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Atlas of Transitions 1/ Performing Resistance

Iniziano oggi fino al 20 giugno (in una forma eccezionalmente online) una serie di iniziative curate da “Atlas of Transitions Biennale”, che si pongono l’obiettivo di indagare il rapporto tra arti, migrazioni e cittadinanze, riflettendo su come le pratiche performative siano capaci di creare spazi di resistenza, forme di sovversione e processi collettivi di riappropriazione e immaginazione dello spazio pubblico

È difficile pensare che un’iniziativa come Atlas of Transitions, che da due anni a questa parte ha intrapreso una riflessione di straordinario interesse sull’immaginario delle migrazioni nella città di Bologna, potesse cadere in un periodo più adatto. Dopo l’edizione del 2018 dedicata al diritto alla città, e quello dello scorso anno dedicata alla “casa”, l’edizione di quest’anno, posticipata per via della pandemia al prossimo autunno, vedrà comunque da oggi fino al 20 giugno un serie di iniziative nella forma di una summer school digitale dal titolo Performing Resistance. Dialogues on Arts, Migrations, Inclusive Cities. Uno dei focus della riflessione di Atlas of Transitions è infatti sempre stato quello del ruolo delle arti performative e la loro capacità di costruire spazi di resistenza, dando vita ad azioni capaci di declinare altre visioni delle città contemporanee, spesso tramite processi collettivi di partecipazione, riappropriazione e immaginazione dello spazio pubblico.

 

 

E nonostante per ora la forma di questa riflessione nei prossimi giorni non potrà che essere sviluppata online, è tuttavia interessante che tutto ciò avvenga durante una delle più grandi performance politiche di spostamento dell’immaginario collettivo degli ultimi anni. Le rivolte di Black Lives Matter che da Minneapolis si sono estese in tutto il mondo nelle ultime tre settimane hanno letteralmente ribaltato l’asse del discorso politico e hanno posto il tema del razzismo strutturale come grimaldello attraverso cui analizzare i processi di produzioni delle diseguaglianze del capitalismo americano e mondiale. Fino a poche settimane fa, Trump poteva occupare sostanzialmente da solo, il centro del dibattito, elargendo massime sessiste e razziste dal trono presidenziale (o meglio, dall’account Twitter) trovando pochi o nessun ostacolo al proprio ordine del discorso. Ora, sembra di essere entrati in una diversa era geologica, dove la discussione è incentrata su quanti fondi debbano essere spostati dalla sicurezza ai programmi di solidarietà sociale e di rilancio del welfare, e dove si parla apertamente di “superamento” o abolizione della polizia. È difficile trovare un esempio migliore di come una performance dal basso possa cambiare le condizioni politiche della nostra percezione del reale.

In questo senso – come hanno ricordato i curatori Piersandra Di Matteo, Pietro Floridia, Melissa Moralli e Pierluigi Musarò in sintonia con quello che sta succedendo in questi giorni – le iniziative dei prossimi giorni saranno guidate da una sempre più necessaria decostruzione di posizioni paternalistiche, neocoloniali ed esotizzanti che stigmatizzano la figura del migrante: gli incontri di Atlas of Transitions saranno così incentrati su questioni come il confine tra arte e attivismo, la creazione di dispositivi alternativi al sapere codificato, forme di cittadinanza “affettiva” e riconfigurazione dell’arte pubblica nello spazio urbano, reale o immaginato che sia.

 

 

Tra i molti interventi in programma ci saranno quelli della giornalista finlandese-nigeriana Minna Salami (in dialogo con Ilenia Caleo) che indagherà la nozione da lei coniata di “Afropolitanismo” e la necessità di attivare una “conoscenza sensibile” (Sensuous Knowledge) e femminista capace di inaugurare approcci decoloniali e antirazzisti. Daniel Blanga Gubbay, co-direttore del Kunstenfestivaldesarts, che in dialogo con Piersandra Di Matteo indagherà i dispositivi della conoscenza attivi in alcuni progetti educativi ideati all’interno dell’istituzione artistica capaci di produrre spazi e modalità di trasmissione per forme e saperi “invisibilizzati”. Federica Mazzara (in dialogo con Francesca Guerisoli) analizzerà le strategie messe in atto dagli artisti per sfidare le narrative che stigmatizzano negativamente i migranti, concentrandosi in particolare sul tema delle morti in mare, e la socio-antropologa finlandese, mentre Karina Horsti (in dialogo con Melissa Moralli), docente all’Università di Jyväskylä, proporrà una riflessione critica su come istituzioni e operatori culturali, artisti e attivisti possano rendere visibili i confini invisibili, analizzando le conseguenze che ne derivano. Infine Sandro Mezzadra e Michael Hardt (in un’iniziativa che verrà trasmessa in streaming anche dalla pagina e dall’account facebook di DinamoPress giovedì 18 giugno alle 19) discuteranno dell’esperienza di Mediterranea #Saving Humans, punto di partenza per affrontare temi cruciali che riguardano l’attuale politica migratoria: dalle mutazioni dell’umanitarismo alla crisi dei diritti umani, dalla libertà di movimento all’autonomia della migrazione.

 

Le fotografie, prese dalle precedenti due edizioni di Atlas of Transitions Biennale, sono di Enrico De Stavola