Fra la Turchia e Kobane il muro della vergogna

La prima parte del diario di viaggio di due attivisti italiani in Kurdistan.

Ieri pomeriggio, esausti, abbiamo chiesto di poterci fermare in una stanza per riprenderci dalle due notti insonni e dal lungo viaggio. Mentre provavamo a riprendere fiato i media italiani, con il solito pressapochismo sensazionalista, hanno lanciato la notizia della liberazione di Kobane. Siamo chiaramente schizzati fuori di casa per andare a verificare cosa stesse succedendo.

Kobane è a un soffio da qui, per cui quello che accade dall’altra parte della frontiera ha ripercussioni immediate per le strade della città. È bastato poco quindi a capire che non era affatto vero che Kobane era libera e che i media Italiani, come al solito distanti e incapaci di capire le dinamiche reali, avevano preso l’ennesima cantonata. Abbiamo chiesto in giro alla gente e tutti ci hanno detto che i combattimenti proseguivano incessantemente, così abbiamo deciso di spingerci alle porte di Kobane, di arrivare il più vicino possibile al blocco dell’esercito. Si sentivano chiaramente spari, esplosioni, voci, urla.

Rumori di una città in guerra.

Anzi, di una città che resiste.

Attorno a noi, nella campagna che circonda la città, c’era tantissima gente, pronta a sconfinare per assestare i colpi definitivi allo Stato Islamico e a cacciarlo dalla comunità autonoma e resistente della Rojava.

Davanti all’aumentare dei corpi in attesa prevedibilmente l’esercito serrava le fila e faceva accorrere mezzi a difesa del confine.

Siamo rimasti lì fino a quando il cielo non ha cominciato a farsi scuro. Senza luce sarebbe stato difficile e pericoloso tornare indietro, per cui ci siamo incamminati nuovamente verso Suruç.

Appena rientrati in città abbiamo saputo che il sindaco Ismail Kaplan ci aspettava per un incontro. L’abbiamo raggiunto immediatamente al tavolino di un bar. Pochi istanti per superare i convenevoli e poi una chiacchierata densa e sincera, tra compagni, tra gente che difende la stessa idea di mondo.

Ci dice innanzitutto Suruç e Kobane sono la stessa comunità, divisa artificiosamente da una cortina infame. Ecco perchè è qui che arrivano tutti quelli che vogliono passare. Ci racconta dei campi e dell’estrema difficoltà di gestione di una situazione così complessa con le sole forze dell’autogestione e dell’autofinanziamento, perché, inutile anche dirlo, il governo di Ankara spara e bombarda in queste zone, non fa altro. Abbandono e accanimento su un pezzo di mondo così apparentemente insignificante, ci dice, sono in realtà motivati solo dall’estrema paura che la Rojava incute in tutte le forze conservatrici del mondo. Che sia lo Stato Islamico o la coalizione delle potenze occidentali, o ancora il governo di Erdogan.

La Rojava è una contraddizione a cielo aperto nel mezzo della barbarie. Ed è per questo che bisogna difenderne l’autonomia e oggi soprattutto l’esistenza.

Dalla città di

La prima impressione che abbiamo a poche ore dall’arrivo a Suruç è quella di una città divisa. Da una parte il tetro colore dell’esercito, che chiude cinicamente ogni varco, ogni strada, ogni via d’accesso al confine e non contento si fa rifornire ancora dal Governo di Ankara di mezzi per impermeabilizzare ancora di più la frontiera. Dall’altra l’umanità viva e vera dei curdi. L’enorme massa umana che si distribuisce tra i campi profughi in cui si accalcano le famiglie (soprattutto anziani e bambini) dei partigiani che lottano incessantemente dall’altra parte dei blocchi. Una massa a cui si uniscono progressivamente anche i feriti, che tornano indietro e superano il confine per farsi curare, clandestinamente e rischiando l’arresto. Poi ci sono i giovani, tanti ma non sappiamo ancora dire quanti, che si accalcano sulle colline in attesa che si apra una porta. La sensazione che si respira forte è che questa città stia solo aspettando di speronare quel muro di soldati e vergogna per invadere Kobane e riprendersi i territori dalle mani fasciste di ISIS. Dall’altra parte, ci dicono, il cibo e le munizioni stanno finendo, nonostante la resistenza continui e porti risultati importanti. Suruç però sa cosa accade dall’altra parte, a una manciata di chilometri, e preme per tendere la mano a chi resiste. Tra poche ore incontreremo il sindaco della città e proveremo a farci raccontare cosa è accaduto in queste ultime settimane in questo posto ai confini dell’Europa, dove va in scena delle più eclatanti rappresentazioni dell’ingiustizia delle frontiere e della necessità di distruggerle.

Intanto a Kobane si combatte ancora, infatti pochi minuti fa a 1 km dalla città si udivano spari ed esplosioni, ed in questo momento sono iniziati i bombardamenti aerei sulle basi d’appoggio dell’IS.