OPINIONI
E ci mancheranno «le parole per dirlo». Paolo, ciao
In memoria del compagno e grande filosofo Paolo Virno, scomparso il 7 novembre, per molti di noi Maestro di pensiero e di vita. Lo ricorderemo a Esc, via dei Volsci 159, lunedì 10, alle ore 11
Succede, nella vita, che si impara a parlare una seconda, una terza volta, e ancora. A me, così è accaduto con Paolo Virno. Paolo Virno era un filosofo, quindi un artista delle parole. Uno che afferrava cristalli di pensiero, un’idea di mondo, nelle regole grammaticali. Uno che non aveva mai perso di vista ciò che conta, ovvero che pensiero e prassi sono tutt’uno con le preposizioni: “con”, “tra”, “fra”. Si agisce e si pensa con le altre e gli altri, tra le altre e gli altri, fra una cosa e l’altra. Nel mezzo – senza principio né fine.
Aula 6 di Lettere, Sapienza, primavera del 1998. Per ricordare l’anno 1968, presentavamo il libro di Bifo dedicato a Potere Operaio. Comparve Paolo. Il corpo, senz’altro – così alto. Ma il corpo con la parola, con una parola che sapeva farsi corpo con i gesti delle mani, con la voce e il suo volume cangiante, imprevedibile. Filosofo del linguaggio, del linguaggio di Paolo mancava qualcosa senza vedere le mani, e la braccia, con quei movimenti ampi, quasi preparassero la scena dell’enunciato. «L’inserzione del linguaggio nel mondo», avrebbe detto lui.
Certo Paolo era stato un militante sovversivo, un «marxista non pentito», un «comunista non di sinistra». E l’aveva pagata cara, la sua militanza, negli anni della controrivoluzione e della carcerazione preventiva senza sosta. Le parole di Paolo erano parole, ma c’era dietro pure la vita di una generazione che aveva tentato la rivoluzione. «Sconfitta», diceva. Vero, ma a che prezzo? La controrivoluzione italiana, per vincere, ha dovuto imporre, manovra finanziaria dopo manovra finanziaria, il declino del Paese.
Se oggi l’Italia è fanalino di coda in Europa per quel che riguarda i salari, se l’economia sopravvive con il terziario low cost e l’edilizia che manda gli ultrasessantenni a crepare sui ponteggi, se duemila giovani formati al mese se ne vanno, è perché c’è voluta dedizione efferata per sconfiggere la rivoluzione.
Con Paolo inventammo, a Esc, la Libera Università Metropolitana. Con Paolo, con Toni, con Franco, con Benedetto. E tante e tanti. Il primo seminario fu subito dopo l’occupazione di via dei Reti 15, primavera del 2005. Lo spazio era ancora disagevole, usavamo una stanzetta spoglia. Discutemmo di azione innovativa, secondo Paolo. Non riguarda il genio, l’eroe, il visionario l’azione innovativa, no. Ha a che fare con quel vivente che, per vivere, deve di volta in volta mettere in forma la propria vita, creare, in cooperazione con altre e altri, le condizioni della propria esistenza. Necessaria, l’azione innovativa, ogni qual volta si tratta di applicare la regola condivisa a un caso singolo; applicandola, tutto sommato, la regola la facciamo anche di nuovo. Differenza nella ripetizione. O anche: variazione storica della natura eterna che, per Paolo, sono le nostre facoltà specie-specifiche.
L’accademia italiana, ovvero del Paese fallito per la controrivoluzione, ha accolto Paolo tardivamente. Non poteva che andare così. Con le sue opere tradotte in tutto il mondo, la pensione lo ha raggiunto presto – troppo. Ma gli studenti lo hanno amato, in Calabria e poi a Roma Tre. Piccoli e grandi, tutti imparavano a parlare di nuovo, con lui. Ogni corso, ogni lezione, imponeva di pensare in grande, di pensare sul serio. Nonostante l’ANVUR e la VQR, o altri acronimi che hanno per obiettivo l’umiliazione della vita associata.
Paolo era alla ricerca del sindacato rivoluzionario del lavoro precario, sottopagato, migrante. Se – folli – abbiamo fondato le Camere del Lavoro Autonomo e Precario, lo dobbiamo anche a quel documento, con diversi discusso, ma da lui scritto più di vent’anni fa («Che te lo dico a fare?»). Non ha mai smesso di essere operaista, a costo di portare il broncio alle movimentazioni recenti. Non che non riconoscesse il ruolo della finanza, l’importanza della rendita immobiliare, la guerra e le sue politiche di bilancio: cercava l’estorsione di plusvalore, Paolo, sempre. A pensarci bene, era un modo per continuare a pensare il due, il «doppio potere», la «città divisa». Filosoficamente: il possibile del reale.
Ora, senza Paolo, vicini a Raissa, si tratterà di cercare ancora «le parole per dirlo» – proprio quelle, non altre. E sarà impervio, ma occorre provarci.




