SPORT

Le carogne e le jene

Sugli spari fuori l’Olimpico prima di Fiorentina-Napoli.

Il copione, questa volta, è arricchito da un’operazione politica cinica e spregiudicata. La notizia principale è scomparsa dall’orizzonte: il tentato omicidio di un tifoso napoletano (Ciro Esposito), rimasto gravemente ferito insieme ad altre due persone, vittime di un’aggressione di gruppo finita a colpi di pistola.

Tra gli indagati, Daniele De Santis, noto fascista, affarista ed ex leader della curva (Sud) che gestisce un locale nella valle nera di via di Tor di Quinto (costellata da spazi comunali occupati dalla destra più o meno sociale o tradizionalista), anche se al momento l’esame stub sulla 7,65 ritrovata (con la matrice abrasa) smentisce parzialmente l’ipotesi. Accusa invece confermata da tre testimoni diretti che hanno riconosciuto “Gastone” (soprannome di De Santis) tra gli aggressori.

Potrebbe essere un compendio e una fotografia sintetica della storia recente della capitale: i rapporti tra la destra al potere e le prebende offerte alla manovalanza fascista in termini di spazi, servizi, appalti; le trasformazioni sociali delle curve romane; il salto di qualità culturale e d’immaginario, in negativo, della martellante e trasversale campagna razzista contro Napoli e i suoi tifosi che si respira in città da tanti anni.

E invece lo scandalo diventa Genny a’ Carogna, quella sua maglietta “Speziale libero” e quella “trattativa” con le istituzioni prima dell’inizio della gara. Lo show infranto dall’interferenza non prevista, che rompe il copione del neo-calcio, segnato dalla sacra trinità: pay tv, stadi blindati e tessera del tifoso. Una nauseabonda e ipocrita caccia all’ultras prova a mistificare la logica dei fatti accaduti per raggiungere un solo obiettivo: la completa normalizzazione del mondo del calcio, secondo il tanto sbandierato modello inglese, fatto di business globale, stadi bomboniera cari e super controllati, vietati alla “feccia” e ai poveri, liberi di scontrarsi fra di loro a qualche chilometro di distanza dai riflettori. E, non marginale, l’opportunità di spolpare la preda perfetta in una campagna elettorale che rispolvera i peggiori sentimenti populisti e giustizialisti, sempre a senso unico.

Un tentato omicidio ad opera di un personaggio contiguo al ventre molle della destra di governo diventa il pretesto per azzannare il capro espiatorio mediaticamente perfetto, “il camorrista” che detta legge davanti a tv, premier, ministri, carabinieri, giocatori e presidenti di federazione. Non conta più il contenuto di quello scambio, cioé se si è trattato di una vera e propria trattativa sullo svolgimento della gara e solo un aggiornamento sullo stato di salute del tifoso ferito. Lo scandalo era inscritto in quella posa diffusa in tutto il mondo, a cavalcioni sulla balaustra, in quell’estetica da “teppista” che osa parlare da pari a pari con le autorità, con quella scritta sul petto che sfida platealmente l’esito di una sentenza, l’omicidio dell’agente Filippo Raciti, piena di buchi e incongruenze.

Insomma, il simbolo di un’autonomia imprevista, che infrange il ruolo di cliente, consumatore e “tesserato”. Una discontinuità che fa fremere i nostri rappresentanti, che addirittura fa prendere parola al Presidente in persona, per il consueto monito stucchevole e rituale. Il carrozzone mediatico si getta a capofitto sull’osso di Forcella. Tra i giornali spicca Repubblica, che con il prode (ossessionato) Bonini si fa interprete delle peggiori pulsioni moraliste e giustizialiste. In tv, Piazza Pulita di Formigli riesce nell’impresa di costruire una trasmissione attorno ai sentimenti lacerati, comprensibili ma fuori fuoco, della vedova e della figlia di Raciti. Solo dopo mezz’ora di servizi surreali sullo “stato di eccezione” dell’Olimpico, viene nominata la causa scatenante, l’aggressione drammatica contro i tifosi napoletani in via Tor di Quinto.

Nessuno sottolinea il vero scandalo: che davanti a un fatto così drammatico, i tifosi del Napoli (ma anche della Fiorentina) abbiano mantenuto la calma e la lucidità, non accettando il terreno dello scontro o della vendetta, celebrando nello stadio il rito calcistico con lo stile e il rispetto dovuto ai propri compagni di curva feriti gravemente. Altri sono i fallimenti: la gestione inadeguata e dilettantesca dell’ordine pubblico, la pavidità e la cattiva coscienza della politica, l’opportunismo delle autorità sportive, la voracità ottusa dei grandi media. I fischi assordanti e unanimi all’inno di Mameli hanno firmato, agli occhi del mondo, la completa delegittimazione di un sistema istituzionale e dei suoi attori, ben oltre il recinto del campo da gioco.

La coreografia dei tifosi del Milan in occasione del derby, dedicata alle vittime della violenza dello stato e contro le jene del sindacato di polizia Sap, rappresenta un altro tassello di questo duplice processo (ambivalente) di “politicizzazione” dello stadio, come spazio di conflitto tra politiche di controllo e “autonomia” (nel bene e nel male), e di “hooliganizzazione” dei conflitti sociali e urbani.

In questo contesto il mondo ultras può sopravvivere solo “tradendo” sé stesso, comprendendo le relazioni e le connessioni con altre “autonomie” di cittadinanza messe a repentaglio dalle politiche pubbliche di cattura e controllo. Davanti a sé una doppia sfida difficilissima: all’esterno, rompere il circolo vizioso della “lotta alla repressione” e dello scontro militare autistico con le forze dell’ordine; all’interno, fare i conti con la propria faccia oscura, quella legata all’intreccio tra affari, neofascismo e malavita, che soprattutto a Roma si è sviluppata tra sottovalutazioni, imbarazzi e incapacità di contrasto. La gara di solidarietà nei confronti di Ciro (inaugurata dai “nemici” laziali) e la maturità espressa in quelle ore drammatiche rappresentano un ottimo precedente e un orizzonte di possibilità.