NELLE STORIE

23 Ottobre 1911: Sciara Sciat

Sciara Sciat è il nome che ha preso la battaglia combattuta dall’esercito italiano contro le truppe turco ottomane supportate dai ribelli locali. In quell’occasione, l’Italia giolittiana dimostrò, ben prima delle prodezze cirenaiche di Graziani, la ferocia intrinseca a ogni campagna coloniale

Facile era stato sbarcare a Tripoli e Bengasi nel settembre 1911 e ci si era illusi perfino che, una volta sbaragliate le deboli e isolate guarnigioni turche, gli arabi e berberi libici avrebbero accolto a braccia aperte i “liberatori”.

La controffensiva turca del 23-25 ottobre nell’oasi di Tripoli e in particolare a Sciara Sciat, ma soprattutto il sostegno della popolazione locale inaugurarono la fase nuova della conquista: la guerriglia sistematica e nazionale, al massimo aiutata da alcuni ufficiali turchi rimasti in loco, e così sarebbe stato fino alla repressione genocida del 1931. Ma già l’Italia giolittiana dimostrò a Sciara Sciat, ben prima delle prodezze cirenaiche di Graziani, la ferocia intrinseca a ogni campagna coloniale. Per giustificare gli errori strategici si parlò di “tradimento” da parte di una popolazione irriconoscente, che non aveva preso bene l’invasione di un mese prima. Alcune centinaia di bersaglieri caduti furono vendicati con sanguinose rappresaglie contro la popolazione civile, in termini di migliaia di fucilati e impiccati senza processo e 4000 deportati a Ustica e alle Tremiti, di cui una buona parte morirà quasi subito di stenti o di colera.

 

 

Persino la stampa internazionale stigmatizzò l’inutile accanimento degli ultimi arrivati sul fronte dell’esportazione della civiltà.

 

Naturalmente il monumento al bersagliere a Porta Pia lo ricorda come episodio glorioso, che del resto si inseriva nella collaudata tradizione repressiva di cui quel corpo era stato micidiale strumento in un’altra campagna “coloniale”: quella contro i “briganti” nell’appena annesso Meridione.

La fine del colonialismo melenso e amicale verso gli arabi (durato poche settimane) e la sua sostituzione con vibranti appelli alla strage degli inferiori e infidi selvaggi fu sancito, in stile diverso, dagli inviati del Corriere della sera albertiniano (Barzini in primo piano), da Marinetti e D’Annunzio – il mite Pascoli della “grande Proletaria” aveva ormai fatto il suo tempo. Per dirla con Barzini, in una lettera confidenziale a Luigi Albertini, gli italiani non erano venuti in Libia per portare il codice Zanardelli e la legge elettorale. Infatti.

 

Se i “liberali” esibirono, con maggiore o minore compiacenza, il loro lato oscuro, pacifisti e socialisti si divisero, ma certo fu avvertita la svolta e iniziò una protesta contro l’avventura libica, che paradossalmente ebbe fra i suoi protagonisti il futuro macellaio Mussolini, allora “estremista” in seno al Psi.

 

Il giornalista Paolo Valera pubblicò in 100.000 copie un opuscolo Le giornate di Sciarasciat, corredato di foto di impiccagioni, e restò celebre la vignetta di Scalarini sull’Avanti! del successivo 25 dicembre: un albero di Natale a forma di forca multipla.

Gli alti comandi e il generale conquistatore e governatore, Caneva, non seppero che pesci prendere e si rintanarono in una difesa della linea costiera, rinunciando a estendere la conquista. Gli impegni della I guerra mondiale fecero il resto e soltanto con l’avvento del fascismo fu ripreso e portato a termine il progetto di conquista e insediamento.

Gheddafi fece di quell’episodio il riferimento della “Giornata della vendetta” celebrata in ottobre. L’Italia ufficiale tacque sempre. Tanto più ora, dopo l’infelice avventura del 2011 e con tutti i guai di Daesh, intervento militare clandestino e controllo dell’emigrazione.