MONDO

America Latina, il potere giudiziario di arrestare i dissidenti

Un’analisi del ruolo giocato dai giudici nell’attualità politica di Brasile e Argentina. Mentre Lula è ancora barricato nella sede del sindacato dei metalmeccanici a San Paolo

L’attività dei giudici gioca oggi un ruolo fondamentale nella regione. E dimostra oggi l’altro lato della medaglia: maggiore è la sua incidenza sullo scenario politico, maggiore è il suo discredito. Il potere giudiziario è contro-maggioritario, o almeno così dovrebbe essere: questa era la sua concezione originaria. Un potere non eletto nelle urne, né sottomesso alla maggioranza di governo. Una garanzia, in definitiva, per i dissidenti e le minoranze.

Ma è ovvio che non funziona così. Si guardi al Brasile o all’Argentina. Spesso i “minoritari” sono anche i privilegiati, la casta dei potenti. E il dilemma, quindi, si raddoppia: non soltanto è preoccupante che i giudici si sottomettano al volere delle maggioranze per perseguire i dissidenti, ma anche il fatto che siano subordinati ai poteri forti al fine di ostacolare la democrazia.

L’America Larina, stupefatta, è testimone così dell’apparizione di un nuovo soggetto politico. I giudici non sono una garanzia per nessuno: piuttosto tutto il contrario. Una causa con poca accuratezza tecnica può frenare la candidatura del principale oppositore brasiliano, incarcerare senza processo una deputata argentina del Parlasur [il parlamento dello spazio economico regionale del Mercosur, ndt] e perfino sbarazzarsi di un vicepresidente ecuatoriano. Allo stesso tempo, anche se senza comparazioni, può liberare un expresidente condannato in terzo grado e archiviare tutte le inchieste su un governo con milioni nei paradisi fiscali [l’attuale governo argentino, ndt].

In Argentina, il tribunale penale federale è un caso che andrebbe studiato. Con gli anni, non è diventato più attivo o più compiacente, ma più imprevedibile. Soprattutto, i suoi tribunali di primo grado, che operano con la libertà di chi scrive in bozza. Per sicurezza, processano. E che sia poi il tribunale d’appello a revocare.  Qui ad ottenere il primato per merito è Claudio Bonadio [giudice arrivato nei tribunali durante il periodo menemista, negli anni ’90, e particolarmente attivo nella persecuzione di alcuni esponenti politici, ndt]. Una settimana dopo la liberazione dell’imprenditore Cristóbal López, i deputati di maggioranza Elisa Carrió e Pablo Tonelli hanno aperto i giochi per indagare il patrimonio dei giudici Eduardo Farah e Jorge Ballesteros. Nessuno è privo di difetti, ma il ragionamento appare chiaro: se il tribunale emette una sentenza contraria agli interessi di un governo o ai poteri forti, è perché ha ricevuto una tagente dall’interessato. Non ci sono margini possibili per discutere di diritti.

In Brasile la logica non è molto distinta. Tacitamente tutti gli attori accettano che se Lula arrivasse alla presidenza, prima o poi sarebbero caduti i processi contro di lui. Per questo, impedire che vinca le elezioni implica anche agevolare la sua condanna nei due gradi ancora pendenti.

Perché, come se fosse poco, la confusione attuale tra giustizia e politica non salva nemmeno i due pilastri basici del sistema: la presunzione di innocenza e la libertà personale. Due esempi: Milagro Sala [donna indigena, leader Tupac Amaru e figura di riferimento del movimento piquetero, illegalmente detenuta dallo Stato argentino da gennaio 2016, ndt], che da due anni attende una sua condanna di fatto, e lo stesso Lula, a cui neanche il tribunale più alto concede un habeas corpus che lo salvi dalla prigione ancora prima di arrivare ad una sentenza definitiva.

Pertanto, le questioni procedurali contano, ma è il loro uso stravagante che le trasforma in strumenti di estorsione: affrettare un’inchiesta, accelerare un procedimento, concedere un ricorso, ritardare una perquisizione, negare una scarcerazione. Tutto, ovviamente, davanti a un imputato che per legge si presume innocente.

Mentre il giudice Sérgio Moro toglie la libertà a Lula, nessuno chiede spiegazioni a Michel Temer [presidente golpista del Brasile, ndt] per la tangente a Eduardo Cunha. Mentre il Tribunal Oral Federal Nº 1 si prepara a giudicare Cristina Kirchner [ex presidentessa progressista dell’Argentina, ndt] per la causa “dollaro futuro”, gli esponebti dell’attuale governo che hanno tratto profitto da quell’operazione festeggiano così la loro impunità. Con altri nomi ed episodi, accade qualcosa di simile con Luis Caputo [Ministro delle Finanze Pubbliche dell’attuale governo argentino guidato da Mauricio Macri, ndt] e i suoi conti off-shore, o rispetto al Gruppo Macri e l’auto-amnistia nella causa delle Poste [uno scandalo legato all’acquisizione negli anni ’90 delle poste argentine da parte del un gruppo legato all’attuale presidente, che non ha mai pagato allo Stato il corrispettivo per l’acquisto, ndt]. Nessun potente teme lo scontro con i giudici mentre esercita il potere.

La sensazione generalizzata, quindi, è che i giudici dettino sentenze con l’obiettivo deliberato di influire sullo scenario pubblico. Non si tratta più di una messa in discussione della corrente filosofica del magistrato, né della sua valutazione dei fatti o della prova. Si tratta del discredito di un aspetto particolare dell’intermediazione giudiziaria: la sua incidenzia parziale, ingiusta e arbitraria ogni volta che si deve risolvere una causa di natura politica.

Il dilemma, pertanto, porta a chiedersi se è possibile consolidare un sistema di convivenza basato sul primato giuridico del più forte. Il diritto del lavoro direbbe di no: basta ipotizzare cosa accadrebbe se, da un giorno all’altro, tutti i conflitti e i rispettivi giudizi si risolvessero a favore del padronato. Per iniziare, aumenterebbero senza dubbio le misure di azione diretta. E anche tutto il resto. Se il servizio della giustizia serve affinché i cittadini non risolvano i loro conflitti con la forza, il suo malfunzionamento è una chiamata allo scontro totale. Nessuno, in questo scenario, avrebbe motivo di accettare la decisione sospetta di un giudice qualsiasi. E questa sarebbe una rottura profonda per il sistema.

Articolo pubblicato su notasperiodismopopular. Traduzione a cura di DINAMOpress.

L’autore è avvocato del lavoro e ricercatore in Scienze Sociali del Lavoro.

Foto via Midia Ninja.