I rifugiati di Choucha arrivano al Social Forum

Tunisi. Al social Forum arrivano i rifugiati del campo di Choucha.

*Carlotta Macera e Vanessa Bilancetti da Tunisi

Oggi abbiamo deciso di scrivere dei rifugiati di Choucha, al confine con la Libia. Era attesa una carovana, ma sono arrivati al social Forum con grandi difficoltà, alcuni pullman sono stati bloccati al campo, altri sono riusciti ad arrivare solo in piccoli gruppi. Raccontiamo la loro storia anche perché pensiamo che dentro il Forum ci dovrebbe essere più spazio per una delle grandi contraddizioni del Nordafrica.

Sono passati due anni da quando nel marzo 2011 una coalizione condotta da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti iniziò a bombardare la Libia. Era il 31 marzo quando la Nato dichiarò ufficialmente guerra al regime di Gheddafi. Centinaia di migliaia di persone dovettero fuggire dalla Libia e tra di loro numerosi lavoratori migranti provenienti dall’Africa Sub-Sahariana. La Tunisia aprì le sue frontiere e accolse circa un milione di rifugiati. La maggior parte venne ospitata in case private, ma qualche migliaia venne alloggiata nel campo di Choucha. Il campo profughi, aperto a febbraio 2011 dall’UNHCR, è situato in una regione desertica presso le frontiere libiche e ha accolto fino a 20.000 persone, di cui la maggior parte Africani Sub-sahariani.

Intervista a Sinda Garziz, dell’associazione Articolo 13, che si occupa di immigrazione e rifugiati.

Oggi, la maggior parte delle persone ha lasciato la Tunisia. Gran parte è ritornata nei propri paesi d’origine, anche se non tutti volontariamente. Alcuni, invece, sono tornati in Libia, dove i diritti dei migranti vengono violati ogni giorno. Altri hanno rischiato la loro vita cercando di raggiungere l’Europa via mare. All’incirca 2.600 persone, riconosciute come rifugiati, sono state accettate da paesi europei, gli Stati Uniti o l’Australia, grazie ad un programma di reinstallazione. Gli stati implicati nella guerra, come la Francia e la Gran Bretagna, hanno accettato pochissimi rifugiati.

Più di 1.300 persone di 13 paesi differenti, la maggior parte originaria del Sudan, della Somalia, della Nigeria, dell’Eritrea, dell’Etiopia e del Ciad vengono lasciati nel campo, che l’UNHCR vuole chiudere al più tardi nel maggio 2013. All’incirca 400 persone che sono state riconosciute come rifugiati si sono però viste rifiutare l’accesso ai programmi di reinstallazione. L’UNCHR vuole integrarli localmente in Tunisia grazie all’aiuto di fondi dal governo tedesco, piuttosto che autorizzarli a raggiungere l’Europa. Un perfetto esempio di come l’Unione europea porta avanti la sua politica di esternalizzazione delle frontiere. A fine febbraio, questi rifugiati hanno organizzato una manifestazione davanti alla sede dell’UNCHR a Zarzis, esigendo un posto in una nazione con diritto di asilo. Non si sentono sicuri in Tunisia, dove non hanno ancora ottenuto lo statuto legale in quanto il paese non dispone di una legge sull’asilo.

Più di 200 persone, che si sono viste rifiutare lo statuto di rifugiati a causa di alcune procedure che includevano degli interpreti incompetenti e molte altre falle, sono oggi privati del cibo e di altri servizi di prima necessità al campo di Choucha, e sono separati da quelli riconosciuti come rifugiati. L’UNCHR si è dichiarato non responsabile di queste persone, e ha messo loro pressione in modo che lasciassero il campo e ritornassero nei loro paesi di origine o in Libia, dove sono minacciati e perseguitati. Spinti al limite, hanno scelto di andare a Tunisi a fine gennaio per presentare la loro protesta all’UNCHR, l’Unione Europea, le autorità tunisine e chiedere la loro protezione. Dopo una settimana di manifestazioni e negoziazioni le loro richieste sono ancora le stesse: riaprire i loro dossier di domanda d’asilo che sono stati rifiutati, garantire una protezione internazionale a chi è fuggito dalla guerra in Libia, la reinstallazione di tutti i rifugiati del campo di Choucha e di altre parti in Tunisia in paesi con sistemi di protezione e accoglienza sicuri ed efficaci. Sono arrivati al Social Forum per far sentire la loro voce e quella delle tante migrazioni dimenticate.

Servizio ed interviste realizzate da DinamoPress in collaborazione con GlobalProject

intervista a Karim, rifugiato di Choucha: