TERRITORI

Basilicata petrolifera

Ricchezza, potenziale, sfruttamento queste le parole d’ordine che da troppi anni caratterizzano la discussione pubblica sui temi ambientali, e non solo, nel nostro Paese.

Sulle strategie di produzione c’è sempre tanto da discutere tranne quando si affrontano temi come le estrazioni petrolifere. La ricerca e la produzione di idrocarburi in Italia ha una lunga storia e coinvolge diverse zone del Paese tra le quali la poco conosciuta Basilicata che, oltre ad una spettacolare varietà ambientale e ricchezza storica, ha una conformazione del sottosuolo straordinaria ed è una delle regioni più ricche di giacimenti petroliferi e di gas naturali, la più grande dell’Europa continentale. Come tante altre regioni del sud è stata a lungo sfruttata in nome di decantate opportunità di sviluppo economico e sociale, come accadde con l’insediamento fiat, che non hanno affatto dato i frutti sperati. Nel 2003 una ferma protesta contro l’ipotesi di realizzare, a Scanzano Jonico, un deposito di scorie nucleari provocò il ritiro del D.L. n. 314/03. Oggi, il problema delle scorie e dei lasciti del nucleare rimane -nel mondo- un problema irrisolto, ma a mettere un carico da novanta è l’approvazione – con il rituale voto di fiducia- del famigerato decreto Sblocca Italia su edilizia, fisco e cantieri (D.L. n.133/2014). Oltre al raddoppio delle estrazioni in Basilicata e in Sicilia, in realtà già previsto da provvedimenti precedenti (Memorandum del 2011), l’aspetto più inquietante sono gli articoli 36 e 38 che prevedono non solo un potenziamento e una facilitazione delle trivellazioni esplorative per cercare nuovi giacimenti ma anche che una anticipazione della revisione del Titolo V della Costituzione che sottrae definitivamente alle Regioni, agli enti locali ed ai territori ogni potere in materia di autorizzazione delle attività petrolifere, cioè la validazione di impatto ambientale da parte delle regioni non è più vincolante. In parole povere o la Regione applica da sola lo “sblocca trivelle” entro il 31 dicembre 2014, oppure provvederà direttamente il governo, avocando a sé il tutto e applicando i poteri sostituitivi per la Regione “inadempiente” attraverso la “espropriazione per pubblica utilita’”. Per Renzi la ricerca e la coltivazione di idrocarburi e lo stoccaggio di gas naturale hanno “carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilita’, urgenti e indifferibili.”.

Ancora più urgente sembra invece dover vigilare affinché troppe cose non vengano più fatte sotto l’egida della pubblica utilità e dell’urgenza (vedi l’Aquila). Non è molto avvincente il dibattito sul fatto che le competenze siano Regionali o Statali anche perché nessuna delle due parti rappresenta le istanze reali di chi i territori li vive, li protegge, li fa sopravvivere ma di fatto i luoghi in cui si decide si allontanano sempre di più da chi vive i territori al di là del braccio di ferro sulle competenze.

Dopo undici anni grazie allo Sblocca Italia si è risvegliata, senza preavviso, la Basilicata con una settimana di mobilitazioni con le quali le associazioni ecologiste, gli studenti, vari e numerosi comitati, hanno assediato- in migliaia- Potenza dopo una serie di iniziative dislocate in tutta la regione e nelle aree interessate dalle estrazioni per protestare contro il raddoppio delle estrazioni petrolifere in Basilicata e in altre regioni italiane. I sindaci di alcuni comuni interessati si mobilitano ad impugnare l’articolo 38, come precedente quello della giunta comunale di Taranto‬‬‬‬‬‬‬‬. Lo SbloccaItalia sta sollevando il dissenso e la rabbia di tante realtà lucane, pugliesi, campane, abruzzesi, siciliane e di tutte le altre regioni, direttamente o indirettamente, interessate che manifestano la volontà di passare dalla politica pro- trivelle e dalla fiducia nelle, già viste, promesse di royalties e occupazione alla difesa dei territori (che restano di emigrazione) contro l’economia del petrolio. Sorge qualche dubbio, inoltre, sulla opportunità dell’assegnazione del titolo di capitale della cultura nel 2019 a Matera se, come contraltare, le opere strategiche necessarie saranno finanziabili solo con il pacchetto previsto dal governo con l’incremento del gettito fiscale da parte delle compagnie petrolifere.

E’ una discussione complicata che va oltre la astratta discussione pro o contro il petrolio perché il petrolio c’è, si estrae da più di vent’anni ed ha un impatto sui territori, in termini sociali, di ambiente e salute. Sottrarre le decisioni sulle estrazioni ad ogni forma di controllo da parte dei territori interessati significa dare mano libera alle compagnie petrolifere e a chi con loro fa profitto e impedire che si esprimano i veri interessi collettivi che solo quelle realtà possono esprimere. Sono temi complessi che coinvolgono tanti livelli Rapporto stato regioni (modifica titolo V), accordi economici con le multinazionali, accordi tra partiti o tra correnti ed il rischio è quello che non si riesca a trovare un reale spazio per le istanze propulsive di queste mobilitazioni in un contesto di una disillusione che è erede del ricatto e della promessa: petrolio=benessere. E’ in atto una soggettivazione in nome della difesa di un territorio ed è una “protesta” contro un Decreto Legge ormai approvato perciò l’obiettivo deve diventare quello di aprire una dicussione a livello nazionale su quale modello di sviluppo immaginare e l’alternativa non è tanto complessa: si vuole continuare a subire questo folle sfruttamento dei territori a vantaggio di lobby petrolifere o si possono finalmente adottare strategie di produzione orientate all’energia pulita, a tecnologie “verdi”, tra l’altro già sperimentate, adatte a rispondere ai nuovi bisogni e alla tutela del diritto alla salute.

Non c’è bisogno di parlare di “Questione meridionale” per capire il reiterarsi di volontà politiche che non hanno a cuore né la necessaria riconversione ecologica dell’economia né l’ equità sociale. Finora i riscontri sono ambivalenti :si dichiara la contrarietà all’eccessivo sfruttamento del territorio ma anche l’entusiasmo per “il buono che c’è nello Sblocca Italia” o l’impugnabilità di quell’articolo e l’autosospensione dal proprio partito restao cioè in piedi ,per chi governa, come contraltare le promesse di introiti maggiori e più vantaggiosi legati alle Royalties.

Seppure tutti i buoni propositi fossero veri il problema resta la scelta politica di questo governo liberista e decisionista (vedi Jobs Act) che fa accordi coi padroni e con le Lobby cambiando tutto per non cambiare nulla nella sostanza. Perciò ancora una volta dobbiamo dire che sono le comunità e i territori a dover avere l’ultima parola contro un futuro improntato alla sopravvivenza, alla ricattabilità, alla sacrificabilità di chi non può decidere. Ancora una volta la ricchezza e la fragilità geologica del territorio italiano si scontra con l’inettitudine e con gli interessi di pochi come ci insegnano la Tav, la gestione del dissesto idrogeologico (Genova e non solo), le grandi navi a Venezia o la “terra dei fuochi” in Campania, il Muos in Sicilia ecc.. Tutte storie diverse ma uguali nel loro significato: in nome di un futuro diverso la legge del profitto e dello sfruttamento viene imposta da pochi sui molti. Bisogna ricominciare o continuare a riappropriarsi dei propri spazi, degli spazi della partecipazione, della decisione e del veto sulle violente politiche di sfruttamento del lavoro e del territorio. Di fronte a questo “capitalismo predatorio” le parole d’ordine non possono essere più difesa delle bellezze dell’Italia, marketing del patrimonio culturale o sviluppo delle estrazioni ma piuttosto si deve costruire un discorso avanzato sui temi ambientali che di fronte al fallimento dei luoghi della rappresentanza parli di riappropriazione dei territori e di lotta ad ogni forma di sfruttamento.