EUROPA

#BlackFriday: in Polonia lo sciopero delle donne difende ancora l’aborto

Uno sciopero delle donne e un corteo di novantamila persone per arginare la proposta dell’episcopato polacco, accolta dal governo, di stringere ulteriormente la legge sull’aborto

3 ottobre 2016, Varsavia: migliaia di ombrelli invadono le strade della Polonia. È un lunedì, piove, il centro cittadino è bloccato da centinaia di migliaia di persone. Sotto quegli ombrelli si muove una marea vestita di nero, festosa, determinata, compatta e viva.  È il giorno dello sciopero delle donne per difendere il tentativo di stringere ulteriormente una delle leggi più restrittive d’Europa in materia di aborto, e nel farlo ne richiedono la liberalizzazione completa. Infatti, è possibile abortire solo in conseguenza di uno stupro, di un incesto o in caso vi siano complicazioni per la salute fisica della madre o del feto. La volontarietà non è contemplata. Le mobilitazioni sortiscono il parziale effetto sperato: il Pis, partito conservatore di maggioranza, è costretto a cancellare dalla discussione parlamentare la proposta di legge dei pro-life che prevedeva il divieto assoluto. La contropartita è che la proposta di legge su iniziativa popolare per l’introduzione del’aborto su richiesta, firmata da 400.000 persone, non viene accettata per la discussione parlamentare.

Due anni dopo. Czarny piątek, o venerdì nero: il colore è lo stesso, ma via gli ombrelli, arrivano le “grucce”, simbolo dello strumento utilizzato per gli aborti clandestini. È di nuovo Strajk Kobiet, sciopero delle donne, preceduto da altre iniziative di fronte alle maggiori diocesi del Paese. Quasi novantamila fra Varsavia e il resto della Polonia, con cortei in circa altre dieci città. Questa volta si prova a fermare la proposta di legge “Stop Aborcji”, che vorrebbe vietare gli aborti in caso di malformazione fetale, riportata in auge poco tempo prima da un comunicato ufficiale dell’Episcopato Polacco approfittando del rimpasto di governo. La proposta di legge viene accolta dal Pis e portata nel Sejm, la camera bassa, con l’avvio della discussione nell’apposita commissione parlamentare convocata per venerdì 23 marzo. La risposta è immediata: strajk, sciopero. Il Pis allora cancella la discussione, ma la mobilitazione rimane, non è certo il Pis a dettare il calendario di un movimento che vuole esplodere.

E così il secondo sciopero delle donne porta di nuovo luce sulle troppe contraddizioni di un paese che si vorrebbe vendere come evoluto e moderno: l’agenda politica dettata dai vescovi, l’obiezione di coscienza che rende impossibile l’aborto anche dove sarebbe garantito per legge, i viaggi verso la Germania per le interruzioni volontarie (per chi può permetterselo, creando ulteriore divisione su base economica), la donna trattata come incubatrice di feti anche laddove questi non hanno clinicamente nessuna possibilità di vita. Le donne polacche non sono sole:  in Irlanda ci si prepara al voto per il Referendum di Maggio per introdurre l’aborto in Costituzione, in Argentina si scende in piazza in quasi un milione l’8 marzo, in Italia si preparano le mobilitazioni verso il 22 maggio (quarantennale della legge 194 sul diritto all’aborto). Ovunque, la richiesta è una: aborto e salute liberi, garantiti, laici e gratuiti.