Le Primarie più Brutte del Mondo

Non una parola sui temi, in una città ferita da cinque anni di malgoverno di Alemanno.

Ai blocchi di partenza delle primarie del centrosinistra per Roma Capitale alla fine sono arrivati in otto. Dopo mesi di discussioni, dubbi sull’opportunità di farle o meno, autocandidature che spuntavano come funghi, gli elettori di centrosinistra romani hanno la certezza di sapere chi possono scegliere. I candidati sono otto ma a giocarsela davvero sono in due, tutti e due democratici: David Sassoli e Ignazio Marino.

Il primo è l’ex anchorman di punta del Tg1, europarlamentare dal 2009 con un numero impressionante di preferenze. Su di lui stanno puntando dalemiani e veltroniani, costretti ad arretrare a Roma dopo la sciagurata scelta di ricandidare Rutelli nel 2008.

Il secondo sarebbe invece appoggiato dal neopresidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e dal segretario romano, e neodeputato, Marco Miccoli. È un progressista sulle questioni etiche e civili, e per questo inviso oltretevere, ma liberal in economia e sulle questioni sociali. Entrambi hanno il sapore di candidature calate dall’alto, volti buoni e freschi, utili a vendere il prodotto del centrosinistra, ma lontani dalla vita sociale e politica di una città complessa come Roma.

A correre da outsider ci sono altri tre democrat: il capogruppo in Campidoglio Umberto Marroni, che avrebbe contrattato la tanto ambita delega all’urbanistica in un ticket con Sassoli, e due renziani: l’ex assessore di Rutelli al Giubileo (!) e poi Ministro delle comunicazioni del secondo governo Prodi, Paolo Gentiloni, e la capogruppo del XII municipio Patrizia Prestipino.

Da Sel due candidature personali e non espressione del partito di Vendola: la consigliera comunale uscente Gemma Azuni e Luigi Nieri, una vita tra il Campidoglio e la Pisana. Non è poi un segreto che una parte di Sel, sempre più vicina a Zingaretti, farà convergere i suoi voti su Marino. Neanche i socialisti hanno rinunciato al loro candidato di bandiera, schierando Mattia Di Tommaso.

Ecco, più che un processo di partecipazione e una discussione sul futuro di Roma queste primarie sembrano il mercato della vacche, usate dal centrosinistra, sicuro della débâcle di Alemanno, per definire posizionamenti interni e far guadagnare ai vari candidati di parte i migliori posti in lizza nelle liste. Le primarie si configurano di fatto come un congresso di partito, fatto in piazza perché le fratture interne metterebbero a rischio la tenuta stessa di un PD ancora suonato dall’insuccesso alle elezioni politiche. A complicare il quadro la partita dei municipi, dove il Pd, spesso in maniera scordinata, punta a fare man bassa non lasciando nulla agli alleati di Sel, che puntano i piedi difendendo esperienze radicate a cui vogliono garantire continuità, come in XI municipio con Andrea Catarci.

Non una parola sui temi, in una città ferita da cinque anni di malgoverno di Alemanno e che chiede anche una discontinuità netta con le giunte Rutelli e Veltroni.

Manca completamente un’idea di città, laddove le nuove forme di federalismo demaniale (la pantomima del ridisegno dei municipi) nascondono il tentativo di concentrare potere al posto di diffonderlo, per scaricare verso il basso il peso dell’austerità e i processi di privatizzazione e svendita del patrimonio pubblico.

Fuori dalle Primarie. Indeciso fino all’ultimo minuto (ha presentato le firme, ma non si candida), Alfio Marchini, epigono di una dinastia di costruttori e imprenditori “rossi” (per chi si ricorda i Marchini erano quelli di calce e martello), si è sfilato dalla corsa. Pontiere tra centro e Pd è stato una tentazione per una parte consistente dei democratici, quelli che alla fine hanno deciso di puntare su Sassoli. Uomo vicino alle gerarchie vaticane, non si ritirerà tuttavia dalla corsa per il Campidoglio: sul suo carro saliranno al volo i centristi, assieme ad importanti poteri economici a partire da Francesco Gaetano Caltagirone.

Strano ruolo quello di Marchini, che gode di un sospetto credito mediatico, impensabile per un semplice candidato sindaco (che Floris abbia scelto di replicare con lui l’effetto Polverini?). Il programma (quello vero) prevede di passare a nuove forme di comando basate sull’efficienza, merito, selezione e controllo dall’alto della macchina di governo cittadino pensato come rapporto tra padrone (che orienta) e amministratore delegato che attua.

Sparigliatori di carte sono il M5S e Sandro Medici. Il nome del candidato 5Stelle per Roma sarà ufficializzato dopo la consueta consultazione online che coinvolge una manciata di attivisti (a confronto le primarie del centrosinistra sembrano una bagno di democrazia). In pole position ci sarebbero Marcello De Vito e Daniele Frongia, scelti da una rosa di 57 nomi che compongono la lista per il Campidoglio, già pronta da dicembre. In attesa che lo tsunami Grillo si trasferisca a Roma per puntare al governo della Capitale: ipotesi realistica nel caso probabile che si arrivi al ballottaggio e la destra offra un appoggio strumentale, modello Parma.

Sempre mercoledì, con un evento-conferenza al Teatro Ambra alla Garbatella, Sandro Medici, ex direttore del Manifesto e presidente del X Municipio, lancerà la sua campagna elettorale. A sinistra ma fuori dal centrosinistra di Sel e Pd, Medici da mesi sta lavorando a una lista di cittadinanza, composta da esperienze sociali e di base. Il dialogo con alcuni partiti e associazioni della sinistra ex parlamentare è aperto, a patto che non si replichi la brutta esperienza di Rivoluzione Civile. Un ampio appello di personalità, comitati, associazioni sostiene la sfida con un programma radicale che punta tutto sull’autogoverno, come forma di democrazia sostanziale lontano dalle primarie di partito o a 5 stelle. Con Sandro Medici anche JoJo, il candidato incandidabile, romano di Roma con i dreadlocks: per la legge italiana sui figli di immigrati nati in Italia, un cittadino di serie B. Una provocazione nata tra le mura del centro sociale ScuP e dal Partito Pirata.

E a destra? Croppi punta a disturbare Alemanno, che è partito in camper, senza molte speranze. Ma forse i risultati delle elezioni politiche dovrebbero accendere un campanello d’allarme sugli avversari considerati già battuti. Anche perché queste elezioni comunali, più che mai, vivono del riflesso della situazione di incertezza del quadro nazionale.