Tunisia: 13D sciopero generale

L’UGTT si prepara a bloccare il paese: contro gli attacchi al sindacato, per difendere la rivoluzione.

In questi giorni davanti alla sede dell’UGTT è presente un presidio permanente nella piccola piazza Mohamed Alì: drappelli di gente dibattono animatamente e sotto un gazebo un impianto stereofonico diffonde a ciclo continuo canzoni di lotta e l’inno nazionale tunisino. Fa freddo a Tunisi questi giorni, ma in quel luogo è palpabile il calore della solidarietà militante e il sole sembra aver scelto la facciata della sede per rischiarare gli striscioni che pendono dai balconi ricordando che per il 13 dicembre è stato proclamato lo sciopero generale. A noi, italiani ed europei, lo sciopero generale può sembrare una cosa banale, ma in questo paese ha un significato storico molto importante, poiché, a parte il 14 gennaio 2011 durante la rivoluzione che cacciò Ben Alì, l’UGTT l’aveva indetto unicamente nel 1978 e per ragioni alquanto simili a quelle attuali.

Sotto la presidenza di Bourghiba, il governo presieduto da Hedi Nouira aveva deluso le aspettative delle classi popolari e della piccola borghesia e cercato di addossare la colpa della grave crisi economica all’UGTT. Miliziani appartenenti al Partito Socialista Destouriano di Bourghiba (partito unico al potere) moltiplicarono gli assalti alle sedi del sindacato e il 24 gennaio il segretario regionale di Sfax fu arrestato. Il 26 gennaio 1978 la Tunisia tutta si fermò, ma le manifestazioni nella capitale furono represse sanguinosamente dalla dittatura con un bilancio finale di morti di cui ancor oggi non si conosce l’entità: il rapporto ufficiale del governo stilò un elenco nominativo di cinquantuno persone, ma si parlò allora di oltre un centinaio di morti.

In un contesto certamente molto differente caratterizzato da un processo democratico in fieri, L’UGTT si è trovata nuovamente sotto attacco da parte di gruppi appartenenti ai “comitati di protezione della rivoluzione”, gruppi formati in origine dai protagonisti dei sollevamenti popolari del dicembre 2010 e gennaio 2011 e del sit-in di Kasbah 1 e 2. Un grave errore da parte della sinistra e delle forze popolari che hanno fatto la rivoluzione è stato proprio quello di lasciare il campo a chi, come i militanti del partito islamico Ennahdha, se ne sono impadroniti stravolgendone il senso e gli obiettivi.

Questi comitati ora reclamano “pulizia” all’interno del più grande sindacato tunisino, accusandolo di essere infiltrato da elementi del RCD (il partito del dittatore Ben Alì). Dopo l’attacco alla sede nazionale dell’UGTT, in questi giorni altre provocazioni verbali si sono aggiunte da parte di Rached Gannouchi, capo carismatico del partito Ennahdha, e da parte del governo, mentre a Kasserine veniva gettata immondizia davanti alla sede sindacale. Il loro interesse principale sembra essere unicamente di accusare l’opposizione al governo e le forze della sinistra e del sindacato di cospirare contro il governo. Eppure fu proprio l’UGTT a lanciare un dibattito nazionale fra tutti le forze politiche per trovare un consenso nazionale e affrontare il grave impasse politico, economico e sociale in cui si trova il paese, con un’Assemblea Costituente che ancora non ha neppure terminato la discussione del preambolo costituzionale. Il dibattito fu boicottato da Ennahdha e fallì, anche perché L’UGTT non coinvolse i protagonisti reali delle lotte sociali e si rivolse unicamente ai partiti.

Forse l’UGTT è caduta nella trappola del governo e di conseguenza dovrà spingere affinché lo sciopero generale abbia la più alta adesione possibile (il fallimento sarebbe una catastrofe), ma di certo anche Ennahdha ha commesso un grave errore: finché si proclamava difensore dei valori religiosi contro i kuffar (miscredenti) della sinistra, poteva trovare un ampio consenso tra una popolazione che ha un grande attaccamento ai valori dell’Islam, ma il ritorno alla ribalta delle rivendicazioni rivoluzionarie che ha visto il sindacato schierarsi a Siliana e in altre regioni dell’interno e insieme il rigetto della violenza praticata dalle milizie di Ennahdha, apre una grave contraddizione per questo partito, che non cessa mai di proclamarsi unico custode della rivoluzione.

Tutte le corrispondenze di Patrizia Safira Mancini dalla Tunisia per Dinamopress