DIRITTI

Se questa è accoglienza…

A Roma, nel Centro di Prima Accoglienza di viale Castrense legato al circuito di Salvatore Buzzi, le proteste dei migranti contro un sistema che calpesta la loro dignità

Un’altra pagina nera si aggiunge alla storia della speculazione romana sui richiedenti asilo e i rifugiati. Ci troviamo a Viale Castrense, a due passi da Piazza San Giovanni in Laterano, quella del concertone sindacale del primo maggio. In questa struttura vengono ospitati circa quaranta migranti. Si tratta di un CPA – Centro di Prima Accoglienza – una struttura che dovrebbe offrire ai richiedenti asilo la disponibilità di un alloggio, l’assistenza legale nell’iter di presentazione della domanda per ottenere lo status di rifugiato politico, lezioni di italiano, assistenza psicologica e orientamento sanitario.

Servizi simili in parte a quelli dei centri finanziati dai progetti SPRAR, quelli, per intenderci, divorati a Roma dal sistema di Mafia Capitale. Un sistema, quello degli SPRAR, che ha rappresentava il fiore all’occhiello dell’accoglienza in Italia. Fino a quando non è calata anche su questo la scure delle politiche di emergenza, grazie alle quali è possibile aggirare tutte le normali procedure di assegnazione – bando pubblico, requisiti minimi delle strutture – e trasformare strutture fatiscenti in luoghi in cui la dignità umana viene quotidianamente calpestata.

Basti pensare che il solo consorzio Eriches – di cui fino al 2013 faceva sicuramente parte anche la cooperativa “Impegno per la Promozione” che gestisce il centro di Castrense – quello di Salvatore Buzzi, gestisce su Roma 491 posti letto finanziati dal fondo SPRAR con 40 euro a persona. E’ sufficiente fare un po’ di calcoli per rendersi conto degli introiti che queste strutture sono in grado di generare. Soldi che dovrebbero tramutarsi in servizi fondamentali per la dignità delle persone, ma che spesso, anzi quasi sempre, vengono intascati dalle cooperative degli “amici degli amici”. E ai migranti restano le briciole.

A viale Castrense è partita una mobilitazione dei migranti ospitati nel centro. Molti dormono lì da gennaio, in camerate numerose, con i vestiti raccolti per terra in delle buste. “I servizi”, ci raccontano alcuni ospiti del centro, “sono scarsi: l’assistenza legale quando c’è è svolta da personale non qualificato, o da semplici operatori. Un ragazzo appena arrivato sta male, gli hanno detto che l’ospedale era chiuso per le feste, è dovuto andarci da solo ma non parla italiano.”

Il tema principale della protesta è però il cibo. Il servizio catering è fornito da un’altra società, la cooperativa La Cascina, la stessa che ha in appalto molti altri centri d’accoglienza a Roma. Un gigante da migliaia di dipendenti il cui cibo è giudicato “uno schifo, puro e semplice. E’ impossibile mangiare quella roba. Il 24 dicembre abbiamo deciso che non ne potevamo più e abbiamo bloccato il furgone del fornitore, dicendogli di andarsene, che noi quella roba non la mangiamo. E’ arrivata la polizia che ha cercato di metterci paura e ha fatto entrare il furgone, ma noi ci siamo rifiutati di mangiare per giorni. Abbiamo anche detto alla responsabile del centro di non firmare la ricevuta, tanto noi quella roba non l’avremmo più mangiata”.

La protesta sembrava aver prodotto qualche risultato, per due tre giorni la qualità del vitto è migliorata e i ragazzi hanno ricominciato a mangiare. Il tutto è durato pochissimo, tant’è che il 29 è ripartita la protesta, con gli ospiti che hanno tentato di nuovo di non far entrare il furgone de “La Cascina” e la polizia che è tornata davanti al centro per proteggere il furgone e farlo entrare. Ma i ragazzi hanno deciso di nuovo di rifiutare il cibo. Il problema è che i pochi soldi che gli ospiti ricevono per le spese – circa due euro al giorno – non sono sufficienti per acquistare da mangiare fuori dal centro, e anche quando ci riescono sono costretti a cucinare di nascosto dagli operatori, che non glielo consentono. “Non vogliamo cedere perché abbiamo diritto ad un pasto dignitoso, lo stato italiano paga tanti soldi per ognuno di noi, dove vanno a finire? Non possono trattarci come bestie.”

Gli ospiti del centro sono in gran parte richiedenti asilo, molti di loro a marzo dovranno presentarsi davanti ad una commissione per raccontare la loro storia. La commissione valuterà se hanno o no i requisiti per ottenere lo status di rifugiato. Un percorso complicato che dovrebbe essere seguito da personale competente, in grado di aiutarli a comprendere il complicato iter burocratico. “Ma a noi nessuno sta spiegando niente, l’assistenza legale non c’è, o se c’è è fatta male. Come l’assistenza psicologica. Qualche tempo fa un ragazzo disabile ospite del centro ha cercato di suicidarsi, per fortuna non c’è riuscito, ma con un aiuto forse non sarebbe successo.”