ROMA

LIDL: ancora un supermercato chiuso per abusivismo

Un supermercato che aveva aperto i battenti violentando un’area verde a Roma Est è stato chiuso per abuso edilizio. Le ragioni di una lotta incessante, portata avanti nell’indifferenza e nell’ostilità dell’amministrazione.

Cos’è

La storia del LIDL è una storia romana. Piccola e grande al tempo stesso. Non grande la quantità edilizia e la tipologia messa in gioco da destinare all’ennesimo supermercato. Grande, anzi grandissima, per molti motivi che il sequestro odierno dell’edificio, a ridosso del giorno della sua “apertura”, permette di mettere in fila e farci capire chi progetta la città e chi la comanda.

Dov’è

Roma nella sua espansione cannibalizza, per permettere la rendita, tutto quello che incontra. Per restare in zona LIDL basta guardarsi intorno. È qui che si è giocato, intorno gli anni 70, il destino della città. È in quel periodo che al Prenestino (ma non solo) si sommano tra loro: la fine del ciclo produttivo delle modeste, ma presenti attività industriali, la costruzione a cascata di palazzi privati “intensivi”, la liberazione di una miriade di aree piccole e grandi dove migliaia di famiglie erano ancora costrette a vivere in baracche. Roma ingoia tutto ciò. Incapace di governare il fenomeno della propria rifunzionalizzazione urbana, trova un antidoto promuovendo un doppio abusivismo. La parcellizzazione esasperata di ogni pezzo di terreno dove tirar su, senza alcun progetto e controllo, case e casette incastrate tra loro. La terziarizzazione degli edifici esistenti e dei nuovi. Uffici e servizi privati al posto della residenza immediatamente, a ridosso di un centro storico che non si è voluto svuotare, ipotecando con la cancellazione del Sistema Direzionale Orientale (SDO) il proprio futuro.

Com’è

La trasformazione ulteriore di questo tessuto ha portato le vecchie fabbriche, come la EX SNIA, quella del lago riscoperto, a diventare oggetto del desiderio di rendita. Si scrive rigenerazione urbana, ma si legge, in questo caso, trasformazione dell’archeologia industriale in una catasta di appartamenti. Poco più in la, è il caso del LIDL, si legge cancellazione di un’area preziosa ambientalmente per far posto ad un servizio commerciale analogo ai tanti che lo circondano. Come è andata a finire alla ex SNIA è noto. Il protagonismo sociale che ha “scoperto” l’esistenza di un lago e ha inferto un duro stop alla speculazione su quell’area. Altrettanto noto è come, anche in questo caso, l’opposizione al progetto viene proprio da chi quel territorio lo abita.

Come si voleva fare

Come succede in tutta Roma dove, in nome di una non meglio definita necessità di recuperare il tanto costruito, chi abusivamente aveva realizzato interventi grandi e piccoli, una volta condonata la propria cubatura, si trova nuovamente messo in gioco nella marea della rendita. Grazie al Piano Casa. Nato nel 2009 con il Governo Berlusconi, da sette anni viene declinato nelle singole regioni. Il Lazio avrebbe potuto da tempo cancellarlo. Zingaretti ha deciso di farlo vivere ancora. Fino al prossimo anno (per ora). Questo è il Piano attraverso cui il LIDL è stato tirato fuori dalla profonda buca scavata per affondare gli alberi presenti in quell’area.

Cosa è successo

Il piano casa, per quanto scellerato bulimico divoratore di cubature, tuttavia qualche numero e qualche regola ce l’ha. Se in premessa dice che è stato fatto per fregarsene di tutte le normative dei piani regolatori e dei vari regolamenti, stabilisce che le cubature da recuperare e far crescere devono risultare inutilizzate almeno dal tempo in cui il piano è stato varato (2009). E qui veniamo al nostro supermercato perché i sigilli apposti finalmente a quell’edificio dicono che le carte non sono in regola perché in quegli edifici, che si giurava essere stati abbandonati e quindi utilizzabili per drenare un mucchio di metri quadri per il supermercato, ancora funzionavano e venivano utilizzati dopo la fatidica data imposta dal piano regionale.

Cosa si sapeva

L’urbanistica sociale messa in campo dai cittadini lo ha sempre sostenuto. Questo e molto altro. Come, questo e molto altro, è andata ripetendo alle istituzioni che non solo non voleva ascoltare, ma, come in altri casi (la demolizione della ex Bastianelli a San Lorenzo, la scomparsa del Fosso delle Tre Fontane), con superbia e sfrontatezza assicurava che tutto era regolare. Dichiarazioni e protervia contro i cittadini che vanno avanti dall’estate del 2015. Riuniti nel Comitato No Cemento a Roma Est, gli abitanti del quartiere hanno ricostruito l’intera storia dell’area, dando vita ad un vero laboratorio urbano dove, attraverso presidi, picchetti, assemblee pubbliche sempre più larghe, si è giunti ad una puntuale ricostruzione degli atti che hanno portato al rilascio del permesso di costruire.

Dall’accesso agli atti, osteggiato in ogni modo dalla proprietà, si ricostruiscono le tante inadempienze e irregolarità. Si guardano le carte. Si analizzano delibere. Si legge il complicato piano regolatore di Veltroni e si scopre che l’area ricade nel Piano Particolareggiato Comprensorio Casilino, ed è inserita, dal 1995, fra quelle di Interesse Archeologico per la L.431/85. Questo è scritto, ma il disegno è discordante. Solo con l’approvazione del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale la questione sarà sanata, ma il Piano, lo strumento che il territorio dovrebbe difendere, è in attesa di essere approvato dalla regione da soli nove anni (!!!). Intanto si naviga a vista. Con concessioni che vengono ritirate e poi riconcesse, con i padroni della catena del supermercato che fanno la voce grossa, con amministratori comunali che addirittura sospendono piani particolareggiati per una loro “rielaborazione”.

Cosa accadeva

Intanto durante gli scavi dei lavori in corso venivano ritrovati ambienti sotterranei e due arcate, mentre il Comune continuava a negare l’accesso agli atti da parte del Comitato. Nonostante il fatto che l’atto che avrebbe dovuto certificare le dismissioni degli edifici preesistenti, necessario secondo il parere della Regione Lazio per dare il nulla osta, non sia mai stato mai prodotto, il cantiere andava avanti per realizzare un immobile con destinazione commerciale per 1.500 metri quadri, attraverso la demolizione e ricostruzione con cambio di destinazione d’uso, come previsto dal Piano Casa. Serviva dimostrare che sull’area esistevano otto manufatti realizzati abusivamente, intorno all’unico realizzato con regolare licenza edilizia negli anni 40. Che successivamente avevano ottenuta la concessione in sanatoria, con destinazione industriale-artigianale ed ospitavano attività produttive. Che non “vivevano” dopo il 2009. Serviva tutto questo. I sigilli che da oggi serrano tutto dicono che non è stato fatto.

Cosa deve accadere

I sigilli non bastano. I cittadini dell’Acqua Bullicante lo sanno bene, ma oltre al danno delle alberature abbattute, del vincolo disatteso, non vogliono subire la beffa di veder diventare questo spazio uno dei tanti spazi sospesi, uno dei rifiuti di cemento che punteggiano la città, come il buco della ex fabbrica Bastianelli a San Lorenzo. Pretendono e lotteranno per far sì che chi ha causato il danno ripristini immediatamente lo stato dei luoghi, ripiantando gli alberi abbattuti. Perché quel posto, così come il vicino lago dell’ex SNIA , deve essere riconsegnato alla città.

Il comunicato dei cittadini di NO Cemento a Roma Est

Venerdì 11 marzo, ore 18, assemblea pubblica in via dell’acqua bullicante 248.