ROMA

Simonetta Salacone e una scuola davvero per tutti

Militant A (Assalti Frontali) ricorda Simonetta Salacone, ex preside dell’Iqbal Masih , una vita spesa nell’insegnamento e nella lotta per una scuola democratica e per tutti.

Simonetta Salacone se n’è andata in una notte di fine gennaio. A chi ha avuto la fortuna di parlare con lei nelle ultime ore ha detto: “Non è giusto, avevo ancora tante cose da fare”. E certo intendeva dirci: “Coraggio, ci sono ancora tante cose da fare”. Poi è stato tutto veloce, il ricovero, il coma, l’addio. Ma prima di lasciarci del tutto, si è svegliata un momento, e ha detto: “Finalmente ho fatto una bellissima dormita”. La sua vita è stata intensa. Instancabile. Ha lottato, ha amato senza mai arrendersi, ha scosso le coscienze di molti, moltissimi che accanto a lei sono diventati uomini e donne diversi. Simonetta è stata un gigante. Ha fatto la storia della scuola pubblica a Roma e in Italia e dovremo ricordarla per bene. In tanti modi.

Molti l’hanno seguita, ammirata e conosciuta come la dirigente della scuola Iqbal Masih di Roma, la “pasionaria” che dal Casilino, dalla periferia, ha lottato contro la riforma Gelmini guidando la rivolta delle scuole elementari in difesa del tempo pieno, occupando la scuola per difenderla dai tagli, coinvolgendo cuochi, bidelli, maestre, bambini, genitori, e realizzando un laboratorio di democrazia, inclusione e discussione che ha contagiato tutta l’Italia. In quegli anni andò sui giornali anche perché rifiutò di far fare il minuto di silenzio ai suoi bambini quando sei militari italiani furono uccisi in Afghanistan e lo dichiarò all’ANSA: “Lasciamo i bambini fuori da questa retorica… se proprio va osservato un minuto di silenzio – disse – dev’essere dedicato a tutte le vittime che muoiono sul posto di lavoro… una vera missione di pace va fatta con dottori e insegnanti, non con i militari”, e ricevette un procedimento disciplinare dal ministero (da cui venne assolta). Simonetta portò poi la scuola fuori dal proprio perimetro, a occuparsi di bambini senza casa, di bambini rom che venivano sgomberati dalla polizia e dall’esercito e sbattuti in strada, bambini rom suoi alunni che fece sentire protagonisti, al centro dell’attenzione, amati, protetti, Nicu, Ionut, Florina, Elèna, li abbracciava, non li lasciò mai soli fino a che non trovarono una sistemazione nell’occupazione di Metropoliz, scontrandosi col sindaco e col governo e facendo sentire i poveri e gli esclusi figli dell’Iqbal Masih.

Simonetta era una compagna… “una compagna vera”. La sua storia personale ha forti legami con i partiti di sinistra, ovvio, era una donna delle istituzioni. Ma questo, in fondo, è stato un dettaglio. Simonetta era una rivoluzionaria. Non è un caso che, al dunque, nelle elezioni dove ha offerto il proprio nome, al comune di Roma, al parlamento europeo, al parlamento italiano, i partiti per i quali si presentava, l’hanno sempre lasciata sola, non le hanno mai permesso di ricoprire ruoli importanti. Non si fidavano di lei. Troppo libera. Troppo “vera”. Simonetta avrebbe potuto essere ministro. Perché era saggia. Sapeva le cose. Tutti copiavano da lei idee e programmi quando si trattava di prendere voti. Ma poi veniva sempre scavalcata da personaggi infimi.

“Una scuola può tutto” diceva… e nella scuola di Simonetta tutto era possibile. Per lei chi decideva di fare l’insegnante doveva farlo come una vocazione, non si poteva fare come un mestiere normale, senza una visione della società, senza capire cosa c’è dietro le cose… e in un mondo dove stanno tutti con l’orologio a guardare l’ora, lei lavorava senza orario, teneva la scuola aperta la mattina, il pomeriggio, la notte, in un clima di assemblea permanente con le colleghe, i genitori, i bambini. Per lavorare bene ci voleva l’atmosfera giusta e ogni mese, ogni settimana, organizzava feste, cene, raccolte fondi per bambini pakistani, film, presentazioni di libri, spettacoli teatrali, manifestazioni, tutti eventi collettivi a cui partecipava dall’inizio alla fine, che si facevano in “buca”, nell’aula magna della scuola e che plasmavano la comunità. “Tu che sai fare?” chiedeva a chi entrava all’Iqbal Masih, “Internet? vieni a fare internet! Tu? Chitarra? Fai chitarra. Tu parli inglese? Tu arabo? Tu rap?”. Lei valorizzava le competenze, dava spazio a tutti ed esaltava il meglio di ognuno. Appena passata la vetrata di scuola la trovavi lì, prima porta sulla destra, piena di circolari e fogli da leggere, da scrivere, da firmare, ma a lei quei fogli, in fondo, non importava. Il mondo di Simonetta rompeva le regole, chiamava tutti per nome e si ricordava i nomi di ognuno, dava del tu, creava vicinanza, confidenza, risolveva i problemi parlando, e se il tempo era bello faceva i consigli di circolo e le riunioni di scuola in cortile, “prendiamo le sedie che la facciamo in giardino, si sta benissimo”, chiamava tutti a partecipare, e cento persone intervenivano perché c’era Simonetta Salacone e lei era la dirigente che elevava il senso di ogni incontro. Un giorno le ho chiesto: “Simonetta ma perché tu sei così?”. “Così come?” si scherniva. “Così speciale”. “Ma guarda… io non sto facendo niente di speciale, io applico la costituzione, le scuole sono punti di riferimento per il quartiere, se non sono aperte come fanno a esserlo? Mi sorprendo del contrario, che altri dirigenti non partecipino… Noi non abbiamo più nessuno che crea spazi di dibattito, non ci sono partiti, sindacati, giornali, non abbiamo luoghi dove poterci esprimere senza sentirci degli esseri strani… la speranza è che con le nostre lotte riusciamo a trasmettere il senso della scuola, della scuola elementare, che è quella che più assomiglia alla scuola della repubblica”.

Simonetta adattava il suo mondo al presente in modo rapido e impressionante ma portava dentro di sé la storia degli anni ’60 e ’70. A cui restò fedele. Iniziò a insegnare nel ’67 a Sette Ville e a San Basilio. E proprio nel ’67 fu pubblicato “Lettera a una professoressa” di Don Milani che morì in quell’anno. Per Simonetta “Lettera a una professoressa” era un testo sacro, “quando diceva che avere un vocabolario ricco vuol dire appropriarsi della propria vita e che la scuola italiana era una scuola per padroni e invece doveva essere di tutti”. Lei raccontava che a quei tempi c’era il maestro unico, che si sentiva sola e soffriva moltissimo per questo, durante gli anni ’70 maturò la convinzione che la scuola dell’obbligo deve essere la scuola di tutti, competente, includente e che non devi stare da sola a farla e che deve essere attrattiva e se un bambino va male a scuola è colpa della scuola. Da piccola era cresciuta in un istituto religioso molto rigido dove le volevano bene ma le lezioni erano noiose, leggeva romanzi sotto banco e “… c’era un giardino bellissimo dove non ci portavano mai, da piccole perché eravamo piccole, da grandi perché dovevamo studiare, ci andavo solo durante le meditazioni dove non dovevi proferire parola, e io pensavo quando sarò grande e farò la maestra, i bambini si dovranno divertire, li farò giocare… e quando sono diventata insegnante non ho mai saltato il gioco organizzato, i giochi linguistici, i giochi sensoriali, i giochi enigmistici, i giochi in giardino, perché l’apprendimento sotto forma ludica è fondamentale per legare i bambini tra di loro…”.

Nel ’79 diventa dirigente del 126° circolo che poi si chiamerà “Iqbal Masih”. Una delle prime scuole a tempo pieno a Roma. Un tempo pieno sperimentale, dove “potevo parlare con gli altri, riflettere, dove non ero sola ed era il massimo… eravamo un bel gruppo di sinistra, era di sinistra l’idea di integrazione dei linguaggi, la laicità, le esperienze dei laboratori, l’apertura al sociale”. Nella sua scuola si iscrissero i primi bambini sordi che uscivano finalmente dagli istituti riservati a non udenti. E lei andò personalmente a battersi all’ufficio scolastico per farsi dare le maestre di sostegno necessarie a far crescere i bambini sordi insieme ai loro coetanei. Simonetta ha passato la sua vita così, e chi l’ha conosciuta da vicino sa che aveva qualcosa di magico e che averla a fianco faceva volare. Ha fatto di tutto per rimandare l’uscita di scuola, alla fine il ministero l’ha costretta, ma di certo non si è “goduta la pensione”. Ha continuato a lottare per la scuola pubblica, laica e solidale. E quando veniva nella biblioteca di scuola “Alessandra Tarducci” per la presentazione di un libro, ascoltarla era sempre dolce, rendeva subito tutto chiaro, e non mi stancavo mai di sentire la sua voce…: “Collaborando superiamo gli autismi, superiamo gli handicap, io devo lottare contro le cose che non capisco, non contro il mio vicino, io devo stare con chi ha difficoltà”.

Ciao Simonetta. Abbiamo avuto il privilegio di camminare al tuo fianco.