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La crisi del debito pubblico vista da Panama

Riflessioni a partire dai Panama Papers

Ci hanno raccontato che il debito pubblico deriva dalla spesa sociale. Che la spesa sociale ha prodotto la crisi. I Panama Papers dimostrano che le grandi multinazionali e i super ricchi non pagano tasse, privando gli stati di introiti enormi. E (quasi) tutto questo accade in maniera legale.

Si può parlare dei Panama Papers da diversi punti di vista: la più grande fuga di notizie della storia, la rivitalizzazione di un giornalismo d’inchiesta, il lavoro sui mega data. Ma in questo articolo parleremo di cosa ci dicono i Panama Papers riguardo al funzionamento del capitalismo globale e della sua relazione con lo stato.

I Panama Papers rendono ancora una volta evidente il ruolo centrale dell’evasione fiscale nell’organizzazione dell’economia globale. In questo caso non siamo di fronte a criminalità organizzata che ricicla il denaro sporco, o a episodi di corruzione di amministratori dello stato: l’evasione tramite i paradisi fiscali avviene praticamente con mezzi legali, utilizzando un sistema di compagnie intestate a prestanome (il miglior amico di Putin, o la figlia di Li Peng), con sede in paradisi fiscali dove la legislazione non richiede di sapere da dove viene quel denaro, non lo tassa e lo copre con leggi sulla privacy molto severe e nessuna trasparenza, il tutto tramite studi legali come Mossack Fonseca con sede a Panama che accompagnano passo passo nel percorso di evasione.

I Panama Papers ci rivelano che questo non è un caso isolato, non sono poche mele marce, al contrario: tutti i super ricchi del mondo evadono le tasse nel loro stato di appartenenza e i primi a farlo sono i Primi ministri e i membri del governo. Dalla Cina al Pakistan, dalla famiglia Cameron al Primo Ministro islandese, ma anche calciatori, registi, membri della Fifa impegnati nella lotta contro la corruzione e ancora tutti i nomi che non sono stati rilevati.

Insomma l’evasione delle tasse è un fattore strutturale del capitalismo globale!

Dagli anni ’80 in poi la transnazionalizzazione e la finanziarizzazione della produzione hanno reso il capitale più flessibile e in grado di divincolarsi da legami più stretti con il territorio e quindi con le sue istituzioni. Per evitare la totale dismissione della produzione industriale e la fuga del capitale finanziario, molti stati hanno iniziato ad abbassare le tasse sui capitali, in particolare su quello finanziario. Quindi, da un lato si abbassano le tasse per cercare di far pagare le tasse al livello statale, dall’altro, a livello globale, non si limitano in alcun modo i paradisi fiscali, primo mezzo tramite cui le tasse vengono eluse. Questo significa sempre meno tasse pagate allo stato da parte di aziende e super ricchi.

Per fare un esempio, dagli anni ‘80 la Fiat riduce la produzione in Italia, esternalizza verso i paesi dell’Est e aumenta i suoi servizi finanziari che diventano tanto importanti quanto la reale produzione di macchine.

Quante tasse paga ancora Fiat in Italia? E i suoi dirigenti? Del resto, come tutti sanno, l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha la sua residenza in Svizzera. Nei Panama Papers esce il nome di Luca Montezemolo, ex amministratore delegato di Ferrari, e fondatore di Italo. Quante tasse paga questo grande uomo d’affari allo stato italiano? E quante altre aziende avrà aperto grazie a Mossack Fonseca sotto falso nome e con sede in altre meravigliose isole del pacifico?

La scorsa fuga di notizie, il Luxemburg leaks, ci raccontavano come la legislazione del Lussemburgo aiuta le grandi multinazionali a pagare meno tasse possibili avendo la propria sede legale nel Granducato. Così si scopre che Ikea è una fondazione con sede in Lussemburgo e solo l’1% dei suoi profitti annuali vengono tassati. L’evasione dei grandi dirigenti, personaggi politici, personaggi dello spettacolo e grandi aziende multinazionali significa milioni e milioni di euro in meno di introiti per gli stati.

Negli anni ’80 e ’90 l’Italia, come molti altri paesi, ha iniziato ad aumentare il proprio debito pubblico per rimediare a questa incapacità fiscale. Così la terza economia d’Europa è diventata tra gli stati più indebitati al mondo. È quello che Streck chiama il passaggio dallo stato sociale allo stato-debito. Ma sono gli anni ’80, abbiamo i capelli ricci e cotonati, non importa a nessuno e veniamo catapultati negli anni ’90 fatti di net economy e Beverly Hills!

Poi arriva la più grande crisi finanziaria dagli anni ’30, le borse crollano e nessuno crede più che stati come l’Italia possano ripagare il proprio debito pubblico. Così non si può più emettere nuovo debito e l’unica cosa da fare rimane tagliare la spesa: tramite privatizzazioni, riduzione del settore pubblico e svendita del patrimonio immobiliare.

Ci hanno raccontato che la crisi europea era colpa degli stati del sud che spendono troppo, sono corrotti e hanno cittadini che ‘vivono al di sopra delle loro possibilità’. I Panama Papers ci raccontano un’altra storia, fatta di evasione legale, di incapacità di tassare i profitti e il capitale, ci raccontano di politici e uomini d’affari parte di uno stesso sistema elusivo.

Insomma, vista da Panama la crisi dei debiti sovrani degli stati del sud Europa ha tutto un’altra prospettiva! Non è una questione di morale, è molto più semplice: noi vogliamo i Nostri soldi indietro!