DIRITTI

Impunita Festival: tracciando nuove rotte per l’isola che non c’è

Uno sguardo sulla tre giorni di “Impunita”, Festival indipendente dedicato all’infanzia, uno spazio di incontro e condivisione di saperi.

Nel fine settimana tra il 27 e il 29 Ottobre è accaduto qualcosa di straordinario nella città di Roma. Nel corso di quei giorni, gli spazi del centro sociale Acrobax hanno infatti assunto inedite sembianze, facendosi attraversare da una vitalità dirompente. Un’energia animata dalla creatività e dalla spensieratezza dell’incredibile numero di bambin* e adulti che hanno preso parte al Festival della cultura critica dell’infanzia “Impunita”.

Tre giornate che hanno avuto la capacità di mettere al centro la relazione con l’infanzia, riconoscendola come elemento cardine per la trasformazione radicale del presente. Da dove partire, infatti, se non dall’infanzia per mettere in discussione e quindi ripensare criticamente il tempo presente che viviamo?

Focalizzando l’attenzione su cinque aree tematiche (editoria, scuola e formazione, movimento, migrazioni e saperi, genitorialità), sono stati costruiti spazi di discussione che hanno saputo tenere assieme ragionamento, elaborazione di discorso e pratica esperienziale, nel continuo e radicale tentativo di rompere quella gerarchia materiale e simbolica che rappresenta i/le bambin* esclusivamente come destinatar* di un sapere educativo e pedagogico che gli viene verticalmente trasmesso dagli adulti. Attraverso la valorizzazione e l’intreccio dei ruoli svolti dalle molteplici figure che ruotano attorno all’infanzia – dagli insegnati ai genitori, passando per educator* ed istruttur* sportivi – è stato possibile immaginare una nuova grammatica della pedagogia e dell’educazione in grado di rovesciare quella stessa verticalità.

“Chi impara da chi?” è infatti la vera domanda che, nel corso dei dibattiti, delle tavole rotonde, dei workshop, dei momenti ludici, ha risuonato nelle parole e nei pensieri delle persone presenti. Il Festival Impunita ha lanciato la sfida di costruire una risposta collettiva a questa domanda attraverso una modalità differente: quella della relazione. Una relazione non solo con l’infanzia, incarnata nelle bambine e nei bambini protagost* del Festival; ma anche con una rappresentazione dell’infanzia come condizione permanente nella vita di tutt*.

Da un lato, quindi, la consapevolezza che nell’ambito del rapporto con bambine e bambini si sviluppa un continuo e reciproco scambio cognitivo ed affettivo. Una sorta di strada a doppio senso che, nella relazione stessa, trova fonte vitale di riflessione, messa in discussione, trasformazione. È grazie a* bambin* che impariamo nuovamente a non diffidare del prossimo, a lasciarci stupire dalle novità, a dare senso alle nostre emozioni, a porci e a porre continue domande e a non sottrarci al confronto con gli altri ma anche con noi stess*, con gli errori e i tentativi per imparare da questi ultimi.

 

 

Dall’altro lato, nel corso del Festival, è stata possibile una riscoperta della preziosa relazione con la nostra di infanzia, ossia con gli spaesamenti e le continue esigenze di rinegoziazione delle modalità con cui affrontiamo gli eventi della vita. Impunita ha saputo rovesciare la retorica legata alla “sindrome di Peter Pan”, che dipinge adulti e giovani adulti come soggetti puerili, alla sfrenata ricerca di espedienti che giustifichino la loro opposizione ai processi di crescita e maturazione. Una retorica che non tiene conto degli ostacoli economici, sociali e culturali di questo tempo e che sempre di più diviene funzionale alla costruzione di stereotipi utili a distogliere lo sguardo dalla materialità del presente.

Facendo tesoro dell’enorme portato che il movimento di NonUnaDiMeno ha sedimentato nell’ultimo anno, i giorni di Impunita gettano le basi per organizzare nuove forme di resistenza in grado di valorizzare la relazione con l’infanzia e l’adolescenza, nonché per immaginare collettivamente modalità alternative di “fare comunità”.

Al termine del Festival Impunita ognun*, grande o piccol* che sia, è tornato a casa portando in tasca una mappa immaginaria che traccia nuove rotte per volare sull’isola che non c’è; senza più temere Capitan Uncino o il tempo scandito dall’orologio nella pancia del coccodrillo. Un’isola che non c’è in cui bambini e bambine non sono più sperdut* e dove anche gli adulti possono imparare a volare.