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EDITORIALE

Lo sgombero di Askatasuna è un attacco a tutti i centri sociali

Lo sgombero del centro sociale Askatasuna è un attacco diretto a tutti i centri sociali, agli spazi di partecipazione dal basso e di aggregazione giovanile. È un attacco alla democrazia tutta e un nuovo passo verso un paese sempre più autoritario. Oggi il primo corteo a Torino

Giovedì 18 dicembre alle prime ore del mattino decine di blindati e forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno circondato il centro sociale Askatasuna, in Corso Regina Margherita, nel quartiere di Vanchiglia di Torino. L’operazione è imponente, l’ordine viene direttamente dal Ministero degli Interni: la militarizzazione dello spazio pubblico deve avere la sua rappresentazione plastica.

Il quartiere viene circondato, asserragliato, e blindato per l’intera giornata e le scuole vengono chiuse. Le persone solidali accorse davanti l’Aska vengono caricate con gli idranti e allontanate con la forza. E ancora pesanti tafferugli si sono verificati al presidio del pomeriggio, partecipato dalla città solidale. 

L’accordo siglato all’inizio del 2024 fra il Sindaco Lo Russo (PD) e un comitato di “garanti” che avrebbe dovuto far diventare l’immobile di Corso Regina Margherita 47 un bene comune, tutelandone l’indipendenza del progetto politico e la fuoriuscita dall’ “illegalità”, non è bastato. Anzi, vanno evidenziate la gravità e l’ignavia del posizionamento della giunta torinese di centro sinistra: nel corso della convulsa mattinata di giovedì 18, iniziata con una perquisizione dello spazio e conclusasi con lo sgombero il sindaco si è infatti immediatamente affrettato a dichiarare decaduto il patto di collaborazione con lo spazio sociale, per «mancato rispetto delle condizioni» di legalità a cui il patto stesso era vincolato: l’accesso al fabbricato non era consentito, mentre il 18 mattina gli agenti, al momento dell’irruzione, hanno trovato sei persone all’interno dello stabile. «Non è stata una mia decisione politica. Io ho preso atto di una scelta amministrativa», ha detto il sindaco. 

Il trincerarsi dietro procedure burocratiche dipinte come “oggettive” è d’altronde consuetudine in questo paese, basti ricordare quanto fece il Sindaco Marino a Roma oltre dieci anni fa con la delibera 140, che ha messo a rischio decine di esperienze sociali autogestite: una storia non ancora conclusa.

Se da un lato le operazioni di polizia sul Leoncavallo e sull’Askatasuna sono in parte motivate dalla volontà di mettere in difficoltà le giunte di centro sinistra che amministrano i grandi centri urbani, dove la destra ha più difficoltà nel diffondere la propria retorica fascista e bellicista, è evidente l’avversione di almeno parte del cosiddetto “campo largo” per le esperienze sociali non compatibili con il governo neoliberale delle società. 

Perché, in fondo, è questa la partita: l’annullamento, la soppressione, di qualunque spazio autonomo di organizzazione politica che metta in discussione il genocidio e la guerra, il sistema di produzione capitalista e la sua riconversione bellica, le diseguaglianze e l’impoverimento sociale che ne scaturiscono. È in questo contesto che si inserisce la, classica, costruzione del nemico messa in pratica dalla destra di governo sin dall’inizio della legislatura: “gli antagonisti dei centri sociali”, “gli anarchici”,  “i pro-pal” e i sempreverdi “soliti comunisti” di berlusconiana memoria, tornati alla ribalta delle cronache dalla campagna elettorale per le regionali fino alla risposta, tanto vergognosa quanto imbarazzante, del Ministro Bernini alla contestazione studentesca ad Atreju. E il nemico, in quanto tale, va silenziato e, quando possibile, annientato.

Ecco quindi da un lato i disegni di legge “di contrasto all’antisemitismo” volti a mettere a tacere qualunque critica allo Stato di Israele all’interno del mondo della formazione, dall’altro l’attacco diretto agli spazi sociali autogestiti, dipinti non solo come violenti, ma anche, ça va sans dire, come antisemiti e, in alcuni casi, islamisti. Un attacco, che nel caso di Aska si è anche sviluppato diverse volte sul piano giudiziario. Ricordiamo infatti che lo spazio sociale è stato recentemente bersaglio di un teorema persecutorio da parte della Questura e della Procura di Torino volto ad accusare di associazione a delinquere un gruppo consistente di persone vicine allo spazio. Il processo si è concluso il 2 aprile scorso con assoluzioni e di fatto con la dichiarazione di insussistenza di quel teorema

Non indifferente, inoltre, è la tempistica dello sgombero. Quale migliore occasione di un’operazione di polizia nel bel mezzo della discussione della legge di bilancio caratterizzata da accese divergenze fra le forze di maggioranza? Il nemico esterno distoglie l’attenzione dai contrasti sulle pensioni impoverite, sugli aiuti alle imprese e sulle decine di miliardi di euro e sulle armi inviate all’Ucraina.

Foto di Askatasuna

Askatasuna è un bene comune 

Il centro sociale Askatasuna è, come tanti altri spazi occupati e autogestiti in Italia, un luogo di incontro, di cultura, dove si può ascoltare musica a prezzi popolari e socializzare al di fuori della logica del consumo. «Con lo sgombero di Askatasuna abbiamo perso uno spazio  essenziale per la socialità e l’aggregazione nel nostro quartiere Vanchiglia. Ricordiamo le merende, il prendersi cura di via Balbo, il Carnevale, Halloween e infine la Polentata che avremmo tenuto domani e che quindi è saltata. Ci piacerebbe continuare a vivere insieme il nostro quartiere, fare ed essere comunità», leggiamo nel comunicato degli e delle abitanti di Vanchiglia.

Le attività aggregative ad Askatasuna, così come in tanti altri centri sociali d’Italia, sono parte integrante dell’intervento politico: Askatasuna è un luogo di organizzazione politica, di assemblee, di collettivi, ed è inoltre un punto di riferimento per le lotte e i movimenti sociali di questo paese, in primis la lotta per la liberazione della Palestina, le mobilitazioni per saperi critici e liberi e, fin dall’inizio, la lotta No-Tav.

Si può essere d’accordo o meno con la sua linea e pratica politica, ma in un paese caratterizzato da un astensionismo in ascesa, dove le giovani generazioni si interessano sempre meno alla politica tradizionale, luoghi come Askatasuna diventano spazi di partecipazione e di socializzazione alla politica dove si impara collettivamente che cosa significa “fare politica dal basso”, in un momento storico in cui partiti e sindacati sono percepiti come organizzazione chiuse, gerarchiche e impraticabili. 

Sgomberare Askatasuna e dichiarare guerra ai centri sociali significa voler chiudere spazi di aggregazione, di incontro e di partecipazione politica. Significa voler ridurre la democrazia in autocrazia, reprimendo qualunque spazio di dissenso e di conflitto sociale, elementi invece fondanti della stessa dialettica democratica. Difendere Askatasuna vuol dire opporsi alla stretta autoritaria in corso in questo paese. E darsi, darci, la possibilità di rovesciare un futuro di guerra immaginando un orizzonte di libertà.

L’immagine via facebook di Infoaut

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