ROMA

Berta è ancora viva, la rivoluzione ecologista non si ferma

Incontriamo attivistə della LEA Berta Caceres, a poche ore da una nuova occupazione dell’immobile che ha visto a marzo nascere il primo spazio autogestito in Italia focalizzato sulla questione ecologista

Nella mattinata di sabato 7 maggio attivistә della Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Caceres sono rientratә nell’immobile in via della Caffarella 13, sgomberato a fine marzo dopo 18 giorni di occupazione. Il collettivo si torna a confrontare pubblicamente con la pratica dell’occupazione e con la possibile repressione. A poche ore dall’ingresso, Dinamo ha incontrato i componenti della laboratoria proprio come aveva fatto ad inizio marzo.

Partiamo da dove eravamo rimasti. Cosa è accaduto dopo il 24 marzo 2022, giorno dello sgombero della Laboratoria Berta Caceres?

M. Dal punto di vista del rapporto con le istituzioni, il 31 marzo abbiamo avuto il famoso incontro con Regione, Comune, e Municipio che avevamo richiesto nei primi giorni e che ci era stato fissato 24 ore prima dello sgombero.

È stato un incontro totalmente inutile, in cui le nostre tre richieste sono state rifiutate in toto. Abbiamo chiesto il riconoscimento politico della laboratoria, il dissequestro dell’immobile di via Caffarella e l’apertura di un percorso tecnico che trovi lo strumento affinché l’immobile rientri a tutti gli effetti nel patrimonio immobiliare inalienabile della Regione. Abbiamo trovato un muro davanti a noi. Non hanno neppure accolto la richiesta di poter prendere visione del regolamento esistente tra Invimit e Regione Lazio per la gestione di spazi messi all’asta.

La situazione giuridica dell’immobile è stata spesso oggetto di discussione con le istituzioni, puoi ribadirne la natura?

S. L’immobile nel 2016 è stato trasferito dal patrimonio indisponibile della Regione Lazio ad un Fondo Immobiliare, Regione Lazio i3, le cui quote sono detenute al 70% dalla Regione Lazio e al 30% da un Fondo di Fondi di proprietà pubblica, gestito da Invimit, società del MEF. In questo gioco di scatole cinesi è ovvio che il soggetto proprietario è a tutti gli effetti la regione, e questo è ulteriormente confermato dai documenti del Tribunale di Roma che hanno deliberato lo sgombero e del Nucleo Informativo dei Carabinieri che hanno aperto le indagini contro chi occupava l’immobile la mattina del 24 marzo. In tutti questi documenti si menziona come proprietaria di via della Caffarella 13 solo ed esclusivamente la Regione Lazio.

Invimit era un soggetto quasi sconosciuto prima della vostra occupazione, ora invece ne sapete qualcosa in più?

G. Abbiamo raccolto molte informazioni utili. Invimit è il soggetto tecnico che in tutto il paese sta guidando i processi di messa a valore del patrimonio immobiliare e fondiario degli enti pubblici. Sono tutt’altro che processi neutri o giustificati dall’aggiustamento dei bilanci, come ci è stato detto in Regione. Al contrario sono processi deliberati e frutto di precise scelte politiche che vogliono privatizzare lo spazio pubblico e aumentare le possibilità del privato di fare profitto su di esso. Nell’arco di tempo tra lo svuotamento dell’immobile e la sua vendita, l’incuria da parte di Invimit determina un decadimento delle strutture stesse, come via della Caffarella dimostra, ma anche un parco urbano a Milano, determinando un danno per le casse erariali. Un processo di questo tipo sta avvenendo in modo sistemico sul patrimonio immobiliare pubblico di Napoli. Non possiamo non notare l’analogia tra quello che Invimit sta compiendo sul patrimonio pubblico e quello che il DDL Concorrenza vuole fare nei confronti dei servizi pubblici. E’ la più bieca logica liberista di svuotamento politico e sociale del pubblico per permettere l’avanzata del profitto privato, ovvero la strategia politica del PD negli ultimi 20 anni in tutto il paese.

In questo mese e mezzo trascorso dallo sgombero il collettivo non è stato a guardare, cosa avete organizzato?

C. E’ stato un periodo molto intenso. Abbiamo organizzato iniziative ogni settimana, da un incontro sull’Ecologia Politica ad uno sul rapporto tra difesa ecologista e lotta per l’abitare. Abbiamo partecipato al corteo organizzato da GKN e Fridays a Firenze, alla marcia popolare in Valsusa, alle iniziative per il 25 aprile e per il primo maggio. Abbiamo organizzato, con la Rete Ecosistemica, un presidio sulla questione rifiuti al TMB di Rocca Cencia, e una iniziativa molto importante ai mercati generali di Ostiense.

Ci potete raccontare quest’ultima?

R. I Mercati Generali sono una vasta area comprensiva di immobili e terreni tra Garbatella e via Ostiense. Nel 2004 sono stati abbandonati, e le amministrazioni hanno progettato varie volte idee spesso pericolose su quei terreni, poi decadute in breve tempo. Lo spettro va dalla Città dei Giovani veltroniana progettata dall’archistar Koohlaas, a quella del Commercio voluta da Alemanno fino all’ipotesi di costruirci lo stadio. Oggi il posto è in abbandono da 20 anni, nel frattempo si sono gravemente danneggiati gli edifici e nei terreni circostanti si è costruita una area umida spontanea, con fuoriuscita di acqua di falda che scorre e che ha portato alla presenza di fauna e flora tipica delle aree umide e ad alto livello di biodiversità.  Siamo entrate in quello spazio per denunciare la responsabilità delle istituzioni di aver lasciato un luogo del genere in abbandono per venti anni e per ribadire che ogni progetto d’ora in avanti deve includere la difesa della biodiversità che si è li ricreata. Le stesse istituzioni che lasciano questi spazi abbandonati sono quelle che poi sgomberano chi cerca di ridare vita a quegli spazi.

Pochi giorni prima della vostra occupazione di marzo si è scatenata la guerra in Ucraina. Come si relazione quella situazione con le vostre istanze?

M. La guerra ha confermato le nostre ipotesi e peggiorato lo scenario che abbiamo di fronte. La guerra ha ribadito quanto le fonti fossili, il gas in particolare, siano accumulatrici di potere e fattore scatenante i conflitti. La guerra ha fatto mettere da parte le timide proposte di conversione energetica che erano state avanzate, basti pensare con quanta facilità si è tornati a utilizzare il carbone. La guerra rischia di far passare, tutelata dalla logica dell’emergenza, qualunque decisione anche la peggiore e più dannosa per l’ambiente. Ricordiamo che l’industria fossile è tra le più inquinanti e che ampie aree dell’Ucraina vivono ora disastri ambientali di varie proporzioni. Torniamo ad occupare Berta anche per dire no a questa guerra contro le persone e contro il pianeta. Viviamo in un paese dove c’è ancora l’IVA sugli assorbenti ed è stata tolta dagli armamenti. È semplicemente inaccettabile.

Per questo apriremo uno striscione con scritto “Contro le guerre capitaliste, 1000 laboratorie ecologiste!”

Anche lo scenario locale è mutato?

S. Pure a Roma abbiamo avuto la conferma di quanto uno spazio come la Laboratoria Berta Càceres sia necessario. Viviamo in una regione con un piano rifiuti ancora totalmente inadeguato, e in una città in cui il sindaco ha il coraggio di proporre, nel 2022, un inceneritore per risolvere la questione. L’emergenza ecologica è evidente agli occhi di chiunque, eppure si vuole continuare nel treno in corsa. Non da ultimo ricordiamo che la Prefettura ha comunicato la sua solita periodica lista sgomberi. Proprio in questo scenario è necessario salire sulle barricate.

Quale è stata la reazione che avete registrato rispetto alla vostra proposta politica ?

J. Crediamo che sia stata raccolta con entusiasmo. Da un lato molte persone si sono unite al collettivo dopo l’occupazione, dall’altro abbiamo ricevuto solidarietà significativa da tantissimә, sia di persona che attraverso i nostri profili social che sono tutt’oggi molto seguiti. In tante parti d’Italia si discute sull’urgenza di creare laboratorie simili alla nostra, nelle quali la questione ecologista radicale si unisca alle lotte territoriali praticando l’autogestione in difesa dello spazio pubblico. Con un po’ di orgoglio possiamo dire che nonostante la repressione, l’intuizione politica era azzeccata e va coltivata.

Come affrontate il rischio di un nuovo sgombero?

N. Ovviamente non a cuor leggero, una parte di noi è già sotto indagine e sappiamo che il dispositivo securitario impostato da Minniti e rafforzato da Salvini lascia sempre meno spazio di azione alle legittime lotte sociali.  Pensiamo però che non ci si possa fermare per questo, che bisogna invece avviare processi di solidarietà più stretta all’interno e all’estero delle reti,  che non possiamo farci divorare da un sistema che fa della repressione il suo strumento privilegiato per annullare il conflitto.  Diciamo che tutto rema in direzione contraria, ma fermarsi o battere in ritirata in queste situazioni è l’opzione più dannosa, per noi e per le future generazioni di attivistә, è una responsabilità collettiva.

Il vostro collettivo ha voluto ispirarsi a Berta Caceres, cosa ha implicato?

F. Sicuramente darci il nome di una figura così di ispirazione ha permesso un forte senso di identificazione immediato in una battaglia ecologista radicale e decoloniale.

Ci ha pure permesso di stringere rapporti con l’Honduras, fino al momento, pochi giorni dopo lo sgombero, in cui la figlia di Berta ci ha mandato un video messaggio di solidarietà. E’ stato un momento molto forte e commovente, che ci ha ricordato quanto la solidarietà voli sopra gli oceani e unisca le persone in lotta contro il capitalismo violento e repressore. Ci ha dato la forza di dire, non è finita qui, ed è quello che ribadiremo con forza il 7 maggio.