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Garbatella. Popular school district

A lezione alla Scuola Popolare Piero Bruno.

Non c’è la campanella ma l’effetto è lo stesso: a lezione finita una trentina di ragazzini si riversano rumorosamente fuori l’aula tra giochi e saluti. Siamo al centro sociale La Strada, nel cuore di Garbatella, ed è finita la lezione della Scuola Popolare Piero Bruno: uno stanzone pieno di tavoli e sedie, libri di testo, disegni alle pareti. Gli “insegnanti” si fermano e, agenda alla mano, si dividono appuntamenti e colloqui con professori, presidi, assistenti sociali.

Sembra un miracolo e forse lo è, dopo quasi cinque anni di attività la Piero Bruno fa scuola in tutta la città e non solo.

L’avventura inizia da un manipolo di volenterosi studenti del centro sociale mentre nel paese infiamma la protesta sulla riforma Gelmini e centinaia di migliaia di studenti del movimento dell’Onda surfano per le strade, nelle scuole nelle facoltà. “Io e altri ragazzi della Strada facevamo parte anche del collettivo Dante Di Nanni del Liceo Socrate – racconta Amedeo classe 1988, uno dei pilastri della scuola – già dal 2006/2007 avevamo iniziato un esperimento di peer education dentro scuola, nell’auletta autogestita e poi anche qui negli spazi della Strada. In pratica i più grandi insegnavano ai più piccoli. L’anno dopo inizia la scuola popolare che nasce da noi che usciamo dal Socrate, alcuni docenti delle scuole di zona e da un gruppo di studenti di Scienze della Formazione di Roma3 che si erano mobilitati nell’Onda”.

Ma come funziona e chi usufruisce di una “scuola popolare”? Questo ce lo spiega Livia, altra giovane insegnate: “la nostra fascia di riferimento sono i ragazzi della scuola dell’obbligo, ma non lavoriamo sui bambini delle elementari per un problema di autonomia del percorso formativo di cui viene investito il bambino. Vengono soprattutto ragazzi delle medie e ora i ragazzi delle superiori che abbiamo seguito e che hanno ancora bisogno di un sostegno”. La scuola si tiene tre pomeriggi a settimana, due interdisciplinari e uno dedicato esclusivamente all’inglese, mentre il sabato è dedicato ad attività laboratoriali artistici e di disegno, i ragazzi ci spiega ancora Livia “possiamo dividerli in due categorie. Ci sono ragazzi stranieri appena arrivati in Italia, o ragazzi di seconda generazione che continuano ad avere problemi con l’italiano, vista anche l’incapacità che ha la scuola di fare integrazione linguistica al suo interno e la difficoltà delle strutture pubbliche e territoriali che se ne dovrebbero occupare, ovvero i centri d’italiano per migranti, di costruire percorsi dentro la scuola dell’obbligo. Poi ci sono tanti ragazzi con problemi di studio e apprendimento che una scuola al collasso non è in grado di seguire adeguatamente, e da quest’anno diversi giovani Rom mandati dal centro di prima accoglienza e sottoposti a misure cautelari”.

Lo stanzone viene diviso per “tavoli di studio” per materia, a l’interno di ogni tavolo ragazzi da seguire con più attenzione e altri più autonomi sempre con l’accortezza “di costruire gruppi di studio equilibrati, in cui i ragazzi possano sempre mettersi in relazione tra di loro e aiutarsi a vicenda”.

Nonostante Garbatella non sia più un quartiere periferico da una decina di anni almeno, continuano ad esserci “sacche importanti di dispersione scolastica – racconta Amedeo – un fenomeno importante che le istituzioni a tutti i livelli preferiscono nascondere sotto il tappeto. E’ meglio non parlare di analfabetismo di ritorno, della dispersione di ragazzi italiani e non solo in una scuola che non riesce più a essere includente, a costruire comunità e a portare avanti tutti senza lasciare nessuno indietro. Di questo se ne rende conto chi sta dentro la scuola come gli insegnanti, ma se ne rendo conto anche chi, come il centrosociale, pur non essendo luogo di aggregazione di docenti, facendo intervento territoriale vede e tocca con mano i problemi che si sviluppano per le strade di un quartiere. La verità è che ci sono fasce giovanili diversificate che rischiano fin dalla scuola dell’obbligo l’espulsione dal ciclo formativo e una conseguente emarginazione sociale”.

Una sforzo quasi titanico quello che si pone la scuola popolare di Garbatella, che non vuole essere la stampella della scuola pubblica in corso di smantellamento “noi non vogliamo essere un doposcuola, una toppa alla mancanza di fondi della scuola pubblica. Noi nasciamo nei giorni dell’Onda non solo per difendere scuola e università pubbliche, ma per costruire qualcosa di diverso, per costruire comunità e conflitti”. Una scuola però quella della Strada che di fatto è diventata una delle istituzioni del territorio, anche se non riconosciuta formalmente né finanziata dalle istituzioni “ufficiali”. Continua il ragionamento Livia: “la scuola popolare è al centro di una rete fitta di relazioni col territorio, relazioni che creano comunità e solidarietà. A noi si rivolgono scuole e insegnanti, famiglie, assistenti e servizi sociali. Con tutti questi enti cooperiamo per cambiare la situazione, per fare passi in avanti, intercettando problemi che la Scuola con la “esse” maiuscola neanche riesce a vedere”.

Una scuola che è territorio, che fa rete, che crea comunità e al centro ci sono loro gli insegnati di questa scuola che ha antenati nobili in Italia e a Roma, da Don Milani a Don Sardelli, che assomiglia alle scuole popolari di Buenos Aires che abbiamo raccontato qui su DinamoPress Un gruppo d’insegnati volontari che negli anni si è consolidato, fatto di studenti universitari, dottorandi, futuri insegnanti , che porta avanti un incessante lavoro di autoformazione con seminari con docenti universitari, momenti di riflessione e studio.