguenze anche gravi per quanto riguarda la vita a bordo. Ricordo che venerdì 4 gennaio una persona si è gettata in acqua e ieri alcune persone hanno cominciato a rifiutare cibo e acqua. Gli attivisti di Sea Watch sono stati davvero abili nel gestire questa situazione fino ad ora, ma srà sempre più complicato. Chi sta giocando sulla vita di queste persone è un irresponsabile.
Alcuni media sostengono che il salvataggio sia stato effettuato nella zona sar (safe and rescue) libica per cui Sea Watch avrebbe dovuto far intervenire la guardia costiera di quel paese. Cosa rispondono i migranti quando si parla di libia?
Se anche fosse sarebbe difficile da un punto di vista giuridico contestare la legittimità delle operazioni di Sea Watch. È evidente il paradosso in cui si trovano le istituzioni europee e quelle italiane in particolare, che da un lato sostengono da un punto di vista economico e logistico le attività della guardia costiera libica e dall’altro ne riconoscono l’incapacità a gestire la situazione a terra e in mare per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali di chi migra. Basta vedere la sentenza corte d’assiste di Milano del 2018 e l’ultimo report dell’Unhcr. Chi era a bordo ha subito pesanti forme di tortura durante la permanenza in Libia. Ancora adesso, davanti alle coste europee, molte persone sono davvero spaventate all’idea della possibilità di doverci tornare.
I migranti a bordo come hanno interpretato questo limbo di oltre due settimane?
L’equipaggio di Sea Watch ha cercato di tradurre e comunicare a tutti le dinamiche che attraversano in questo momento l’Unione Europea, che risultano comunque poco comprensibili anche a noi. C’è chi si è chiesto se l’intera popolazione europea si stesse opponendo al loro ingresso o se si tratti solo di qualche politico. Anche a noi sono state rivolte tante domande su quello che accade, sulle posizioni dei governi. Si tratta di una situazione così poco decifrabile da un punto di vista logico (e anche giuridico) che anche noi siamo stati molto in difficoltà nel rispondere a questo tipo di domande.
In questa occasione cosa ha fatto Mediterranea di preciso?
Sea Watch e Mediterranea hanno un rapporto molto stretto. In ogni caso, per Mediterranea è stato naturale sostenere l’equipaggio e le persone soccorse in questo momento così delicato. Si è trattato quindi di un intervento solidale nei confronti sia dell’organizzazione che dei migranti a bordo e anche di un tentativo di portare avanti insieme un discorso che riguarda sicuramente la gestione dei soccorsi in mare e l’arretramento dei paesi europei rispetto alle proprie responsabilità politiche e giuridiche, ma anche un discorso più ampio su come si sta trasformando l’Europa e su quale altro tipo di società vogliamo invece diventare e sostenere.

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