Italian Stand-Off

Lo stallo del sistema politico italiano e il paradosso di un MoVimento che non può muoversi.

Il dirigente del centrosinistra, dopo aver disegnato diagrammi, dipinto scenari e immaginato possibilità, mostra tutto il suo smarrimento, guarda nel vuoto e cede a un moto di sincerità. “La verità è che il Movimento 5 Stelle ha preso troppi voti per rifiutarsi di fare politica”, ci dice scuotendo la testa in maniera quasi impercettibile.

Lo stallo del sistema politico italiano ricorda il mexican stand-off degli spaghetti western: i tre protagonisti si tengono sotto tiro a vicenda, come nella scena finale de “Le Iene” che Quentin Tarantino ha plasmato prendendo spunto da “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” di Sergio Leone. Per evitare di sbagliare, Beppe Grillo ha scelto di impugnare due pistole e di tenerle puntate sia alla sua destra che alla sua sinistra, tenendo di mira sia la tempia di Berlusconi che il capoccione di Bersani. Ad un osservatore superficiale, la mossa potrebbe sembrare cool. È una delle scelte che appaiono risolutive, la mossa drammatica ma necessaria che consente di tenere gli avversari sotto scacco.

Ma il punto, e torniamo alla più prosaica ammissione del politico di centrosinistra, è che i grillini non si stanno rifiutando di fare politica in maniera cosciente. Non fanno muro per scelta, magari – per citare due delle ipotesi che fanno alcuni spettatori del reality show a 5 Stelle – per disarticolare il meccanismo che gira a vuoto da tempo dei partiti o spostare l’equlibrio dei poteri dall’esecutivo dei decreti al legislativo delle commissioni e dell’aula parlamentare. I grillini non fanno politica perché non possono farla: le tragicomiche vicende del capogruppo al Senato Vito Crimi, costretto a smentirsi sistematicamente ogni volta che si azzarda a non ripetere una delle frasi-Ikea riportate dalla sua collega alla Camera Roberta Lombardi e coniate dai proprietari del MoVimento, sono lì a dimostrarlo. Le piazze che fanno da audience a Grillo e i voti che lo hanno trasformato nel baricentro della politica italiana parlano diversi linguaggi, avvertono differenti bisogni materiali. Allo stato, se si guarda oltre il fuoco di fila di “idee senza parole” e slogan pubblicitari dispensati quotidianamente dal blog-oracolo del Capo e se per carità di patria fingiamo di ignorare la spiazzante ingenuità dei parlamentari pentastellati neo-eletti, i grillini non sono in grado di essere “di parte”, gli manca cioè una delle condizioni fondamentali per esprimersi, prendere posizione, fare politica. Sono ingabbiati dalla loro stessa struttura, che è quella di una forza espressione della sapiente mobilitazione dall’alto di emozioni, rancori e parole d’ordine che nel corso degli ultimi anni ha radunato un popolo interclassista, “né di destra né di sinistra” perché di destra e di sinistra al tempo stesso.

Il Movimento 5 Stelle in quanto tale non può muoversi. Probabilmente Grillo nella scena del nostro “triello” messicano rimarrebbe paralizzato anche se nessuno lo tenesse sotto tiro o se le pistole dei contendenti fossero caricate a salve. Soltanto non schierando le sue truppe, non facendole pesare in nessun equilibrio di maggioranza ed evitando di porsi la questione controversa e tutta tattico-politica di come contare di più all’interno del Parlamento, per di più evocando l’obiettivo futuro quanto improbabile del “100 per cento dei consensi”, il duo Grillo-Casaleggio può mantenere il proprio potere, che è legato a doppio filo alla conservazione dell’unità del suo popolo di plastica e – di conseguenza – alla compattezza granitica dei gruppi in Parlamento.

Chiunque, da destra e da sinistra, dall’alto o dal basso, aspiri a ragionare politicamente con il Movimento 5 Stelle e voglia fare i conti con le pulsioni individuali e le sofferenze sociali che esso rappresenta, deve ragionevolmente puntare a farlo con “una parte” di esso, con ciò che ne verrà fuori dalla eventuale quanto auspicabile frantumazione della sua unità artificiale – perché non basata su interessi materiali o culture convergenti – che esso rappresenta.

Come sommessamente avevamo premesso, è evidente che questa unità artificiale non ha generato crisi di sistema o trascinato moti di piazza. È anzi servita a ri-legittimare la politica, anch’essa artificiale in quanto basata sulle “competenze” e sulle soluzioni spacciate per corrette e non faziose in quanto “né di destra né di sinistra” che venivano dal governo prima delle elezioni politiche. Mentre i tre contendenti – chi con più chi con meno convinzione – armeggiano coi ferri digrignando i denti a beneficio del pubblico votante, tecnici e fautori delle larghe intese vedono confermati i loro schemi e i dieci saggi di Napolitano si insediano. Una sceneggiatura degna di questo nome prevederebbe l’intervento risolutivo di soggetti esterni. Ma non tutti, per fortuna, hanno la pistola dell’austerity o dei propri leader-proprietari puntata alla tempia.