ROMA

1974-2019, Fabrizio Ceruso vive: voci e lotte dalle periferie romane

Dalla giornata di dibattiti, musica e sport popolare di mercoledì 3 al corteo di sabato 7 settembre: una settimana di iniziative per ricordare Fabrizio Ceruso e per restituire la voce delle periferie romane

Pare che già poco tempo dopo la sua affissione la polizia tentò di rimuovere la lapide in ricordo di Fabrizio Ceruso, giovane manifestante di 19 anni ucciso da un proiettile delle forze dell’ordine durante la rivolta di San Basilio del 1974. Due anni più tardi anche la magistratura ne chiedeva la cancellazione, forse consapevole dell’importanza simbolica che rivestiva – e ancora riveste – per la “tradizione antagonista” del quartiere. Ed è infatti proprio dalla targa in onore del militante di Tivoli, ora sita in via Fiumana, che ha inizio il corteo di sabato 7 settembre nell’ambito della settimana di mobilitazione “1974-2019. Fabrizio Ceruso vive!”.

Una settimana di iniziative – fra San Basilio, Donna Olimpia, Tivoli, Casal Bruciato – che prova a restituire attraverso varie forme la “voce delle periferie”, mettendo al centro della discussione il diritto alla casa e il potenziale che questo tema potrebbe avere nel generare una cultura alternativa, auto-organizzata e consapevole delle proprie specificità. «Si tratta di affermare i propri valori, senza però snaturarsi – dice Michele Rech, in arte Zerocalcare, presente al primo appuntamento di martedì 3 settembre – l’occasione offerta da giornate come questa è appunto quella di trovare un modo per ritrovarsi e raccontarsi». Il primo punto da scardinare infatti è quello della retorica: «I media mainstream vedono queste aree della città sempre soltanto in due modi – spiegano gli attivisti del Centro Popolare San Basilio, occupazione nata durante la giunta Veltroni – da una parte, la narrativa del degrado per cui nelle periferie ci sarebbero soltanto criminalità, rifiuti e povertà; dall’altra, il pietismo di chi invece concepisce le zone lontane dal centro come comunità abbandonate a se stesse, prive di strumenti di riscatto e bisognose di aiuti dall’alto».

In questo senso, la prima giornata “Roma siamo noi” ha provato appunto a coniugare sport, musica e dibattiti, costruendo, di fronte a tanti partecipanti, una presa di consapevolezza sulla storia del quartiere e delle sue lotte, ricercando delle forme di riconoscimento comune nel presente e di possibile rilancio futuro delle rivendicazioni. Tanti gli interventi nel dibattito: Zerocalcare, che ha messo a fuoco l’importanza dell’autogestione a partire dalla “sua” Rebibbia; il cantautore Alessandro Mannarino, cresciuto a San Basilio, anzi, come sua madre gli consigliava di dire per la cattiva nomea della zona, “fra la Nomentana e la Tiburtina”; Federico Giglio, attivista del Centro Popolare San Basilio e militante della Federazione del Sociale Usb; Maria Vittoria Molinari, attiva a Tor Bella Monaca con il sindacato di base Asia Usb; Sukena, ex-abitante dell’occupazione di Primavalle sgomberata il 15 luglio dopo più di 10 ore di resistenza; infine, il musicista Franco Ricciardi, che ha chiuso la serata con un concerto “da ring” fra Gomorra e “narrazioni periferiche”.

Quasi tutti gli ospiti hanno evidenziato come le esigenze e le richieste di inclusione che arrivano dalle periferie vengano spesso eluse da chi, fra amministrazioni comunali e regione, dovrebbe invece farsene carico. In particolare, la questione centrale da cui è necessario partire per immaginare un qualsiasi “riscatto” sembra essere quella dell’accesso alla cultura. Un “accesso alla cultura” inteso ovviamente in senso lato come garanzia di opportunità educative per tutti, moltiplicazione dei luoghi e momenti di aggregazione e socialità, messa a disposizione di strumenti con cui poter elaborare offerte artistiche e di scambio intellettuale che partano dal basso.

 

Galleria fotografica di Simone Nigrisoli

 

Proprio per questo, fra le principali attività ospitate nel centro c’è la scuola popolare “A testa alta”: un’iniziativa nata da militanti impegnati in ambito educativo e pedagogico. San Basilio è il quartiere di Roma che presenta il più alto tasso di abbandono scolastico (20% contro una media nazionale che si aggira attorno al 14%) e il difficoltoso accesso a percorsi formativi rappresenta un problema cronico (attualmente nell’area sono presenti tre istituti). «La questione è innanzitutto quella delle prospettive future – raccontano alcuni educatori ed educatrici di “A testa alta” – Molti ragazzi e ragazze del quartiere si sentono esclusi a priori dalla carriera scolastica e per loro, semplicemente, intraprendere una strada simile non è un’opzione. Il fenomeno dello spaccio, che interessa alcune zone di San Basilio e viene spesso cavalcato dalla narrativa mainstream, si alimenta proprio con queste dinamiche: per molti costituisce l’opportunità di “occupazione” più semplice, quando non l’unica possibile. Quello che cerchiamo di fare con i ragazzi è quindi provare a instillare dei dubbi, immaginare con loro vie alternative. Il punto è mettersi in ascolto: non abbiamo una serie di attività prefissate dall’alto, ma di volta in volta si capisce insieme che cosa risponde meglio alle esigenze di chi vive il contesto di disagio e illegalità».

San Basilio, come altre borgate storiche della capitale, nasce in qualche modo già “condannata” all’esclusione. Progettata e costruita fra il 1927 e il 1930 (inizialmente con abitazioni di natura provvisoria), viene pensata dal regime fascista per ospitare le persone evacuate durante gli “sventramenti” del centro storico. Fin da subito la popolazione vive “ghettizzata” in un’area estremamente lontana dal resto della città, quasi per nulla collegata (ancora oggi San Basilio non ha una sua fermata della metro) e priva dei servizi fondamentali. Dopo la seconda guerra mondiale il quartiere viene ulteriormente allargato con la costruzione di numerosi lotti di caseggiati popolari, finanziati anche attraverso gli aiuti del piano Marshall. È già in questa fase che il meccanismo delle assegnazioni comincia a creare frizioni fra gli abitanti dei primi insediamenti – ormai in condizioni di totale sovraffollamento – e i nuovi “residenti” che affluivano nella zona, in una dinamica destinata a segnare molti degli episodi relativi alla lotta per la casa nelle borgate romane.

È infatti in seguito alla decisione di destinare alcuni caseggiati di San Basilio agli sbaraccati delle aree di Villa Gordiani e Tiburtino III che si formano le occupazioni dell’estate del 1973. Centinaia di famiglie del quartiere, bisognose di un alloggio ed estromesse dalle graduatorie, “prendono” gli appartamenti dell’Istituto Autonomo Case Popolari in via Montecarrotto, dando il via a un movimento di lotte per la casa che si estende presto ad altre zone della città. L’azione, in particolare a San Basilio, si inserisce comunque in un contesto che aveva già conosciuto una notevole mobilitazione dal basso: durante gli anni ‘50 e ‘60 ci furono numerose altre occupazioni, esperienze di “scioperi al contrario” per cui gli abitanti della borgata costruirono strade e cartelli per rendere più funzionale l’area e si diffuse fra i residenti delle case popolari la pratica dell’autoriduzione delle bollette contro il caro-vita. Ma nel 1973 – complici anche le politiche di austerità adottate in seguito alla crisi petrolifera – l’ondata di iniziative per il diritto abitativo si fece più intensa e appunto maggiormente diffusa sul territorio, vedendo tra l’altro una partecipazione crescente di gruppi della sinistra extra-parlamentare a sostegno della popolazione delle borgate.

In via Montecarrotto, dopo i primi mesi in cui la situazione sembrava essersi risolta a favore degli occupanti, il 5 settembre del 1974 le autorità decidono un intervento di forza. In mattinata la polizia entra nel quartiere per sgomberare gli appartamenti, mentre la notizia inizia a circolare e i militanti di altre zone della città accorrono a San Basilio. Si verificano alcuni scontri, le famiglie vengono evacuate dagli appartamenti per poi farvi ritorno la sera stessa. La giornata successiva si ripete la resistenza contro le forze dell’ordine, vengono erette barricate e la protesta da parte degli abitanti si fa ancora più dura sino a strappare finalmente un tavolo per le trattative.

Domenica 8 settembre, però, verso le cinque del mattino la polizia fa nuovamente irruzione negli appartamenti. L’amministrazione comunale e il governo erano probabilmente decisi a mandare un segnale agli abitanti di San Basilio e al movimento di lotta per la casa, facendo capire che non avrebbero più tollerato alcuna iniziativa di riappropriazione dal basso. La repressione dei celerini e le conseguenti reazioni da parte degli abitanti diventano ulteriormente violente: compaiono armi da fuoco, cariche e lacrimogeni sono sempre più frequenti. È attorno alle 19.00 nei pressi di via Fabriano che Fabrizio Ceruso, arrivato da Tivoli in supporto dei manifestanti, viene raggiunto al petto da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine. A nulla servono i soccorsi.

L’evento, che quest’anno viene ricordato nel suo quarantacinquesimo anniversario, rappresenta un punto di svolta per San Basilio e per il movimento per il diritto all’abitare. In seguito all’uccisione del giovane militante di Lotta Continua, viene predisposto il ritiro dei contingenti di polizia dal quartiere e le abitazioni di via Montecarrotto vengono legittimamente assegnate agli occupanti. È il segno che, anche se in questo caso con risvolti tragici, la lotta paga. Fabrizio Ceruso diviene subito il simbolo della determinazione e della coesione della realtà di un quartiere che ha saputo affermare la dignità di chi protesta. Oggi, la figura di Fabrizio ricorda quanta importanza rivestano solidarietà e connessione di istanze e azioni fra diverse esperienze e contesti.

Proprio a questo nodo si è accennato durante la serata del 6 settembre presso la Casa del Popolo di Casal Bruciato. La famosa immagine di una donna che indica ai celerini la via per andarsene, i caschi delle forze dell’odine che fronteggiano gli abitanti della borgata dall’altro lato della strada, sit-in improvvisati sul selciato: durante l’esposizione fotografica degli scatti di Tano D’Amico, organizzata in piazza Balsamo Crivelli, alcune persone si riconoscono, raccontano gli episodi e il clima di quei giorni. Un protagonista della lotta per la casa ricorda: «Dopo anni di battaglie e occupazioni, ci spostarono da Borghetto Prenestino qui a Casal Bruciato e devo dire che l’accoglienza del quartiere non fu solidale e aperta fin da subito. Non dobbiamo mai dimenticarci che si è cercato di utilizzare il malessere delle borgate per metterci l’uno contro l’altro». È anche a un simile rischio che la settimana di mobilitazione in ricordo di Fabrizio Ceruso prova a dare risposta. Se prima il malcontento delle periferie si dirigeva a volte verso chi veniva sgomberato e riassegnato da altre aree, oggi è chiaro come le politiche abitative e la propaganda elettorale giochino spesso sulla questione migratoria per alimentare divisioni e per squalificare magari esperienze di lotta e autogestione. Durante il corteo di sabato – che ha attraversato San Basilio sino ad arrivare alla fermata metro di Rebibbia – viene dichiarato a gran voce: «Sappiamo che non c’è alcun governo amico. Si cerca sempre di alimentare la guerra fra poveri, ma noi non ce la beviamo».

 

Galleria fotografica di Francesco Brusa

 

Attorno a queste parole e al ricordo di Fabrizio, centinaia di persone hanno reso omaggio al militante di Tivoli passando per luoghi che rappresentano la prosecuzione della sua lotta nel presente e nel recente passato: la manifestazione si è fermata nei pressi del Centro Popolare, in via Merchelli nella parte “nuova” del quartiere che, più delle altre, è ora lasciata a se stessa e caratterizzata dal fenomeno dello spaccio, ma anche sulla via Tiburtina di fronte alla struttura industriale (ancora dismessa) che fu occupata dai “figli di San Basilio” durante lo “Tsunami tour” del 6 aprile 2013. Tracce tangibili di come, se ancora ci fossero dei dubbi, l’emergenza abitativa e il diritto alla casa siano questioni ben lungi dall’essere risolte: a Roma ci sono oggi circa 12mila persone in attesa dell’assegnazione di alloggi popolari, mentre a partire dalla delibera Tronca di due anni fa si è dato il via a una serie di sgomberi coatti spesso senza prevedere sistemazioni alternative.

Si tratta di un intreccio di responsabilità politiche fra Comune, Regione (che ha messo in vendita di recente alcuni caseggiati di edilizia popolare) e Prefettura, unita alla connivenza con l’ambiente dei palazzinari che da anni allungano le proprie “mani” sulla città. Un intreccio a cui – ed è questo soprattutto il senso della settimana di mobilitazione “1974-2019. Fabrizio Ceruso vive!” – è sempre più necessario provare a dare nomi e cognomi. Se si vuole evitare che abbiano successo le strategie divisive e disinnescare la propaganda anti-migranti che spinge verso la guerra fra poveri, occorre individuare e indicare con forza i centri di potere e chi li detiene. Consapevoli di come, in un tale processo, fondamentali saranno la capacità di mobilitazione della “Roma solidale” e di chi, quotidianamente, lotta per vedersi riconosciuto il diritto alla dignità.

D’altronde, come canta Franco Ricciardi in “167” (canzone che prende il nome dalla legge in materia urbanistica 18 aprile 1962 n. 167, da cui sono nate le Vele di Scampia): «chest è a 167… e po’ succerere ‘o 48».

 

Foto di copertina di Francesco Brusa