EUROPA

Conflitti e convergenze nella “crisi esistenziale” europea

Una riflessione sullo spazio europeo tratta da Alternative per il Socialismo

Dopo l’articolo di Brancaccio e Raparelli, pubblichiamo un altro testo tratto dal numero 42 di “Alternative per il Socialismo”: un contributo di Beppe Caccia (del collettivo EuroNomade) sul rapporto tra conflitto e processi costituenti nello spazio politico europeo. Seguirà a breve la pubblicazione di altri materiali dallo stesso numero raccolti; utili per animare un dibattito plurale e diversificato sulla fase convulsa in cui siamo immersi.

Indirizzo: Rigaer Straße, 94.

Nel giugno scorso a Berlino, lo scontro politico intorno alle “abitazioni collettive” della Rigaer Straße, al termine di un braccio di ferro iniziato sei mesi prima, raggiunge il suo acme: la polizia, inviata dal Senatore agli Interni (nella capitale tedesca, costituzionalmente equiparata a un Land federale, il governo municipale ha competenza anche sull’ordine pubblico) il cristiano-democratico Frank Henkel, sgombera i locali autogestiti al piano terra del civico 94. Siamo nel quartiere di Friedrichshain, nel settore orientale, e parliamo di interi palazzi occupati negli anni successivi alla caduta del Muro: le occupazioni si erano, dopo lunghe trattative, regolarizzate con accordi particolarmente convenienti per i loro abitanti, e di lunga durata. Ma ora i contratti sono in scadenza e i processi di gentrification premono, in una metropoli dove s’intrecciano la proliferazione di esperienze di cooperazione solidale e produzione creativa, libere e indipendenti, e “operazioni” di appropriazione estrattiva e parassitaria articolate dal capitale finanziario, sia nelle forme antiche della rendita immobiliare (in questo caso un Fondo anonimo con sede nella City londinese), sia in quelle ipermoderne delle piattaforme della “sharing economy”[1].

Intorno al caso della Rigaer Straße si produce una resistenza inattesa: circondate dal sostegno dei residenti del quartiere e da diffuse simpatie nell’opinione pubblica, proccupata dal crescente impatto della speculazione sugli affitti, oltre 3.500 persone scendono in piazza il 9 luglio, in quella che viene definita dalla stampa come “la manifestazione più violenta degli ultimi cinque anni”. Dopo una notte di scontri il bilancio ufficiale è pesante: 123 poliziotti feriti e 86 manifestanti fermati. La Große Koalition che governa il Senato cittadino si divide: trattare o non trattare con i “violenti”? Ma due distinte e successive ordinanze del Tribunale di Berlino chiudono, per il momento, la vicenda dichiarando “illegittimi” gli interventi di sgombero. Il secondo pronunciamento giudiziario arriva il 14 settembre[2], cinque giorni prima di quelle ultime elezioni municipali che vedono una secca sconfitta degli alleati (SPD e, in particolare, la CDU che ha gestito l’ “escalation” del caso) fin qui alla guida della città. Il voto, con una crescita significativa della Linke, apre invece la strada alla nascita di una nuova maggioranza di sinistra nel governo della metropoli[3].

Non vi è certo una lineare relazione onniesplicativa tra le lotte delle Rigaer Straße e l’esito elettorale, ma appare evidente come tanto l’esplosione di quel conflitto quanto questa sconfitta siano, ciascuna a suo modo, prodotto dell’incapacità delle Große Koalitionen di dare risposte adeguate alle contraddizioni che attraversano i nostri contesti metropolitani, a otto anni dall’inizio della “grande crisi”: tagli al finanziamento delle autorità locali, privatizzazioni dei servizi pubblici, incentivi alla rendita parassitaria del capitalismo estrattivo (finanziario e immobiliare) si sono rivelati una “cura peggiore del male”, con devastanti effetti negativi proprio sulla qualità della vita e la coesione sociale delle nostre città. E, al tempo stesso, attestano come le metropoli si definiscano oggi quale lo spazio par excellence dei conflitti sociali più avanzati, dell’azione dei molti che disegnano e praticano immediatamente alternative allo stato di cose esistenti, di espressione di una domanda inevasa di libertà ed eguaglianza.

Un concatenamento di crisi e molteplici lotte.

Cerchiamo ora di comprendere in quale più ampia congiuntura storica si collochino questi passaggi. Quando il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, nel suo discorso su Lo stato dell’Unione[4], è costretto a plagiare una formula coniata da Étienne Balibar[5], è forse proprio vero che l’Europa si sta trovando ad affrontare, per la prima volta nella storia del secondo Dopoguerra, la sua “crisi esistenziale”. Ad oltre un anno di distanza dall’ “accordo” stipulato con il “coltello alla gola” con il governo greco a Bruxelles, a pochi mesi dal referendum del Regno Unito e mentre la crisi del regime dei confini iniziata con l’ “estate dei migranti” nel 2015 appare tutt’altro che conclusa, le molteplici crisi che investono lo spazio politico dell’Unione, nel loro concatenarsi, hanno infatti preso la forma di uno smottamento più generale e profondo, come gli stessi tecnocrati hanno cominciato ad ammettere.

E le élites non sembrano avere un piano per affrontare queste crisi multiple, che minacciano lo stesso processo di progressiva integrazione europea, come è stato pensato e attuato negli ultimi venticinque anni. A livello di politiche economiche e sociali, la persistenza e addirittura la “costituzionalizzazione” (dal 2012 in poi nelle singole cornici nazionali e in quella comunitaria) delle politiche di austerità stanno pure neutralizzando gli effetti della politica monetaria espansiva della Banca Centrale Europea. Del resto lo stesso programma di Quantitative Easing messo in campo dalla BCE va prevalentemente ad alimentare il circuito bancario e quello finanziario globale, con un effetto di “sgocciolamento” assai limitato sui redditi reali[6]. Ma se anche rivolgiamo lo sguardo al “governo della mobilità” delle persone nella crisi del controllo delle frontiere esterne e interne alla UE, è chiaro come esso implichi conseguenze catastrofiche non solo per la vita di centinaia di migliaia di migranti e rifugiati, ma anche per le politiche internazionali dell’Unione, e in particolare per la sua posizione nella guerra in Siria, principalmente a causa degli infami accordi raggiunti con la Turchia. In questi scenari, il ruolo della UE appare paralizzato dal gioco geopolitico delle cangianti alleanze tra potenze mondiali e regionali, e – per la prima volta da anni – è la dimensione della guerra, “fredda” o guerreggiata che sia, a mordere la frontiere orientali e meridionali del continente.

In questa complessa situazione, sono proprio le politiche europee dominanti a nutrire la crescita aggressiva di vecchie e nuove forze della destra nazionalista e xenofoba in tutto il continente. Ma non si tratta di immaginare che le loro virulente campagne politiche (e i patetici e subalterni tentativi di rincorrerle “a sinistra”) possano tradursi in un ritorno puro e semplice alle vecchie “sovranità nazionali”. Come il processo avviatosi dopo la Brexit e anche le trattative con il Gruppo di Višegrad, giocate sulla pelle dei migranti, dimostrano, anche la vittoria di posizioni nazionaliste in singoli Paesi produce più un nuovo livello di negoziazione sul riposizionamento di queste “piattaforme nazionali” all’interno di un mercato globale, strutturato e parzialmente regolato dall’azione di agenzie sovranazionali (UE tra queste), piuttosto che una netta separazione e isolamento[7]. E, di certo, non un recupero di effettivi spazi d’indipendente decisione democratica. La crescente influenza delle destre nazionaliste si riflette tuttavia nel condizionamento delle cangianti politiche dei partiti e dei governi, di centro-sinistra e di centro-destra, nei diversi Paesi europei. E sta dando luogo a inedite micidiali combinazioni di nazionalismo e neoliberismo, con un ulteriore irrigidimento degli attacchi contro i diritti civili, sociali e del lavoro e un’ulteriore restrizione degli spazi di libertà[8].

Ci troviamo quindi in uno scenario affatto diverso da quello in cui, ad esempio, si era costruito il successo della mobilitazione, lanciata dall’ibrida coalizione internazionale Blockupy in occasione dell’apertura della nuova sede della Banca Centrale Europa, a Francoforte il 18 marzo 2015[9], sull’onda delle aspettative per una possibile rapida rottura del quadro definito dalle politiche di austerity, e più in generale dalla gestione capitalistica della crisi in Europa, suscitate anche dal primo governo di Syriza in Grecia e dall’irruzione di forze politiche nuove nella Penisola Iberica.

Ma sono gli stessi motivi, che abbiamo qui sopra riassunto, a connotare l’attuale situazione con un elevato grado d’instabilità e incertezza. Il referendum sulle riforme costituzionali in Italia, la formazione di un nuovo governo conservatore in Spagna, le elezioni presidenziali in Francia e quelle per il Bundestag in Germania nel settembre prossimo, rappresentano altrettanti passaggi di questa inquieta congiuntura.

Essa si presenta aperta ad esiti di natura diversa, molti dei quali tutt’altro che augurabili, ma offre anche spazi per lo sviluppo di dinamiche sociali conflittuali, che siano orientate alla trasformazione sotto il segno della libertà, dell’uguaglianza e della democrazia. Lo provano le lotte sviluppatesi negli ultimi mesi su differenti terreni e con differenti composizioni, dal movimento contro la Loi Travail in Francia fino allo “sciopero delle donne”, la czarny protest del lunedì nero contro l’attacco al diritto all’autodeterminazione in Polonia, attraverso tutte le diverse forme di resistenza dei migranti e delle diffuse Welcome initiatives, che sfidano quotidianamente le restrizioni al regime dei confini. Nello stesso tempo, diverse iniziative sono tornate ad interrogarsi su come agire politicamente a livello europeo, dai tentativi di costruzione di alleanze tra le “città ribelli” (assumendone, come prima definizione, quella di laboratori metropolitani dove relazioni dialettiche tra movimenti sociali, “piattaforme civiche” e governi locali stanno provando a forzare l’attuale cornice istituzionale, nazionale e comunitaria) fino alla proposta DiEM25 di un ampio movimento “per la democrazia in Europa”, attraverso il successo indiscutibile, in molti ma non in tutti i Paesi europei, delle campagne anti-liberiste contro i trattati transatlantici TTIP e CETA.

In questi tempi turbolenti, in una situazione in rapido e imprevedibile sviluppo, abbiamo perciò bisogno di ricostruire, di nuovo insieme, un’analisi condivisa della congiuntura continentale, come necessario pre-requisito per comprendere ciò che significhi qui e ora organizzare un’azione sociale e politica transnazionale con l’obiettivo della costruzione di alternative a livello europeo.

Il “management delle emergenze”.

Cerchiamo di approfondirne alcuni aspetti. Innazitutto la “crisi esistenziale della costruzione europea” dev’essere inquadrata all’interno di scenari globali, oggi caratterizzati da profondi mutamenti e da persistenti tensioni per quel che riguarda il rapporto tra gli spazi disegnati dall’accumulazione capitalistica e gli spazi politici e giuridici[10]. L’appuntamento, nel luglio 2017, del Summit G.20 ad Amburgo ne offrirà una plastica rappresentazione. Ma fin da subito le due grandi crisi di fronte alle quali oggi si trova l’Europa, quella del regime dell’austerity e quella del regime di controllo della mobilità e dei confini, assumono in questo contesto il loro pieno significato. E si intersecano con altre crisi, da quella rappresentata dalla minaccia del terrorismo di matrice jihadista a quella della gestione dell’approvvigionamento energetico e di materie prime, con le drammatiche conseguenze, belliche ed ecologiche, che esse comportano.

A fronte di queste molteplici crisi, sembra essersi imposta in Europa una razionalità governamentale che ruota attorno al management dell’emergenza. È stato da più parti descritto come, a partire dal 2010-2011, a fronte di attacchi speculativi sui mercati finanziari globali che – allargando a dismisura lo spread tra i tassi d’interesse dei titoli di Stato di diversi Paesi dell’area dell’euro – minacciavano di proiettare la crisi dei debiti sovrani sulla complessiva tenuta della moneta unica, siano state introdotte profonde modifiche nella “costituzione materiale” dell’Unione Europea. Il management dell’emergenza ne rappresenta la razionalità governamentale di fondo, ben lungi dall’essere limitata al terreno delle politiche monetarie e di bilancio.

Si può, ad esempio, notare come un’analoga razionalità si applichi alla gestione europea delle ricorrenti convulsioni del mercato delle commodities, e in particolare delle fonti energetiche, a fronte di oscillazioni dei prezzi in gran parte determinate dai processi di finanziarizzazione e da problemi crescenti relativi al governo dei flussi, al controllo delle reti di trasporto e distribuzione, di oleodotti e gasdotti, insomma alla logistica delle pipelines[11]. La stessa gestione della crisi del comando sulla mobilità delle persone si dispiega a partire da una “dichiarazione di emergenza”[12]. Molto significativa, da questo punto di vista, è la figura dell’hotspot, attorno a cui ha preso forma un progetto di complessiva riorganizzazione delle infrastrutture e della logistica del controllo migratorio. Il termine impiegato è emblematico: al di là del suo significato informatico, un hotspot designa in geologia un punto della crosta terrestre in cui un’anomala risalita dal mantello di materiali caldi produce fenomeni di vulcanismo, mentre in genetica qualifica le regioni del DNA in cui la frequenza di ricombinazione o di mutazione della struttura è di molto superiore alla media. Si può qui intravedere un sintomo della natura della razionalità governamentale dominante in Europa: è l’eruzione magmatica del movimento di profughi e migranti, in questo caso, la sua costitutiva anomalia e imprevedibilità, a motivare un insieme d’interventi che incidono in profondità sugli stessi fondamenti giuridici del diritto d’asilo, pur dichiarando di limitarsi a una “gestione dell’emergenza” che ne riproduce in realtà i tratti di fondo.

Questa immagine dell’emergenza appare più adeguata e coerente, rispetto all’insieme degli sviluppi governamentali in atto in Europa, di quella che, muovendo in particolare dalle risposte agli attacchi del terrorismo jihadista nelle metropoli europee, propone la figura dello “stato di eccezione” come paradigma complessivo per comprendere le forme attuali del dominio[13]. Non vanno certo sottovalutati i rischi impliciti nell’imporsi della connessione tra “terrore” e “sicurezza” come dispositivo di governo nell’état d’urgence, ovvero nella riorganizzazione della politica attorno a una specifica immagine del nemico esterno e interno, e nella produzione di paura come investimento sulla soggettivazione politica del cittadino.

Risulta invece essenziale, anche sulla base degli altri esempi di “management dell’emergenza” qui richiamati, insistere sulle crepe e sulle contraddizioni di questa razionalità governamentale, che un’assolutizzazione del concetto di “stato di eccezione” rischierebbe di farci perdere di vista, traducendosi in un messaggio di impotenza e impossibilità di agire. Proprio in Francia, del resto, nel pieno dello “stato di urgenza” si sono sviluppate nei mesi scorsi formidabili mobilitazioni sociali, prima sul cambiamento climatico, poi contro la precarizzazione, che hanno da subito contestato e aggirato praticamente lo stesso dispositivo emergenziale.

Per un processo costituente “multi-livello” e “convergente”.

Di fronte ai rischi e alle potenzialità, che s’intravedono nell’impasse sul versante della progettualità delle classi dominanti, quali possono dunque essere le effettive prospettive di cambiamento, sulle quali valga la pena lavorare?

Occorre intanto individuare quali siano i tratti salienti (e comuni) delle lotte di quest’ultima fase. Soggetti sociali molteplici ed eterogenei si sono dimostrati protagonisti attivi di dinamiche conflittuali che hanno contestato e condizionato esattamente la gestione “emergenziale” di queste crisi: in molti Paesi europei, a partire da quelli del Sud, la composizione del lavoro industriale e dei servizi si è incontrata con le nuove figure emergenti del lavoro cognitivo, con il precariato metropolitano e con la gioventù in formazione nelle lotte contro le politiche di austerity e le diverse “riforme” del welfare e del mercato del lavoro; profughi e migranti continuano ostinatamente a scontrarsi con i dispositivi di gestione e chiusura dei confini, incontrandosi con un tessuto di cooperazione, solidarietà e accoglienza la cui diffusione va ben oltre i circuiti dell’attivismo; le esperienze di resistenza ai grandi progetti infrastrutturali ed energetici in molte parti d’Europa hanno riqualificato in termini sociali la questione ecologica, coniugando la rivendicazione di una gestione collettiva di commons e servizi pubblici con l’appropriazione di spazi e risorse per esercitare forme di autogoverno su base territoriale e, nei contesti metropolitani, un effettivo “diritto alla città”.

Sono così indicati quantomeno i lineamenti generali di una composizione sociale che in Europa si mostra irriducibile ai regimi di gestione dell’emergenza, per come si sono andati formando negli ultimi anni. Nei movimenti, nelle lotte, nelle iniziative qui sopra richiamate si esprimono rivendicazioni attorno ai nodi inaggirabili della democrazia e dell’uguaglianza, che questi regimi non possono in alcun modo contenere. Democrazia e uguaglianza rinviano ormai necessariamente alle questioni capitali della decisione politica collettiva su ciò che è comune, e della redistribuzione sociale di quella ricchezza che in comune viene prodotta. Ognuna di queste iniziative è stata ed è costretta, non appena mette in campo la rivendicazione di un’alternativa all’esistente, a scontrarsi con limiti e vincoli, rigidità e chiusure che rinviano immediatamente al drammatico sbilanciamento dei rapporti di forza sancito a livello europeo. Questo vale anche per le esperienze di lotta e di cooperazione più radicate in specifici contesti locali o nazionali, tutti investiti – secondo modalità differenziate e tuttavia in ultima istanza unitarie – da un esercizio del comando capitalistico e dall’azione regimi di gestione della crisi all’interno di coordinate europee[14]. E non diversamente stanno le cose per le iniziative che si pongono direttamente sul terreno della competizione elettorale e in prospettiva del governo, tanto a livello municipale quanto a livello nazionale[15].

Se siamo allora pienamente consapevoli di tali, ormai consolidate, caratteristiche delle attuali dinamiche sociali e degli attuali processi politici in Europa, non possiamo che dedurne la necessità dell’irreversibile assunzione di un approccio che sia, al tempo stesso, multi-livello e convergente. Per spiegarsi meglio: parlare di approccio “multi-livello” significa comprendere la strutturale articolazione di elementi di eterogeneità e omogeneità che coesistono, spesso in maniera contraddittoria, all’interno di ogni contesto e che quindi influenzano ogni singola lotta o iniziativa[16]. L’Europa aperta a sperimentare nuove forme di convivenza e cooperazione di cui abbiamo parlato a proposito della “crisi della migrazione” è una buona esemplificazione di questa combinazione tra specificità locali e l’emergere di un linguaggio comune, che taglia trasversalmente i diversi livelli su cui l’iniziativa è articolata.

Insistere sulla necessità di una politica europea non ha dunque nulla di astratto, e non comporta in alcun modo una forzata generalizzazione che possa sostituire la paziente modulazione di questi elementi di eterogeneità e omogeneità. Su scale e livelli differenti s’impone piuttosto l’adozione di metodologie e linguaggi, forme d’organizzazione e modalità pratiche diversificate, senza che sia possibile indicare astrattamente il “primato” di uno specifico piano di lotta o iniziativa politica sugli altri. Decisiva è piuttosto l’attenta valutazione di quale, di volta in volta, possa rivelarsi il terreno di maggior efficacia nell’accumulo e nella strutturazione di quel contro-potere sociale necessario ad orientare il cambiamento o nel puntuale esercizio di quella rottura necessaria a ridislocare, in termini più avanzati, il rapporto di forze in Europa.

Movimenti e iniziative su scala “nazionale” possono avere un’importanza cruciale in questo senso, come hanno mostrato negli ultimi tempi tanto la possibilità di un cambiamento di indirizzo nel governo di un Paese importante come la Spagna, quanto la forza del movimento sociale in Francia. In entrambi i casi si sono però evidenziati tutti i limiti, che anche dinamiche potenti e suggestive possono incontrare, finché rimangono confinate all’interno dei soli spazi politici nazionali, e/o si rivelino prive di articolazioni che siano, simultanemente, dislocate sul piano sociale e politico.

Ma l’approccio “multi-livello” rischierebbe di rivelarsi improduttivo e, in ultima analisi, privo di una prospettiva strategica, se non fosse – parallelamente – animato da una permanente tensione alla “convergenza”. Se cioè il lavoro su ogni piano di lotta e d’iniziativa non fosse, a partire anche da una più precisa articolazione degli orientamenti radicalmente democratici ed egualitari che li caratterizzano, dotato di una visione più complessa e complessiva e soggettivamente orientato a convergere con gli altri, dialettizzando, intrecciando e ibridando i differenti linguaggi e le differenti pratiche di ciascuno di essi. Convergere significa, quando necessario, utilizzare le potenzialità specifiche di ciascun livello per alimentare e rafforzare gli altri; impegnare le differenze nella costruzione di una prospettiva condivisa; decidere, quando indispensabile, dove concentrare le forze accumulate per far valere la potenza comune.

È proprio questa rinnovata dialettica tra azione “multi-livello” e “convergenza” – impiantata nel vivo delle dinamiche sociali reali, e non certo nel disegno a tavolino di una semplice riproduzione di modelli costituzionali classici – che può provare a nutrire un inedito processo costituente di uno spazio politico europeo per il cambiamento, nel serrato alternarsi di percorsi di accumulo di forza, sperimentazione sul terreno dell’autogoverno, conquiste puntuali e momenti di rottura. Ci sembra che questa prospettiva sia tutt’altro che velleitaria, ma caratterizzata da un essenziale realismo, nel momento in cui sono saltate le mediazioni che una lunga storia di lotte operaie aveva imposto al capitalismo e, contemporaneamente, le istituzioni e le procedure della democrazia rappresentativa sono continuamente spiazzate ed eccedute da una nuova razionalità governamentale. Un terreno “costituente” risulta oggi oggettivamente aperto dalla forza di rivendicazioni di uguaglianza e democrazia che non trovano nell’assetto costituzionale dato canali di espressione e articolazione istituzionale.

La forma politica innovativa capace di combinare azione “multi-livello” e “convergenza” non potrà in questo senso che incitare al reciproco richiamo tra la costruzione dal basso di nuove istituzioni e la conquista e la trasformazione, là dove praticabile su ogni scala, di quelle esistenti; e alla sincronizzazione soggettiva di tutti questi momenti. Una lettura critica della “crisi esistenziale” dell’Europa mostra che esiste lo spazio per lavorare in questa direzione. Poco importa se si parte dalla Rigaer Straße o dal circolo di una nuova forza politica, dal blocco di un magazzino logistico o da una cooperativa dell’economia solidale, dal taglio del reticolato di un confine o da un municipio conquistato. Si tratta, con coraggio e intelligenza, di cominciare a farlo.

Venezia / Berlino, ottobre 2016

NOTE

[1] Si veda l’intervista di Nora SCHAREIKA al sociologo urbano Andrej HOLM, Häuserstreit in Berlin: “Die Besetzerszene hat in ihren Logik Recht” in n-Tv.de, 13.07.2016: http://www.n-tv.de/politik/Die-Besetzerszene-hat-in-ihrer-Logik-recht-article18186046.html.

[2] Fatina KEILANI, “Gericht hält Teilräumung an Rigaer 94 weiter für rechtswidrig” in Der Tagesspiegel, 14.09.2016: http://www.tagesspiegel.de/berlin/prozess-um-kadterschmiede-in-berlin-friedrichshain-gericht-haelt-teilraeumung-an-rigaer-94-weiter-fuer-rechtswidrig/14543222.html.

[3] Per una panoramica completa del risultato elettorale di Berlino, si veda l’edizione del 20.09.2016 della Neues Deutschland: https://www.neues-deutschland.de/artikel/1026072.wahlergebnis-spd-bleibt-staerkste-kraft.html .

[4] Jean-Claude JUNCKER, Discorso sullo stato dell’Unione: Verso un’Europa migliore, Parlamento Europeo, Strasburgo, 14.09.2016: https://ec.europa.eu/italy/news/20160915_discorso_juncker_it .

[5] Étienne BALIBAR, Europe, crise et fin?, Le Bord de l’Eau, Paris 2016.

[6] Marco BERTORELLO – Christian MARAZZI, “Un nuovo Quantitative Easing: for the people”, in Alternative per il Socialismo, n. 40 (giugno – luglio 2016).

[7] Puntuale sullo stato dei negoziati per la Brexit è, da ultima, la ricostruzione offerta da George PARKER, Alex BARKER e James BLITZ sul Financial Times, 19.10.2016: https://www.ft.com/content/347bf20e-9478-11e6-a80e-bcd69f323a8b .

[8] Sulle vecchie e nuove “destre populiste” in Europa e il loro ruolo si vedano Eva GIOVANNINI, Europa anno zero. Il ritorno dei nazionalismi, Marsilio editore, Venezia 2015, e Cass MUDDE, On Extremism and Democracy in Europe, Routledge, London and New York 2016.

[9] Un primo bilancio del percorso di Blockupy e della giornata del 18 marzo 2015 si può ricavare dai materiali contenuti nel dossier pubblicato da Dinamopress.it: http://www.dinamopress.it/news/blockupy-2015-contributi-e-riflessioni .

[10] Da qui in poi il testo riprende le conclusioni di un più ampio saggio, scritto a quattro mani con Sandro MEZZADRA, “Disintegrazione dell’Europa o processo costituente? Crisi, governo dell’emergenza e prospettive di nuova invenzione democratica”, d’imminente pubblicazione in tedesco in un volume collettaneo a cura di Alex DEMIROVIC per la Rosa-Luxemburg-Stiftung. A Sandro sono debitore di un intenso scambio su tutti i temi trattati. Delle tesi sostenute sono, ovviamente, l’unico responsabile.

[11] Vedi Pasquale DE MICCO, “Changing pipelines, shifting strategies: Gas in south-eastern Europe and the implications for Ukraine”, Directorate general for External Policies – Policy Department of the European Parliament, Brussels 2015: http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2015/549053/EXPO_IDA(2015)549

[12] Bernd KASPAREK, “Routes, Corridors, and Spaces of Exception: Governing Migration and Europe”, in Near Futures Online, 1 (2016) “Europe at a Crossroads”: http://nearfuturesonline.org/routes-corridors-and-spaces-of-exception-govern- ing-migration-and-europe/.

[13] Giorgio AGAMBEN, “Guerra allo Stato di diritto”, trad. it. Sole 24 Ore, 23.01.2016: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-01-23/guerra-stato-diritto–212159.shtml .

[14] Sandro MEZZADRA – Mario NEUMANN, “Der demokratische Aufstand”, in Zeitschrift luXemburg on line, gennaio 2016: http://www.zeitschrift-luxemburg.de/der-demokratische-aufstand/

[15] Mario CANDEIAS, “Diem und Co. Movimenti per la democrazia in Europa – Ciascuno per sé o pratiche che connettano?”, trad. it. in EuroNomade, aprile 2016: http://www.euronomade.info/?p=7138

[16] Per l’uso che qui viene fatto del concetto di multilevel, si rinvia alle più avanzate elaborazioni del “costituzionalismo societario”, tra gli altri in Christian JOERGES – Inge-Johanne SAND – Gunther TEUBNER (Eds.), Constitutionalism and Transnational Governance, Oxford University Press, Oxford 2004.