PRECARIETÀ

#14n Scuola, università, ricerca è ora di sciopero sociale

Scuola, università, ricerca. L’intero mondo della formazione è sotto l’attaco di Renzi e di Giannini. Per questo il 14 novembre necessario rimettersi in movimento. Incontriamoci mercoledì 5 novembre alle ore 16,00 per un’assemblea pubblica nella facoltà di Fisica (la Sapienza).

Scuola, università,ricerca. L’intero mondo della formazione è sotto attacco. Renzi e i suoi ministri, fondatori del nuovo centrosinistra neoliberale, ormai pericolosamente inchinato ai totem della concorrenza e della selezione, della finanza e del mercato, del merito e della valutazione, della privatizzazione e dell’aziendalizzazione, marciano nel solco tracciato dai governi precedenti; portando a compimento in modo quanto mai feroce i programmi scellerati e le riforme devastanti di Berlusconi e Gelmini.

L’attacco frontale è oggi al mondo della scuola. Il piano della “Buona Scuola” reintroduce e rafforza tutti i cambiamenti che erano previsti dal ddl Aprea e che sono stati respinti con forza dai movimenti studenteschi del 2011 e del 2012. I punti cruciali portano a compimento il processo di privatizzazione e aziendalizzazione della scuola. I presidi saranno trasformati in veri e propri manager, in grado di attribuire premi salariali ai docenti, e a loro volta retribuiti in rapporto alla valutazione che mette in competizione i singoli istituti. Gli studenti saranno esclusi dagli organi collegiali, il cui potere verrà eroso in favore di una gestione imprenditoriale attribuita sempre di più ai singoli dirigenti scolastici. La scuola dovrà farsi definitivamente impresa: gli istituti dovranno di fatto rendersi attraenti rispetto agli investitori privati e competitivi per accaparrarsi i miseri finanziamenti pubblici messi in palio tramite i meccanismi di valutazione. Nell’ottica dell’alternanza scuola lavoro poi gli studenti verranno immessi, tramite “l’apprendistato sperimentale”, in un sistema lavorativo totalmente gratuito, che addirittura prevede sgravi fiscali per le imprese che potranno avvalersi gratuitamente del lavoro degli studenti! Questa è la scuola-impresa garantita dalla Buona Scuola di Renzi.

Per i docenti, gli scatti salariali non saranno più in base all’anzianità, bensì al merito. Un apposito organo di valutazione interno agli istituti definirà un 66% di docenti “meritevoli”, che avranno degli irrisori aumenti salariali. Un meccanismo perverso che gerarchizza il corpo docente ed aumenta ulteriormente i dispositivi di controllo interni agli istituti.

L’università è ormai definitivamente rifondata dalle macerie in cui l’avevano ridotta decenni di tagli ai finanziamenti pubblici e la distruzione di qualunque forma di diritto allo studio, con il calo costante delle iscrizioni e il dramma sociale che ne consegue. Gli strumenti di questa rifondazione vanno ricercati nelle riforme che dell’autonomia accademica non hanno lasciato che gli aspetti più feudali con la conseguente chiusura degli spazi di democrazia nella gestione degli Atenei, nelle riforme che gettano gli atenei pubblici in una concorrenza sfrenata con gli istituti privati per accaparrarsi quelle poche risorse disponibili, nel definitivo assestamento di un ordinamento accademico che svilisce la qualità e l’autonomia della didattica e dei saperi, nella creazione e nel successivo innesco di un meccanismo di valutazione ed accreditamento che vuole tendere alla chiusura e alla “razionalizzazione” di corsi di laurea e dipartimenti. A un sistema universitario così ridotto, il governo Renzi non sa rispondere che con un ulteriore taglio del FFO di 287 milioni previsto nella Legge di Stabilità, e con l’investimento irrazionale negli istituti di eccellenza che – in nome della meritocrazia, o in altri termini dell’ideologia del mercato – mascherano malamente lo smantellamento dell’intero sistema accademico nazionale.

Un trattamento simile è riservato alla ricerca, sia pubblica sia privata, settore popolato da figure tra le più precarie del mercato del lavoro. Qui, il definanziamento costante costringe alla perdita totale di autonomia nelle linee di ricerca, all’asservimento forzato alle logiche di mercato più escludenti, all’abbandono di qualunque progettualità creativa e innovativa sia nell’ambito scientifico che in quello umanistico, alla resa frequente ai meccanismi di competizione settorializzazione piuttosto che alla valorizzazione di quelli virtuosi di cooperazione interdisciplinare.

Quello che si sta delineando è un modello di istruzione che pretende di distribuire risorse e diritti sulla base di presunti criteri meritocratici, fondati su meccanismi di valutazione che, a maggior ragione in assenza di fondi, si rivelano per quello che sono: strumenti di disciplinamento e di approfondimento delle disuguaglianze esistenti.

E’ un modello di istruzione ad uso e consumo delle aziende, che, sulla base dei propri interessi, stabiliscono criteri, linee guida, fortune e destini di scuola, università e ricerca; aziende che, grazie all’implementazione del ricorso all’utilizzo del lavoro gratuito o sottopagato di stage e tirocini, potranno avere a disposizione sempre più manodopera ricattabile e a basso costo attingendo direttamente da un bacino sempre più ampio di studenti o di neolaureati alla ricerca disperata di un posto di lavoro.

E’ infatti un modello di istruzione funzionale al mondo del lavoro precario che si va definitivamente configurando con il dl Poletti e con il Jobs Act in approvazione: con tali provvedimenti la precarietà è istituzionalizzata come condizione perpetua e sistematica. Smantellando diritti e welfare, tutele e garanzie, la flessibilità e l’occupabilità a costo zero, il lavoro gratuito e sottopagato, stage e tirocini (vedi il modello Expo 2015) sono le condizioni a cui, con la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, con la libertà di licenziare, con le nuove poltiche in materia di ammortizzatori sociali, con programmi “di inserimento nel mondo del lavoro” come la Youth Guarantee, migliaia di giovani dovranno sottostare, vedendo come unico futuro possibile proprio quella precarietà che Renzi racconta in tv di voler cancellare.

Quella precarietà a cui da anni sono sottoposti docenti, ricercatori e personale di servizio.

Quella precarietà e quella ricattabilità che diventano le uniche condizioni lavorative per migliaia di docenti con il piano di riforma del governo.

Occorre allora mobilitarsi per invertire la rotta!

Dobbiamo imporre un’altra idea di scuola, di università e di ricerca, in cui il valore sociale non sia fondato su logiche di profitto, ma garantito dall’ indipendenza e dall’autonomia dei saperi, dalla cooperazione in luogo della competizione, dalla gestione democratica e partecipata degli istituti e dei processi formativi, dal rifinanziamento corposo del diritto allo studio, che in questi anni è stato depredato e reso di fatto inesigibile dai continui tagli nazionali e regionali, e che invece dovrebbe avere la forma di un vero e proprio welfare di base per i soggetti in formazione, da tutele e diritti, dalla continuità del reddito e del lavoro per i lavoratori della conoscenza, che ormai in larghissima parte vedono svilito il proprio ruolo, costetti al ricatto della precarità, al dramma della discontinuità occupazionale, alla quotidiana fatica dell’inadeguatezza retributiva.

Dobbiamo rifiutare il Jobs Act, dobbiamo rifiutare l’idea per cui a più flessibilità, a meno tutele e diritti, corrisponderebbe più occupazione, l’idea per cui stage e tirocini faciliterebbero l’accesso al mondo del lavoro. I dati dicono il contrario. La flessibilità delle tipologie contrattuali è aumentata costantemente negli ultimi vent’anni (ad oggi il 70% dei neoassunti ha un contratto a tempo determinato), ma questo non ha impedito una crescita esponenziale della disoccupazione. Uno stage in azienda garantisce statisticamente un misero 10% di possibilità di assunzione e a malapena un 6% in più di possibilità di trovare lavoro.

L’unico lavoro che vogliamo, per il futuro di milioni di giovani, per il presente di milioni di lavoratori è un lavoro con le garanzie di minimi retributivi dignitosi, di un salario minimo europeo, di tutele e forme di welfare universali e incondizionate, di un reddito di base che consenta di resistere al ricatto della disoccupazione.

Per questo abbiamo oggi la necessità di unificare i percorsi, le battaglie e le rivendicazioni, di costruire collettivamente come mondo della formazione la giornata del 14 novembre: abbiamo l’esigenza di discutere, elaborare e immaginare le pratiche che metteremo in campo per lo sciopero sociale, per renderlo tale, per concretizzare politicamente uno sciopero che permetta di scioperare anche a chi non gode del diritto di sciopero oppure non può effettivamente esercitarlo; uno sciopero che sorpassi le divisioni di settore, di ordine e di categoria.

Per questo dobbiamo costruire momenti di confronto, assemblee pubbliche, larghe e partecipate in cui studenti medi e universitari, professori della scuola primaria e secondaria, personale ATA e amministrativo, dottorandi, ricercatori di ogni grado e docenti universitari possano incontrarsi, omogeneizzare le rivendicazioni, saldare e rendere credibile una narrazione forte e alternativa alla retorica renziana.

Il 14 novembre sarà sciopero sociale!

Chiediamo ai docenti universitari un blocco della didattica universitaria e una sospensione di tutte le attività accademiche, che permetta la partecipazione degli studenti alle mobilitazioni e che serva come segnale chiaro al governo della necessità del cambiamento della rotta nelle politiche universitarie.

Invitiamo dottorandi e ricercatori ad interrompere le attività di ricerca e soprattutto a sospendere l’esercizio delle troppe mansioni non retribuite o mal retribuite che quotidianamente svolgono dentro e fuori gli Atenei e che, sole, hanno garantito negli ultimi anni il funzionamento di un sistema accademico sull’orlo del collasso.

Invitiamo gli studenti di ogni ordine e grado a scendere in piazza in quella giornata e a mettere in atto tutti i meccanismi di blocco e boicottaggio del funzionamento scolastico e universitario che possano contribuire alla riuscita di uno sciopero che sia effettivamente sociale e generalizzato.

Invitiamo tutti i lavoratori della conoscenza all’adesione allo sciopero generale convocato dai sindacati di base, consapevoli che la povertà diffusa, l’insufficienza dei salari e la discontinuità del reddito incidono sulla possibilità materiale di praticare l’astensione dal lavoro, ma convinti che soltanto una mobilitazione generalizzata possa restituire la possibilità di aprire spazi di contrattazione che sappiano migliorare le condizioni materiali di vita e di lavoro.

Invitiamo infine chiunque a farsi portavoce di queste istanze presso tutte le reti, i collettivi, i gruppi e le strutture associative e sindacali che insistono sul mondo dell’istruzione e della formazione, con l’obiettivo di dare forza a quella voce unitaria che vuole dire basta a chi quel mondo lo ha già distrutto o vuole continuare a distruggerlo.

Convochiamo un’assemblea pubblica per mercoledì 5 novembre, ore 16, presso l’aula Majorana del dipartimento di fisica della Sapienza, per continuare a confrontarci su questi temi, incrociare le nostre lotte, le nostre istanze, dare vita a un percorso unitario e decidere, tutte e tutti insieme, veramente, le forme della mobilitazione del 14 novembre. Consapevoli che sarà solo un primo passo, ma che sarà un passo decisivo per la possibilità di dare vita ad un’opposizione duratura ed efficace a questo governo, ad una messa in discussione di un esistente che troppo spesso in questi anni ci è stato presentato come ineluttabile.