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MOVIMENTO

Alice è il diavolo

L’emittente autonoma bolognese venne sgomberata il 12 marzo 1977, dopo l’omicidio di Lorusso e i disordini che ne erano seguiti. In questo insieme di testi pubblicati su “L’Espresso” è raccolta la polemica tra Fachinelli e il sindaco di Bologna Renato Zangheri. Il primo è un articolo di Fachinelli del 27 marzo 1977, il secondo è una risposta di Zangheri, cui segue, lo stesso giorno, un’ulteriore replica

Per ora mandano Alice in castigo

Elvio Fachinelli

La chiusura di Radio Alice e, poco dopo, delle altre radio che le hanno offerto ospitalità, è un fatto talmente nuovo che può cercare spiegazione soltanto in una situazione considerata di totale emergenza da chi l’ha ordinata. Tenuto conto delle differenze storiche e dell’importanza assunta dalle radio per i giovani, è come se negli scorsi anni il ministero degli Interni avesse chiuso Lotta continua e giornali analoghi perché alcuni loro cronisti avevano commesso reati di stampa, o eventualmente anche d’altro genere, più semplicemente perché avevano dato versioni dei fatti «non conformi».

In quei tempi, non certo tra i più felici di questo paese, nessuno proclamò, come ha fatto nei giorni scorsi il ministero degli Interni a proposito delle radio libere, l’intenzione di sradicare gli «strumenti» stessi del dissenso anziché incolpare eventualmente i singoli responsabili. E il silenzio o la reticenza di molti giornali in merito la dice lunga sul significato reale di molte «battaglie» condotte dai giornalisti in questi anni a favore di giornali passivi per miliardi e alla fine più o meno direttamente scaricati sulla collettività.

A motivazione della chiusura è stato anche invocato il fatto che Radio Alice non era in regola dal punto di vista della normativa di corporazione. Certamente, nessuno dei redattori di Radio Alice ha passato gli esami per diventare giornalista; e forse mai nessuno li passerà: eppure alcuni di questi «corrispondenti scalzi» sono stati, negli ultimi due anni, tra coloro che più inventivamente hanno lavorato nel campo della comunicazione in Italia.

Forse i grandi professionisti dell’informazione e i cattedratici che «fanno un salto sulla sedia» appena gli telefona il direttore dell’importante settimanale non se ne sono accorti; anche se il loro compito sarebbe, si presume, di accorgersi di quel che succede nel magma. 

Ma bastava scorrere Alice è il diavolo, uscito poco prima dei fatti di Bologna, per rendersi conto che qui parlava una voce dal magma, certamente irritante, stridente, insopportabile spesso per molti, non escluso chi scrive queste righe; ma una voce che non si perderà certo per gli interventi a patta d’orso di un ministro o per le ossessioni complottarde di un sindaco svegliato di soprassalto dal sogno di essere al centro della città più felice d’Europa.

 

Il sindaco di Bologna ci scrive…

Renato Zangheri

Elvio Fachinelli mi prende per il bavero sull’Espresso e non sarò io a rispondergli, poiché hanno già risposto tanti bolognesi, compresi gli studenti, a chi credeva ingenuamente o meno che i fatti di Bologna fossero accaduti per un seguito di casi fortuiti. Vorrei solo chiedere a questi nuovissimi liberali, per i quali incitare a uccidere è «irritante», tutt’al più, se ritengono che i bersagli delle incitazioni a delinquere debbano starsene fermi, ad aspettare i colpi. E se venuti i colpi, i neoliberali applaudiranno (la domanda va al di là del caso Fachinelli). Non sarebbe però nuova. Si trovarono nel 1920 fior di intellettuali a incitare i fascisti, rivendicarne la libertà, applaudirli. Certo, Radio Alice non è fascista. È ben più suadente, new look. Piace, a parte qualche fortuito messaggio eversivo. E non è lecito chiamare fascista chi ha invitato graziosamente ad attaccare fisicamente il segretario della sezione universitaria comunista. Non sarebbe fair. Anzi, si commetterebbe un grave errore storico. La storia è discrezione, ci hanno insegnato. E tuttavia non taceremo, per ragioni di nomenclatura, il nostro giudizio. E non assisteremo impotenti all’eversione, sia pure propinata in raffinate dosi semiologiche. No, non può essere consentito chiamare a uccidere. Questo apre, ne sono convinto, un delicato problema di garanzie della libertà di informazione. Discutiamone, senza le invettive dei Fachinelli. Personalmente non sono certo che sia corretto assimilare a un giornale una radio che trasmette ogni minuto senza un responsabile. Ma la libertà delle radio deve essere garantita, e i comunisti non sono e non saranno in seconda linea in nessuna battaglia di libertà.

 

Replica di Elvio Fachinelli

Signor sindaco,

quale onore! Per uno come me che sopravvive a Milano, la sua celerità nel rispondere ha qualcosa di incredibile. Però lei mi spara addosso col cannone! col rombo delle masse! e io, non disponendo di tali armi, mi vedo costretto a inviarle alcuni messaggi rapidi con la cerbottana.

Signor sindaco, dov’è il complotto? In questa storia, io l’ho nominata solo per il complotto (La Repubblica, 15 marzo: «Zangheri: c’è stato un complotto»). Ora non ne vedo più traccia. È sparito? insieme ai forestieri? Ha forse fatto la fine di tutti quei complotti che nella storia, dall’incendio del Reichstag sino alla congiura dei medici ebrei hanno funzionato da «esorcismi» della realtà, per un potere incapace di vederla, o voglioso di distruggerla?

Ma lei crede sul serio che io sia liberale, sia pure semiotizzante, e Radio Alice fascista, sia pure new look? L’università italiana deve essere davvero in crisi, se i suoi professori non trovano altro, per concettualizzare una situazione così diffluente e complicata come quella di oggi, che un ricorso meccanico all’analogia storica. E se in Italia la storia è una sorta di sinistro ritorno dell’identico, chi è lei, signor sindaco? L’onorevole Treves del «discorso dell’espiazione» (30 marzo 1920; toh, che curiosa analogia con la politica dell’austerità: cfr. Gramsci, Quaderni del carcere, I, pp. 319-20 e ivi, p. 2592)? O quel ministro di re Bombino che proclamava: «Gli insorti sono dispersi e vanno rientrando nei rispettivi comuni scorati e abbattuti per essersi lasciati ingannare dai fomentatori stranieri»?

La «spontaneità» si manifesta con «scene selvagge»: non è questa la più chiara dimostrazione di una «scissione tra i programmi sonori e i fatti miserabili» (Gramsci, ibid.)? Perché non riconoscervi, insomma, un grave problema interno della sinistra in difficoltà? E che non si risolve certo dandone la colpa agli intellettuali e ai provocatori fascisti?

Nel caso specifico: mi può indicare una sola virgola, in cui abbia incitato i nuovi fascisti? Ed è stata Radio Alice a uccidere Francesco Lorusso?

Inoltre: ho chiesto una responsabilità individuale per ciascun redattore delle radio; lei lamenta la mancanza di un direttore responsabile, come nei giornali. Ma davvero la legge italiana sui giornali le sembra l’optimum? Non ha mai sentito parlare di Marcello Baraghini, costretto a diventare uccel di bosco per aver consentito a decine di pubblicazioni di uscire contro le disposizioni corporative sulla stampa? Forse è vero che in questo campo i comunisti non sono secondi a nessuno. Ma le sembra che siano i primi?

E infine: se io parlo delle sue visioni complottarde, lei replica rifiutando sdegnosamente le «invettive» mie e dei miei omonimi. Ma signor sindaco, l’ironia non è l’invettiva. L’ironia può essere scambiata per invettiva solo in un paese in cui il dissenso passa per provocazione. Ha creduto, anche solo per un attimo, di essere a Danzica? o a Kiev? Con i migliori saluti.

 

 

L’Espresso, n. 12, 27 marzo 1977, e n. 13, 3 aprile 1977 (lettera di Zangheri e replica di Fachinelli)