editoriale

#3 la settimana europea: Juncker un presidente già vecchio

Tra un piano di investimenti senza budget e lo scandalo LuxLeaks, il Presidente della Commissione Europea […] Juncker non volta nessuna pagina, ma continua a ripetere il solito vecchio ritornello.

Mercoledì 26, come previsto, Juncker ha presentato il piano di investimenti che aveva promesso nei giorni della sua nomina come Presidente della Commissione Europea. Doveva essere un grande piano di investimenti, 300 miliardi, addirittura c’era chi vociferava 800 miliardi, il new deal per l’Unione Europea…

L’EFSI (European Fund for Strategic Investment), definito da Juncker “il più grande sforzo finanziario nella storia recente della Ue” ad oggi ha un budget stanziato di 21 miliardi euro: 5 miliardi saranno presi dal budget della Banca Europea per gli investimenti e 8 miliardi da altri programmi esistenti (tra cui Horizon 2020, programma per la ricerca e l’innovazione), 8 miliardi sono per ora impegni di pagamento, quindi non ancora disponibili. Agli stati membri non è chiesto di contribuire al fondo, ma se volessero farlo, Juncker promette che “non considereremo i contributi degli stati al Fondo Investimento nei calcoli Patto stabilità”.

Ma Juncker vuole ottenere dai 21 miliardi iniziali ben 315 miliardi di euro! Praticamente il fondo dovrebbe riuscire a produrre da ogni euro inziale ben 15 euro. Ma come? La BEI (Banca Europea degli Investimenti), con la tutela dell’EFSI, potrà emettere bond per raccogliere fino a 60 miliardi sui mercati finanziari. Il fondo però potrà partecipare ai progetti selezionati solo per il 20%, il restante 80% dovrebbe essere finanziato da investitori privati. Sono già 1800 i progetti presentati dalle istituzioni locali e nazionali dei paesi membri, solo l’Italia ne ha presentati 400. Chiaramente c’è già una squadra di tecnici pronta a selezionare i migliori progetti degni di finanziamento (forse la Torino-Lione? O gli inceneritori? Prechè non il Mose?). Del resto – ci ripete Juncker – non è più il momento delle lotte ideologiche, bisogna invece adottare riforme affinché l’Europa torni ad essere un spazio interessante dove investire.

E ancora una volta si annuncia che l’Europa sta finalmente cambiando pagina, questo sarò quello schock positivo – parole del ministro Padoan – che tutti aspettavamo. Ma è lo stesso Padoan nel suo discorso al Parlamento a dire che in un momento di domanda aggregata debole – come quella attuale – non si può fare affidamento sull’investimento privato, al contrario c’è bisogno di investimenti pubblici. Eppure questo piano conta sul fatto che per ogni miliardo emesso dalla BEI altri quattro verranno da finanziatori privati. In un momento di stagnazione e crescita economica negativa ci sembra quanto mai esagerato sperare in un effetto moltiplicatore di tale portata. Del resto oggi l’economia politica non è forse questo: fiducia, fede e positività – come non smette mai di ripetere Renzi! Ma poniamo anche il fatto che un tale esperimento di ingegneria finanziaria riesca, rimane comunque il problema che i profitti di tali investimenti verrebbero lasciati tutti nelle mani degli investitori privati, secondo la logica – forse non poi così logica – dei partenariati pubblico-privati. In ogni caso il piano si prefigge di creare nel migliore dei casi 1,3 milioni di posti di lavoro, quando l’Unione Europea a 28 conta più di 25 milioni di disoccupati.

Ma non dimentichiamo che accanto a questi “fantomatici investimenti pubblici” bisogna applicare riforme che migliorino il “business environment”, o meglio che rendano il sistema delle relazioni industriali completamente favorevole al capitale finanziario e alla grande industria. E tutto ciò deve avvenire in un sistema in cui i conti pubblici siano sempre tenuti sotto controllo. E l’Italia non scordi mai di essere sorvegliata speciale e che il prossimo esame dei compiti a casa è solo rimandato a marzo. Forte del suo piano di investimenti – moneta di scambio con i socialisti europei che ora potranno dire di aver fatto un passo oltre le politiche di austerity – Juncker giovedì 27 si è presentato di nuovo di fronte al Parlamento per affrontare il voto di sfiducia richiesto dai Cinque Stelle dopo lo scandalo LuxLeaks. Hanno votato ha sfavore della mozione 461 deputati, mentre per la fiducia del Presidente della Commissione il 22 ottobre scorso avevano votato a favore 423 deputati: il voto si è risolto in successo per Juncker!.

LuxLeaks è un’inchiesta internazionale sul regime fiscale del Lussemburgo, portata avanti da una rete internazionale di giornalisti, l’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), pubblicata contemporaneamente da quaranta giornali europei lo scorso 6 novembre. Dopo avere studiato più di 28mila documenti riservati, l’inchiesta ha denunciato il regime fiscale agevolato che il Lussemburgo ha concesso ha più di 340 multinazionali tra il 2002 e il 2010, mentre Juncker era Primo Ministro. Sono 31 le aziende italiane coinvolte, tra cui: Intesa San Paolo, Unicredit, Banca Marche e Sella, Finmeccanica, Fiat. Alcune di queste multinazionali sono riuscite a pagare meno dell’1% di tasse. Juncker per le compagnie più importanti – tra cui Apple – ha curato le trattative personalmente.

Ecco come funziona il mercato unico in Europa: le aziende sono libere di muoversi dove il regime fiscale è più favorevole, potendo definire il trattamento fiscale in anticipo, mentre ai lavoratori “emigrati interni” vengono persino negati i sussidi di disoccupazione; le banche possono ricevere aiuti di stato mentre “le municipalizzate” che gestiscono beni comuni come l’acqua devono essere privatizzate. In tutto questo il piano d’investimento di Juncker si risolverà – al meglio – in un ennesimo regalo al capitalismo stanco del vecchio continente.